22.8.14

L'Italia senza più memoria - Inchieste - la Repubblica

L'Italia senza più memoria - Inchieste - la Repubblica

L'ITALIA SENZA PIÙ MEMORIA

L'Italia senza più memoria
Un taglio alla storia
Spese folli e documenti inaccessibili
A rischio anche la Biblioteca nazionale

Un taglio alla Storia

di CARMEN GALZERANO
ROMA - E' un grido d'allarme. Un urlo, quasi disperato, per evitare la scomparsa della nostra memoria collettiva. Quella costruita in decenni sulla base di documenti che raccontano l'Italia. Un colpo di grazia alla sopravvivenza dell'Archivio Centrale dello Stato. Per il sovrintendente Agostino Attanasio non c'è dubbio: con questo ennesimo taglio ai fondi della cultura è la nostra storia, la nostra cultura come uomini e come Paese, che rischia di scomparire. Una mole imponente di documenti spesso rari e preziosi, come gli originali dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci o le carte sul sequestro Moro, che testimoniano il percorso fatto dall'Italia dall'unità ad oggi.

"L'Archivio Centrale dello Stato", spiega il responsabile della struttura, "ha un fabbisogno minimo, quello che i ragionieri chiamano spese incomprimibili: 800mila euro all'anno. Con quella cifra possiamo sopravvivere, fare le operazioni correnti. Nient'altro che il semplice ordinario. Nel 2013, invece, abbiamo ricevuto 650.000 euro, esattamente la metà dei fondi che avevamo avuto nel 2012". I conti sono semplici e il risultato è drastico."Finora", insiste il sovrintendente Attanasio, "siamo sopravvissuti a questi tagli perché siamo stati pessimisti verso il futuro: abbiamo gestito all'insegna del risparmio, lasciando dei fondi a disposizione perché temevamo di andare incontro a periodi poco felici. Ma a partire dal prossimo anno, se la situazione non cambierà in modo radicale, l'Archivio Centrale dello Stato chiuderà. Già quest'anno non sarà semplice fare il bilancio".

Con i suoi 120 chilometri di scaffali e una media di 36mila pezzi movimentati all'anno, l'Archivio Centrale dello Stato rappresenta da oltre mezzo secolo la memoria storica e documentaria del nostro paese, il punto di riferimento obbligato per ogni tipo di ricerca sull'Italia unitaria. Fu istituito nel 1953 ma l'esigenza della nascita di un grande istituto archivistico di livello nazionale si era posta già nel 1943, all'indomani del 25 luglio, quando si comprese di dover garantire la sopravvivenza degli archivi fascisti per il loro valore di fonti storiche.

Sin dall'inizio, prima ancora della sua apertura, si pose però uno dei grossi problemi strutturali dell'Archivio Centrale: i depositi. La sede fu progettata nell'ambito dei lavori per l'E42, quello che oggi conosciamo come Eur, ma la guerra non permise di terminare tutti gli edifici. Il primo sovrintendente, Armando Lodolini, propose al ministero dell'Interno di svolgere i lavori di adeguamento dell'edificio non ancora terminato in modo da renderlo idoneo a ospitare un istituto che avrebbe dovuto poi conservare masse notevoli di documentazione. Il ministero, tuttavia, non accettò questa proposta: "Il risultato", lamenta Attanasio, "è una sede molto prestigiosa, adeguatissima per quello che riguarda gli spazi pubblici, la sala studio, la sala convegni e gli uffici, ma del tutto inidonea per la conservazione dei depositi archivistici. Su 120 chilometri di scaffalature che conserviamo", osserva ancora il sovrintendente, "direi che al massimo 40 chilometri sono in una condizione idonea. Nel nostro edificio laterale, per esempio, ci sono delle vetrate enormi per cui d'estate fa molto caldo e d'inverno molto freddo: una realtà opposta a quelle che dovrebbero essere le condizioni per una corretta conservazione degli archivi. Potremmo creare un condizionamento ambientale, ma già oggi spendiamo 200.000 euro di energia elettrica. La prospettiva fattibile, quella da perseguire, è immaginare dei depositi funzionali, moderni ed economici".

Per questo motivo il sovrintendente Attanasio sponsorizza l'idea del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo di trasferire una parte abbastanza consistente di documentazione in un deposito a Pomezia e trasformare quest'ala in un Polo Museale.  "Ci saranno ovviamente delle spese a carico del ministero per i lavori di ristrutturazione - dice Attanasio - ma l'ACS risparmierebbe almeno un milione di euro". Sorgerebbe però il problema dell'accessibilità della documentazione trasferita a Pomezia, che per essere consultata dovrebbe essere  riportata ogni volta nella sede dell'Eur con un servizio di navetta. "Purtroppo", commenta con una punta di amarezza il sovrintendente, "dobbiamo fare i conti con la realtà in cui viviamo. In un Paese dove fosse davvero possibile fare le cose in modo organico, serio e con prospettive ampie e ambiziose, lo Stato ragionerebbe in modo diverso. Avremmo potuto fare come a Barcellona o a Londra: costruire in una periferia romana una sede davvero avanzata e funzionale. Avremmo potuto e dovuto fare questo, ma queste cose si decidono a livello politico e richiedono una visione d'insieme più ampia di quella che c'è stata in Italia in questi anni. Considerando tutto ciò la soluzione di Pomezia è la migliore possibile. L'accessibilità alla documentazione sarà garantita da un servizio navetta serio ed efficiente che pagheremo con le economie che facciamo sull'affitto. In questo modo noi possiamo garantire un servizio nettamente migliore di quello che c'è adesso sia sul piano della conservazione dei documenti sia sul piano dell'offerta che garantiamo agli studiosi".

Il problema dello spazio diventerà ancora più pressante quando verrà attuata la direttiva Renzi che dispone la declassificazione degli atti relativi alle stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904 finora coperti dal segreto di Stato. Già in autunno l'Archivio centrale dello Stato riceverà le prime carte e si porrà un problema di collocazione per la loro conservazione e la loro sicurezza perché alcuni documenti contengono dati sensibili che non possono essere messi in consultazione. "Stiamo ancora definendo le procedure, ma credo che il metodo sarà lo stesso che abbiamo usato con il versamento Moro: alcuni nomi e dati che appartengono alla realtà attuale verranno obliterati perché non possono essere consultati", dice Attanasio.  I segreti di Stato saranno solo gli ultimi acquisti.

Nei faldoni conservati all'Archivio Centrale dello Stato si trova di tutto, anche soldi: nel fascicolo 89/A della Polizia Politica relativo a Michele Schirru, un anarchico fucilato dal regime fascista per l'intenzione di uccidere Benito Mussolini, c'è ad esempio - in perfetto stato di conservazione - un assegno di duemila lire del Crédit Lyonnais datato 3 febbraio 1931 che fu sequestrato a Schirru.

L'assegno e milioni di altre carte sono custodite in grossi faldoni, chiamati buste: fino a qualche anno fa ogni studioso poteva consultare un totale di 16 buste al giorno distribuite in 4 turni. Negli ultimi anni il personale è diminuito costantemente. Ma non è stato sostituito con nuovi ingressi. E' venuto così a mancare anche qui quel ricambio generazionale che ha più dimestichezza con le nuove tecnologiee potrebbe avere un impatto più produttivo con le realtà esterne: studiosi, storici, giornalisti, semplici cittadini animati dal desiderio di consultare concretamente la documentazione raccolta attorno a singoli episodi e su questi costruirsi un giudizio oggettivo. Appunto, storico. La carenza di personale ha avuto riflessi sull'organizzazione del lavoro. I turni giornalieri sono diventati 2 e le buste consultabili solo 6. "Da parte nostra", si difende il sovrintendente, "abbiamo fatto ciò che era possibile fare. Sul piano della digitalizzazione ci sono stati notevoli progressi. Puntiamo a rendere tutti i 1500 inventari presenti in sala studio consultabili online. Finora ne abbiamo 120 e altri 350 circa sono in attesa di convalida. Per settembre avremo a disposizione sulla rete tutto il fondo della segreteria particolare del duce".

Negli ultimi vent'anni i filoni di ricerca che hanno interessato l'archivio sono diventati molto più eterogenei: se prima si andava a fare una semplice ricerca storica ora si compiono anche studi amministrativi e ricerche per il restauro. È una documentazione importante. Essenziale per capire la nostra storia e il nostro paese. Non solo per gli specialisti, ma per tutti noi.

Spese folli e documenti inaccessibili
di ANDREA FAMA*
L'Archivio Centrale dello Stato (ACS) ha sede in un edificio monumentale di proprietà dell'Ente Eur, a Roma, per il cui affitto sborsa annualmente la cifra considerevole di 5 milioni di euro. In tempi di spietata spending review, il ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT, cui l'ACS fa capo, sebbene dotato di una speciale autonomia) sta decidendo di sgomberare un'ala dell'Archivio per installarvi la Direzione Generale degli Archivi e il museo di Arte orientale. I lavori di ristrutturazione necessari al trasferimento - a carico del ministero - hanno un costo stimato di 5-10 milioni di Euro. Secondo fonti interne, il MIBACT, in considerazione delle ingenti spese di ristrutturazione, starebbe negoziando con l'Ente EUR una cessione in comodato gratuito per alcuni anni. Ma poi tornerà inesorabilmente a pagare l'esoso affitto.

A questo si deve aggiungere che la Direzione Generale degli Archivi, che da 3 mesi è senza Direttore Generale, paga un affitto annuale di 500mila euro per la sua attuale sede di via Gaeta. Il contratto di locazione è in scadenza a ottobre e la proprietà vorrebbe vendere l'immobile. Il prezzo di vendita sarebbe intorno agli 8 milioni di euro, cui si aggiungerebbe circa 1 milione per i lavori di messa a norma dell'edificio (attualmente non è a norma). Totale: 9 milioni di euro. Una cifra non da poco, certo, ma a fronte della quale il Ministero diventerebbe proprietario dell'attuale sede della DG Archivi e, allo stesso tempo, eviterebbe un trasloco decisamente più costoso e dai risvolti deleteri per l'attività archivistica.

Il fatto che il ministero dei Beni Culturali, le cui casse notoriamente languono, spenderebbe (almeno in partenza) diversi milioni di euro per ristrutturare un edificio non suo - mentre un patrimonio come Pompei cade letteralmente a pezzi - è già motivo di profonda indignazione. Ma il notevole esborso economico, purtroppo, non è l'unica conseguenza di questo improvvido trasloco: l'altra riguarda la reale accessibilità della documentazione che sarà trasferita. In questo modo sarà vanificato, secondo quanto ci conferma anche Foia. it, lo sforzo affidato alla prima realtà italiana che promuove il diritto di accesso alle informazioni pubbliche dove sono concentrati i massimi esperti archivisti del Paese.

Sgomberando e riconvertendo l'ala in questione, il ministero sottrarrà in via permanente buona parte dei depositi dell'Archivio Centrale dello Stato, già esigui. Tanto esigui che da tempo ormai l'ACS, non essendo in grado di ricevere nuovi versamenti di documenti, ha trasferito a Pomezia (in locali presi immancabilmente in affitto) la documentazione che prima conservava in un deposito decentrato all'EUR (più vicino alla sede centrale e dotato di una sala di lettura, ma molto più costoso).

Ora, al dichiarato fine di risparmiare, anche la documentazione oggetto dello sgombero sarà trasferita a Pomezia, dove però non c'è sala lettura, e se i ricercatori vorranno consultarla dovrà quindi essere a sua volta riportata presso l'ACS all'EUR, con un 'pratico ed economicò servizio navetta. Come se non bastasse, poi, in una situazione così paradossale anche una buona novella finisce per nuocere.

A maggio il ministro Franceschini, su decisione dell'intero governo, ha abbassato da 40 a 30 anni i termini per il trasferimento dei documenti pubblici di tutte le amministrazioni interessate agli Archivi di Stato. Si tratta di una misura molto attesa, che punta ad accrescere il grado di trasparenza dell'operato pubblico, ma che - date le circostanze - rischia di avere un effetto boomerang: in moltissimi Archivi di Stato, infatti, non c'è più posto per accogliere nuova documentazione e, nel caso dell'Archivio Centrale, i nuovi versamenti saranno conservati direttamente a Pomezia. E lì resteranno, di fatto inaccessibili ai ricercatori, anche perché non ci sono archivisti per inventariarli.

Stessa sorte potrebbe toccare ai documenti oggetto della recente direttiva-Renzi sulla "declassificazione degli atti relativi ai fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, rapido 904" . Infatti, se la mole degli atti sarà ingente come promesso, gli stessi finiranno appunto a Pomezia, inaccessibili. In caso contrario, come ipotizzano fonti interne degli Archivi, il problema dello spazio per l'archiviazione non si porrebbe, ma bisognerebbe prendere atto che l'operazione sulla declassificazione è stata l'ennesimo fuoco di paglia.

La trasparenza - a dispetto delle suggestioni che può evocare - non si fa con la volatilità delle parole, ma si costruisce con atti concreti, rendendo materialmente più accessibile la documentazione dello Stato. Il primo passo in tal senso è sicuramente l'adozione del Freedom of Information Act (FOIA), come più volte promesso dallo stesso Premier Renzi. Questa operazione, invece, non va nella direzione auspicata né del risparmio né della trasparenza ma, anzi, ricorda piuttosto il passo del gambero: uno avanti e due indietro.

*L'autore dell'articolo è tra i promotori della Iniziativa per l'Adozione del Freedom of Information Act in Italia - www.foia.it



A rischio anche la Biblioteca nazionale
di CARMEN GALZERANO
ROMA - "Vorrei che qualcuno mi spiegasse qual è il limite sotto al quale la barca affonda. Perché taglia oggi, taglia domani, alla fine il naufragio è garantito". È afflitto il direttore della Biblioteca Nazionale di Roma, Osvaldo Avallone, costretto a denunciare che l'austerità oltre a ridurre il numero delle persone, mette a rischio la memoria dei libri. "Ricevevamo finanziamenti per 3.089.000 euro, ora siamo arrivati a 1.250.000. Io credo che il limite sia stato superato da parecchio tempo", denuncia.

La Biblioteca di Castro Pretorio è un palazzo con dieci piani di magazzini, dodici sale di lettura e sette milioni di unità bibliografiche. Un patrimonio documentale di inestimabile valore artistico, storico e sociale che ha reso la Nazionale un punto di riferimento per studenti, ricercatori, storici, appassionati e turisti. "In ogni Paese civile del mondo la Biblioteca Nazionale è l'emblema della nazione", osserva ancora il direttore. "In Francia riveste un'importanza legata all'identità di un paese, la British Library in Inghilterra è conservata come un piccolo gioiello, gli Stati Uniti ne fanno un vanto. Qui in Italia, rappresentiamo un peso, un vero fastidio. Nessuno si preoccupa di questa istituzione se non a parole".

A causa della penuria di risorse che da sempre tormenta il sistema culturale italiano, la Biblioteca Nazionale di Roma ha subito nel corso degli anni costanti tagli al budget, ai quali si sono accompagnate decurtazioni dei servizi e degli orari. Intanto, il personale. Secondo la pianta organica la Biblioteca dovrebbe poter contare su almeno 108 custodi: oggi ce ne sono appena 37. Cosa vuol dire questo in termini di fruizione del servizio che l'ente offre? "È evidente che si lavora lo stesso, ma c'è un solo custode che deve lavorare per due. Niente pause, impegno gravoso, orari più lunghi. I risultati ne risentono. Chi studia o fa ricerca alla fine ottiene il servizio. Ma a pessime condizioni: se prima il libro chiesto si otteneva dopo mezz'ora ora ci vuole un'ora".

"Il fatto che la Biblioteca non abbia ancora chiuso i battenti non significa che funzioni bene con 207 unità. Abbiamo dovuto rinunciare alla distribuzione pomeridiana dei libri; il nostro orgoglio era la catalogazione, eravamo riusciti ad aggionarci dopo un lungo impegno personale: i nuovi libri venivano catalogati e messi a disposizione degli studiosi man mano che arrivavano, ma questo allineamento sarà durato sei mesi. Il personale va in pensione, non c'è ricambio, e il sistema si disallinea".

L'età media dei dipendenti di Castro Pretorio, del resto, si aggira intorno ai 57 anni. L'ultimo concorso rilevante di bibliotecari risale al 1984. "La colpa sostengono sia la crisi economica - commenta il direttore - Sarà anche vero. Non lo dubito. Ma come in tutte le crisi si deve anche compiere delle scelte: se si continua in questo modo tra cinque anni questo istituto chiude. Anzi. Potrebbe accadere prima. Per motivi anagrafici". Eppure le soluzioni per evitare l'impensabile esistono. "Bisogna avere la volontà politica di trovarle e adattarle - spiega ancora Avallone - Io mi auguro solo che cesserà questa politica dei tagli indiscriminati. Si colpisce un po' ovunque per risparmiare. La Cultura è un bene imprescindibile. Rappresenta la nostra identità. Mai come in questo momento c'è bisogno di tutelarla. Con politiche di assunzione e di formazione del personale mirata".
 



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