28.11.10

Report NELLA NUOVA FATTORIA

Report NELLA NUOVA FATTORIA

mezza giornata a Bologna

LE STRADE DEI FORTI: PIEMONTE, VALLE D'AOSTA E LIGURIA

LE STRADE DEI FORTI: PIEMONTE, VALLE D'AOSTA E LIGURIA

Autore

Boglione Marco

Editore Blu Edizioni

Storia ed escursioni a piedi e in MTB lungo le strade militari dell'arco alpino dal Sempione alla Liguria, passando per la Valle d'Aosta


14.11.10

La Vera Bestia

Hearthlings


EARTHLINGS - Terrestri - è un documentario da vedere assolutamente sull'assoluta dipendenza dell'umanità dagli animali (usati come compagnia, come cibo, come vestiario, per divertimento e per la ricerca scientifica) ma illustra anche la nostra completa mancanza di rispetto per questi cosiddetti "fornitori non umani".

Il film è narrato dall'attore Joaquin Phoenix, candidato due volte al premio Oscar e vincitore di un Golden Globe nel 2006, e la colonna sonora è di Moby, artista acclamato dalla critica.

Attraverso uno studio approfondito svolto all'interno di negozi di animali, allevamenti di animali domestici, rifugi, ma anche negli allevamenti intensivi, nell'industria della pelle e della pelliccia, in quella dello sport e dell'intrattenimento, e infine nella professione medica e scientifica, EARTHLINGS usa telecamere nascoste e filmati inediti per tracciare la cronaca quotidiana di alcune delle più grandi industrie del mondo, che basano i loro profitti interamente sugli animali.

Potente e informativo, EARTHLINGS è un film che fa riflettere ed è finora il più completo documentario mai prodotto sulla correlazione tra la natura, gli animali e gli interessi economici degli umani. Ci sono molti film ben fatti sui diritti animali, ma questo li supera tutti.

Impossibile non vederlo almeno una volta nella vita. Illuminante.

Slaughterhouse - The Task of Blood

 La stragrande maggioranza delle persone che mangiano carne hanno scarsa conoscenza di come la carne arriva sul loro tavolo. Slaughterhouse - The Task of Blood rivela il quotidiano funzionamento di un mattatoio inglese e tenta di penetrare nella mente delle persone che vi lavorano. Questo film mostra il processo di produzione di carne, come gli animali vengono abbattuti, macellati e conservati in frigorifero prima di essere trasportati nei punti di vendita al dettaglio. Esso rivela l'atteggiamento e le dinamiche dei lavoratori nello svolgimento del loro impiego, i loro colleghi e spunti della loro vita. Il documentario della BBC ha vinto il premio BAFTA film-maker, Brian Hill.

Salmone... (ricetta di Andrea)

Per la crema:
2.5 h burro
1 uovo sodo
citruna pippuri (da Superpolo a Milano?)

Per il salmone:
salmone - filetto spinato con pelle sotto

Per il "tappeto verde"- proporzioni da usare a multipli :
2 di aneto secco
2 di sale
1 di zuccehro
pepe tritato

Mischiare e ricoprire il filetto di salmone, 24h prima, avvolgere in carta argentata doppia, frigo. Dopo 24h bucare carta e scolare acqua.

Fast Food Nation

29.8.10

Rientro dalle vacanze: dieta e niente fretta

Frutta lontano dai pasti
Verdura cotta
Limitare le fibre insolubili (legumi crusca cereali integrali)
Meglio le idrosolubili (carote mele prugne agrumi) che sono
antinfiammatorie e favoriscono la proliferazione della flora intestinale
buona
Evitare I cibi che stressano la digestione: caffe latte insaccati fritti
Attivita fisica

15.8.10

Sara' Eroica?

how to repair the palmers

http://www.yellowjersey.org/tubfix.html
http://www.sheldonbrown.com/brandt/tubular-repair.html

Vittoria normal cross, che sono leggermente piu' larghi e appena piu' scolpiti dei palmer tradizionali, ma sono praticamente indistruttibili, anche fuoristrada; non sono piu' in produzione - trovati da Guerciotti, zona Gorla. http://www.guerciotti.it/come_raggiungerci.htm

Togli il palmer dalla ruota, scolli il nastro interno (quello che va a contatto col cerchio), scuci (tagli) con le forbicine da sarto il filo che chiude il tubolare attorno alla camera d'aria (non attorno alla valvola) togli la camera d'aria, cerchi il foro e ci metti la toppa: non troppo grossa e spessa sennò fai fatica a ricucire e quando lo gonfierai sentirai la gobbetta, riponi la camera nel tubolare, prendi il filo (va bene quallo fine da calzolaio), ricuci per bene il tubolare con lo stesso disegno di prima senza lasciare rilievi, incolli il nastro interno.

da decathlon vendono palmer tra 11 e 13 euri

Stecca degli Artigiani, Milano (via Confalonieri 10, quartiere Isola)

Per la riparazione mi hanno insegnato così. Gonfio il tubolare e cerco la perdita. Poi con un morsetto e due placchette di legno chiudo la zona per esser sicuro che la perdita sia lì (teoricamente se nel punto del buco la camera d'aria è incollata alla copertura, l'aria potrebbe compiere qualche cm prima di uscire). A quel punto strappo delicatamente la fettuccia (che si rincolla con la stessa colla di riparazione o del lattice) per un 10, massimo 15 cm. Faccio un segno trasversale al tubolare con penna e righello così poi sono sicuro di far combaciare i due lembi della cucitura che vado a tagliare con un bisturi o una forbicina. Annodo il filo nel punto dei due tagli (così non si allarga la scucitura...) e procedo con la riparazione. Tiro fuori la camera d'aria, la giro per scoprire il lato dove c'è il buco ed eseguo la riparazione come una normale camera d'aria (spolvrando di talco alla fine, epr evitare incollaggi tra camera e copertura). Poi rimetto tutto a posto e ricucio con filo di cotone robusto (ottimo quello da tapezziere e da sartoria pesante, tipo quello di cotone robusto col quale si cuciono i sipari teatrali. La figata hi-tech è usare il filo interdentale...) cercando di riprodurre la cucitura originale, che di solito è di quella semplice che nelle sartorie teatrali chiamano "sopraggitto", utilizzando i buchi già presenti: bucare nuovamente indebolisce la copertura. Avendo indebolito complessivamente anche la cucitura è buona cosa sovrapporre la nuova cucitura a quella originale per alcuni buchi: se ho scucito insomma per 40 buchi, la nuova cucitura a mano sarà lunga almeno 50-60 buchi, raddoppiando quindi (per 5-10 buchi all'inizio e 5-10 buchi alla fine) la cucitura originale. Nodo all'inizio ed alla fine della cucitura, ça va sans dire, come quando si cuce un bottone. Mi raccomando l'ago: quello per riparare i calzini è troppo fine e fate fatica a lavorare, non fate gli sboroni con l'ago da calzoleio perchè allargate i buchi e quando tirate la cucitura il filo vi taglia la copertura!

8.8.10

Non importa

Non importa se rallenti
o sordo diventi
il ricordo oggi dimenticato
quando sarai mancato
non puo finire

28.7.10

I dispiaceri della carne

I dispiaceri della carne

23 luglio 2010⁠

Controlli insufficienti. Allevamenti lager. Macellazioni clandestine. Ampio uso di farmaci. È allarme per quanto riguarda la qualità della carne che finisce sulle tavole degli italiani.

Di certo questo articolo farà riflettere chi la carne la consuma e magari ignorava cosa c'è diestro a quella bistecca che hanno appena mangiato, ma non sconvolgerà di certo chi ha scelto di non consumare carne cosciente non solo delle ragioni sociali e di salute che sono affrontate in questo
articolo  ma anche delle ragioni etiche che stanno dietro al rifiuto di carne e derivati.

Non restiamo sconvolti davanti a dei dati che conoscevamo già, davanti a quelle che non suonano come rivelazioni ma come un elenco di mali che ruotano attorno all'industria della carne, con conseguenze immediate sugli animali e sui consumatori.

Questo è la carne.

E molto di più. Che vogliate rendervene conto o meno, con questo avete a che fare ogni volta che ne consumate, con uno dei più grandi affari economici della storia con buona pace degli allevatori, con infinite torture inflitte agli animali e conseguenze anche per l'uomo e il suo ambiente.

Fonte: L'Espresso – 22 luglio 2010 – Articolo di R.Bocca

Nel piatto c'è un filetto al sangue. O una costata di maiale. O un pollo al forno che aspetta di essere divorato. La forchetta è già a mezz'aria quando si affaccia un dubbio: ma in che percentuale, la carne macellata in Italia, viene controllata dai veterinari pubblici? Insomma: quanto possiamo essere
certi che, nel cibo che stiamo mangiando, non siano contenute sostanze tossiche o comunque pericolose?

La prima risposta arriva da Francesca Martini, sottosegretario alla Salute: "Il consumatore italiano può stare tranquillo", garantisce, "la sicurezza della filiera alimentare è assoluta, anche per la carne. Tutti gli standard europei vengono rispettati. I nostri veterinari sono un esempio di professionismo. Dunque non c'è da preoccuparsi". O meglio: non ci sarebbe, se non si intrecciassero i dati dell'anagrafe nazionale bovina, dell'Istat e dell'Unione nazionale avicoltura con le statistiche del Piano nazionale
residui, il programma ministeriale "di sorveglianza sulla presenza, negli animali e negli alimenti di origine animale, di residui di sostanze chimiche che potrebbero danneggiare la salute pubblica".

Da questo intreccio di analisi escono numeri poco entusiasmanti, scenari
poco popolari. Nel 2009, ad esempio, la percentuale dei controlli sui
bovini macellati (in tutto 2 milioni 949 mila 828) ha riguardato 15 mila
803 capi, ed è stata pari allo 0,5 per cento. Dei 13 milioni 616 mila 438
suini macellati, invece, i veterinari ne hanno controllati 7 mila 563, cioè
uno striminzito 0,05 per cento. E ancora meno sono stati controllati gli 11
milioni 740 mila quintali di volatili macellati (tra polli, tacchini, oche
e quant'altro), con un totale di 4 mila 316 verifiche e il record negativo
dello 0,03 per cento (inferiore agli standard imposti dalle direttive Ue).

"Il settore delle carni è una polveriera, ne paghiamo ogni giorno le
conseguenze, ma nessuno ha interesse a sollevare la questione", dice Enrico
Moriconi, presidente dell'Associazione veterinari per i diritti animali
(Avda). Un problema di prima grandezza, considerando che lo scorso anno gli
italiani hanno consumato in media 92 chili di carne a testa, e che per il
presidente di Assocarni Luigi Cremonini "i consumi sono destinati a
crescere". Eppure l'opinione pubblica è serena: "La gran parte della
popolazione continua a non chiedersi cosa può nascondere una bistecca",
sostiene Moriconi: "Al massimo si agita quando scoppiano episodi di
straordinaria gravità: come l'influenza aviaria nel 1999 e 2002, la
cosiddetta mucca pazza nel 2001, o le carni suine irlandesi contaminate
dalla diossina nel 2008".

Emergenze che la sanità italiana ha affrontato senza sbandamenti, va
riconosciuto, adeguandosi velocemente ai protocolli internazionali. Ma la
comune origine di questi allarmi è rimasta identica: "Una zootecnia suicida
basata sugli allevamenti intensivi", la chiama Roberto Bennati,
vicepresidente della Lega antivivisezione (Lav). "Una strategia industriale
che, partita dagli Stati Uniti nel dopoguerra, è arrivata in Europa
travolgendo regole e tradizioni".

Anno dopo anno, ettaro dopo ettaro, al posto dei pascoli si sono imposti
capannoni "dove gli animali vivono in condizioni di sovraffollamento,
immersi nell'inquinamento dei loro stessi escrementi (pregni di ammoniaca
per i bovini, e metano per il pollame), con limitate possibilità di
movimento e reiterati bombardamenti farmacologici". Non importa che anche
la Food and agricolture organization, a nome delle Nazioni Unite, definisca
queste strutture "un vivaio di malattie emergenti". Malgrado la crisi,
l'industria italiana delle carni nel 2009 ha fatturato 20,5 miliardi di
euro. Ed è una cifra che colpisce, oltre che per dimensioni, per il
confronto con la quantità di bestiame che muore all'interno delle nostre
aziende zootecniche. "Nel 2008″, documenta la Lav, "sono morti in Piemonte
20 mila 700 bovini allevati. In Veneto sono arrivati a quota 24 mila 433.
In Emilia Romagna ne hanno contati 18 mila 217 e in Lombardia 67 mila 996.
È accettabile questo cimitero? E chi può dire, in buona fede, che non
bisogna allarmarsi?".

Discorsi scivolosi, comunque li si prenda. Non soltanto nel campo dei
bovini, e non solo sul fronte della salute in senso stretto. Dice Nino
Andena, presidente dell'Associazione italiana allevatori (Aia): "Siamo
arrivati al punto che stanno meglio gli animali negli allevamenti, che gli
esseri umani nelle loro case…". E verrebbe da credergli, tanta è la
disponibilità con cui presenta la zootecnia moderna. Ma poi uno arriva a
Colombaro di Formigine, provincia di Modena, e trova una realtà come quella
della Società agricola Colombaro. "Qui cresciamo 20 mila suini", mostra
stalla per stalla il titolare Domenico Bellei. E non è un bello spettacolo:
ecco cinque maialini schiacciati, durante lo svezzamento, in ogni metro
quadro; eccone altri quattro in un metro quadro tra i 70 e i 180 giorni di
vita; ecco, ancora, gli 80 centimetri pro capite nei quali si trovano i
suini all'ingrasso. E mentre una fila di bestie urlanti sale sul rimorchio
che le porterà a diventare porchetta, Bellei fa un ragionamento schietto:
"Anche noi preferiremmo allevare maiali con altri criteri, più rispettosi
del loro benessere. Ci abbiamo pure provato, ma prevalgono le esigenze
commerciali. Così rispettiamo le regole ed evitiamo le ipocrisie: se gli
italiani pretendono l'etica da noi allevatori, accettino che i prodotti
siano più cari. Altrimenti è soltanto teoria…".

Parole condivisibili, per certi versi: ma anche incomplete. C'è molto
altro, infatti, da dire sull'esistenza intensiva dei maiali. Per esempio
che i tecnici dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa),
hanno presentato nel 2009 un'indagine sulla salmonella nei suini da
riproduzione. E il risultato, accolto dal silenzio pneumatico dei mass
media, è che il batterio risulta presente nel 51,2 per cento degli
allevamenti italiani (superati dalla Spagna con il 64 per cento, l'Olanda
con il 57,8, l'Irlanda con il 52,5 e il Regno Unito con il 52,2). "Quanto
basta per ribadire che la carne, fuori e dentro l'Italia, è un vettore di
rischio", dice la biologa Roberta Bartocci.

E lo scenario non cambia, aggiungono gli animalisti, spostandosi dai suini
al pollame. "Sempre l'Efsa", spiegano, "ha concluso uno studio sulle
carcasse dei polli da carne, e la scoperta è che nel 2008 il 49,6 per cento
dei campioni italiani era affetto da campylobacter (un batterio che, in
caso di cottura non completa della carne, può provocare forti dolori
addominali, febbre e diarrea), mentre il 17,4 mostrava tracce di
salmonella".

"La verità", segnala il responsabile dell'Unità operativa igiene degli
allevamenti piemontesi Gandolfo Barbarino (membro anche delle commissioni
ministeriali per il farmaco veterinario e i mangimi), "è che nel settore
carni ci vorrebbe più trasparenza". A partire dal famoso Piano nazionale
residui, che dovrebbe individuare le sostanze illegali somministrate al
bestiame per prevenire i malanni e velocizzarne la crescita. "Nel 2009″,
racconta Barbarino, "su 33 mila 552 campioni analizzati, è risultato
positivo appena lo 0,22 per cento. Ma non c'è da festeggiare. Il problema è
che i riscontri si basano sulle analisi chimiche di fegato, carni, sangue e
urine. E chi pratica il doping, in questo campo, ha raggiunto livelli di
tale raffinatezza da sfuggire ai controlli".

Per i bovini la procedura è semplice e rigorosa, spiega un allevatore
campano dietro promessa di anonimato: "Prima di tutto i trattamenti
avvengono il venerdì, perché nel fine settimana i dopanti fanno in tempo a
diventare invisibili". Si tratta di cocktail che contengono "dieci, dodici
sostanze proibite: in dosi ridotte ma con effetti esplosivi". Nei primi due
mesi, prosegue l'allevatore, "per far crescere alla svelta gli animali si
dà estradiolo con testosterone o nandrolone. Poi si passa ai beta agonisti,
che favoriscono la diminuzione del grasso, fino alla vigilia della
macellazione. E nell'ultimo periodo, utilizziamo i cortisonici per
aumentare la ritenzione idrica e definire al massimo la massa muscolare".
Tutto con la certezza dell'impunità totale, precisa: "Perché è vero che ci
sono i controlli, ma altrettanto vero è che pochi veterinari hanno voglia
di discutere con la camorra".

Anche per questo, spiegano gli addetti ai lavori, non bastano i 6 mila 500
veterinari in forza alle pubbliche amministrazioni (dei quali 5 mila 787
nelle Aziende sanitarie locali) a garantire la sicurezza delle carni
italiane.

"Il malaffare e l'opacità mettono a dura prova qualunque sorveglianza",
dice il biologo Pierluigi Cazzola, responsabile a Vercelli dell'Istituto
zooprofilattico sperimentale (Izs). Basti pensare al documento riservato, e
non ufficiale, che il ministero della Salute ha discusso il 19 maggio con
esponenti dei carabinieri, dell'Istituto di zooprofilassi e dell'Istituto
superiore di sanità. "Al centro dell'attenzione, c'era la tabella del
ministero con i farmaci prescritti agli animali d'allevamento", spiega un
testimone. "In particolare, si è chiesto alle Regioni di specificare quante
volte nel 2009 i veterinari avessero legalmente permesso agli allevatori di
utilizzare sostanze delicate per la salute animale (e quindi umana) come
gli ormoni. "L'esito, poco credibile, è che in Emilia Romagna su 46 mila
383 prescrizioni ordinarie non è risultato nessun caso. Idem per la
Sicilia, su un totale di 9 mila 641 prescrizioni. Per non parlare di
Lombardia, Liguria, Campania, Calabria, Basilicata, Veneto, Friuli e
Sardegna, che scaduti i termini di consegna non avevano ancora inviato i
dati".

In questo clima, viene da pensare, tutto è possibile: non solo dentro i
capannoni intensivi, ma anche nei pascoli di montagna. Raccontano gli
allevatori abruzzesi onesti, ad esempio, che le loro parti non sono esenti
da illegalità: "Si tratta", spiega uno di loro, "delle marche auricolari, i
sigilli che per gli animali equivalgono a carte d'identità". Un tempo erano
targhe metalliche, difficilmente trasferibili da una bestia all'altra.
"Oggi invece sono di plastica, si staccano senza problemi, e vengono
applicate alle bestie straniere, importate di nascosto ed escluse dal
circuito sanitario". Oppure, dice un altro allevatore, "c'è chi le marche
auricolari non le mette proprio, allevando anche animali malati". E non
sono notizie per sentito dire. Per verificarlo basta salire fino ai pascoli
di Pratosecco, sopra al comune di Camerata Nuova, e osservare un branco di
circa 300 vacche. La maggioranza dei capi, va sottolineato, ha regolari
marche. Altri, invece, no. "Il problema è capire di chi sono questi
animali", spiega Massimiliano Rocco di Wwf Italia, presente al sopralluogo,
"e poi catturarli: tracimano ovunque, dai prati ai boschi, in un circuito
di illegalità che parte dall'estero e arriva al nostro territorio".

Certo: non sbaglia François Tomei, direttore di Assocarni, quando sostiene
che nel suo settore "il numero di controlli ufficiali in Italia è superiore
a quello di qualsiasi altro Paese". E fa bene a ricordare che "la filiera
italiana ha un prodotto con caratteristiche organolettiche e nutrizionali
particolarmente elevate". Ma non è ancora sufficiente, a chiudere il
discorso: "A tutelare i consumatori, sarebbe utile anche un'Agenzia per la
sicurezza alimentare", dice la senatrice Colomba Mongiello (Pd), "ma il
governo ha pensato di inserirla tra gli enti inutili". Ora, spiega, si è
arrivati a una probabile retromarcia, ma se anche l'Agenzia dovesse partire
mancherebbero gli indispensabili decreti attuativi: "La sensazione è che,
in un Paese che mal tollera i controllori, non sia un ritardo casuale".
Quanto al fronte estero, e al rischio che i nostri confini siano
attraversati da bestiame malato, o in ogni caso fuori controllo, è utile
leggere i regolamenti comunitari. Soltanto così, infatti, si apprende che
in Europa i controlli spettano alle nazioni che esportano bestiame, mentre
gli Stati riceventi possono giusto svolgere "controlli per sondaggio e con
carattere non discriminatorio". Un obbligo che limita l'eccellente rete dei
nostri Uffici veterinari per gli adempimenti degli obblighi comunitari
(Uvac) e dei Posti di ispezione frontaliera (Pif). "Ma soprattutto",
commentano i veterinari, "fa guardare con sospetto al lungo elenco di
nazioni che non segnalano alcuna positività delle loro bestie alle sostanze
proibite". Tra queste, recita la tabella disponibile del 2007, Bulgaria,
Danimarca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Romania,
Slovenia, Repubblica slovacca e Svezia.

Da qui, il baratro delle macellazioni clandestine. "Di recente", dicono al
Wwf Italia, "è arrivato sui nostri tavoli un dettagliatissimo documento sul
ciclo illecito degli scarti di macellazione in Campania, Basilicata e
Puglia". Quattro pagine anonime in cui si spiega come pezzi di animali a
rischio non vengano eliminati dopo la macellazione, ma rientrino nel
sistema alimentare sotto la guida di organizzazioni criminali. Un'ipotesi
da approfondire, anche perché in linea con quanto accaduto in Italia nel
2009. Lo scorso febbraio, per dire, il Nucleo anti sofisticazioni dei
carabinieri (Nas) ha sequestrato 18 tonnellate tra carne e prodotti di
origine animale: non solo trovati in pessimo stato di conservazione, ma
privi della bollatura sanitaria. "Nell'occasione", hanno scritto le agenzie
di stampa, "sono stati individuati 102 centri di macellazione clandestina,
con 113 persone denunciate per il mancato rispetto delle norme igieniche e
la non corretta tenuta dei capi animali da parte degli allevatori".

Ecco perché non stupisce una comunicazione riservata del Nucleo
agroalimentare e forestale (Naf), nella quale si spiega che "le
macellazioni clandestine interessano (in Italia, ndr) circa 200 mila
bovini, che spariscono ogni anno dagli allevamenti ad opera della
malavita". Non c'è controllo che tenga. Non c'è multa che scoraggi. I
dispiaceri della carne abbondano, anche se nessuno pare allarmarsi. "Per
questo", dice Walter Rigobon, membro della segreteria nazionale di
Adiconsum (Associazione in difesa di consumatori e ambiente), abbiamo
stretto un accordo in provincia di Treviso con il consorzio Unicarve e i
supermercati Crai". Di fatto, spiega, "garantiamo ai consumatori carne che
abbia una tracciabilità totale: dalla nascita dell'animale fino al banco
vendita". L'iniziativa si chiama "Scrigno della carne": "Perché la salute è
un bene prezioso", dice Rigobon. Anche più del business.
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6.7.10

Arachidi

Buon appetito, e salverai la Terra (L'Espresso)

di Tiziana Moriconi
Niente carne, molta frutta. Poco formaggio, un po' di patate. Ok per il riso, ma piano con il pesce. Ogni volta che ci sediamo a tavola possiamo scegliere tra alimenti la cui produzione è più o meno nociva per il pianeta
(28 June 2010)
Sogliola fresca 3,3, aragosta 20, gambero surgelato 10. Non sono i prezzi all'etto di un mercato del pesce, ma i chili di CO2 emessi per ogni chilo di ciascun prodotto, calcolato per tutto il suo ciclo di vita, dalla pesca (o allevamento), al consumo e allo smaltimento. Che danno un'idea di quanto la nostra scelta possa avere un impatto sull'ambiente. Sono numeri, forniti dal Life Cycle Assessment Food Database del ministero della Pesca e dell'Agricoltura danese che i ricercatori del Barilla Center for Food & Nutrition (Bcfn) di Parma hanno messo insieme ai dati di tutte le ricerche pubbliche condotte negli ultimi anni sull'impatto ambientale dei diversi alimenti. I risultati - che saranno presentati a Milano al convegno "Alimentazione e ambiente: sano per te, sostenibile per il pianeta" (in live streaming sul sito del Bcfn: www.barillacfn.com) - non riguardano solo gli effetti stranoti della carne bovina, ma quelli della maggior parte dei cibi che si trovano nel nostro frigo e nelle nostre dispense. E ci dicono, per esempio, che tra scegliere gamberetti freschi e quelli surgelati c'è una differenza quantificabile in più di sette chili di gas serra.

Perché è ormai opinione condivisa tra gli esperti che si debba tenere in debito conto quanta CO2 consumiamo con i nostri pasti. E che si debba cominciare a considerare anche altre conseguenze ambientali, come, ad esempio, la quantità d'acqua necessaria alle produzioni. Ma questi parametri, di per sé, non sono sufficienti a orientare le scelte alimentari che, ovviamente, devono tener conto dell'impatto sulla salute dell'alimentazione. Per questo, i ricercatori del Bcfn sono andati oltre la raccolta e l'analisi delle informazioni a oggi disponibili sull'impronta ecologica: hanno annotato i prodotti dal più eco al più invasivo; confrontato l'impronta ecologica all'impronta della salute. E scritto una piramide molto simile alla piramide alimentare della dieta mediterranea, ma invertita. 

Affiancando le due figure si osserva come i cibi che secondo le indicazioni internazionali dovremmo mangiare più spesso siano anche quelli con minor impatto ambientale. Senza però limitarsi a dire che frutta e verdura sono l'optimun e la carne è il diavolo. No, i ricercatori sono scesi nel dettaglio. E ci dicono, ad esempio, che per produrre un chilo di formaggio si emettono circa 9 chili di CO2 e servono 5 mila litri d'acqua. Una quantità equivalente di yogurt, invece, comporta un chilo di anidride carbonica e il consumo di mille litri di acqua. Un comportamento eco-friendly vorrebbe quindi che lo yogurt venisse consumato più frequentemente del formaggio. Proprio come consigliato dai nutrizionisti. La coincidenza esiste per la maggior parte delle categorie.

Per capire bene il senso della doppia piramide bisogna innanzitutto tenere conto che il prezzo che la Terra paga per sfamarci è calcolato sulla base di tre indicatori: la Carbon Footprint, che stima la quantità di CO2 equivalente emessa durante tutto il ciclo di vita di un alimento, la Water Footprint che calcola l'acqua consumata o inquinata (e della cui stima si occupa l'omonima organizzazione olandese non profit). E l'Ecological Footprint, che dà una misura di quanti ettari di terra sono necessari per rigenerare le risorse consumate e per assorbire i rifiuti prodotti: attualmente, secondo l'ultimo rapporto del Global Footprint Network, pubblicato lo scorso dicembre, stiamo "mangiando" le risorse di un pianeta grande 1,3 volte la Terra. Significa che per rigenerare quanto consumato in un anno occorrono circa 16 mesi. Tra i vari paesi, le impronte ecologiche più grandi sono quelle degli Emirati Arabi Uniti e degli Stati Uniti. L'Italia è in ventiquattresima posizione, ma le dimensioni del terreno consumato in un anno da ciascuno di noi sono di tutto rispetto: equivalgono a circa sei campi da calcio.
La piramide ambientale tiene conto però solo dell'Ecological Footprint. Per due motivi: è il più completo (considera anche la CO2) ed è facile da visualizzare. Va detto, inoltre, che per molti alimenti non esistono al momento dati sul consumo di acqua. Per le diverse specie di pesce, crostacei e molluschi allevati in acquacoltura, per esempio, la stima risulta troppo complicata, dovendo considerare il ricambio delle vasche e tutta l'acqua utilizzata nel ciclo di vita del mangime. Ancora più complicato stimare quanta ne consuma l'industria della pesca, visto che non è chiaro neanche su cosa raccogliere dati. E anche i numeri forniti dalla Carbon Footprint sono parziali, perché i dati disponibili non tengono conto dei mix energetici dei vari paesi: noi sfruttiamo soprattutto gas, la Svezia l'idroelettrico, la Germania il carbone, ad esempio. Per questo, l'impronta della CO2 non solo è un indice che potrebbe variare molto a seconda di dove l'alimento è prodotto, ma non dà ragione dell'impatto di quelle nazioni come la Francia che utilizzano soprattutto l'energia nucleare.

Piu' giovani col bio (L'Espresso)

di Paola Emilia Cicerone da Gigors-Et-Lozeron
Basta con il bisturi e con il botox. La nuova tendenza è combattere l'invecchiamento con prodotti naturali e oli essenziali. Tipo la melissa, il cisto e il garofano. Che, a quanto pare, funzionano meglio dei derivati chimici di cui sono piene le profumerie
(05 July 2010)
La cosmesi del futuro profuma di fiori. O meglio di oli essenziali - geranio, cisto, melissa - provenienti da coltivazioni biologiche, ma in grado di sfidare la chimica. E trasformare la cosmetica bio da prodotto di nicchia a formulazione di avanguardia per combattere rughe e invecchiamento della pelle. Per convertire anche le consumatrici più scettiche, quelle che "naturale è bello, ma per un antirughe efficace ci vuole la chimica".

"E invece no", ribatte Elisabeth Araujo, direttrice generale di Sanoflore, il laboratorio di cosmetica biologica nato nel 1986 nel parco nazionale del Vercors, in Francia e acquisito da L'Oréal nel 2006 con l'obiettivo di farne il leader della cosmetica bio: "Abbiamo visto che gli oli essenziali danno risultati paragonabili a quelli della chimica tradizionale". Come l'olio di melissa che ha un effetto anti ossidante paragonabile a quello della vitamina C. O il geranio rosato che anche in dosi minime stimola la rigenerazione della pelle con un'azione simile a quella del retinolo, star delle più sofisticate creme anti aging. E poi c'è l'olio di cisto, un'essenza mediterranea le cui proprietà rigeneranti e anti infiammatorie sono state finora poco utilizzate, e c'è il cipresso, il cui olio stimola la produzione di glucosaminoglicani che forniscono l'acqua alla pelle.

Il futuro della cosmesi allora è bio? Di sicuro c'è che il settore è in forte crescita. In un anno sono aumentati del 23 per cento i prodotti che hanno ottenuto il bollo dell'Istituto per la Certificazione Etica ed Ambientale: ben 2847, in maggioranza creme per viso (409) e corpo (309) ma anche prodotti per capelli (213) e per la doccia (173). In crescita anche il fatturato, che nel 2009 è arrivato a oltre 8 milioni di euro ( con un aumento del cinque per cento rispetto all'anno precedente) e le case cosmetiche certificate, cresciute di un quinto in un anno, oltre al colosso L'Oréal-Sanoflore ci sono brand come Argital, Derbe, Lakshmi, Guaber L'Angelica, Specchiasol (l'elenco completo nel sito www.icea.it).
A sentirli parlare, i più sorpresi dei risultati ottenuti sembrano proprio gli addetti ai lavori. "La cosmesi naturale è una vera rivoluzione che impone un cambiamento di mentalità rispetto alle certezze della chimica", spiega Christine Guion, direttrice della Ricerca Sanoflore: "La chimica lavora su un singolo principio attivo, in un olio essenziale ci sono da cinquanta a duecento molecole attive che si associano diversamente tra loro a seconda della stagione, del clima, della provenienza. Ed è l'interazione tra queste a renderlo efficace".

E deve essere vero se persino un gigante della cosmesi classica come L'Oréal ha sposato la causa bio, mantenendo, dopo averla acquisita, la struttura originale di Sanoflore. Magari sedotta dal suo fascino. E da Gigors-et-Lozeron, la località che ospita laboratorio e coltivazioni, nel dipartimento della Drome, il primo in Francia per produzioni agricole bio: uno di quei posti che si ha la tentazione di raccontare senza spiegare troppo come raggiungerli, nella speranza di mantenerli incontaminati. Un altopiano nascosto tra il Delfinato e la Provenza, all'interno del parco regionale del Vercors, le cui condizioni climatiche garantiscono piante ricche di principi attivi.

Sono i coltivatori della zona a fornire buona parte delle erbe utilizzate, con la certificazione di produzione biosolidale, incoraggiati a recuperare specie dimenticate per variare l'offerta. "Lavoriamo anche con produttori esterni: agrumi che arrivano dall'Italia, chiodi di garofano dal Madagascar, altre essenze dall'America del sud", spiega Araujo: "E manteniamo un controllo costante per identificare gli oli più ricchi di principi attivi. Ed evitare piante a rischio di estinzione".

Il laboratorio lavora su due tipi di prodotti, oli essenziali e idrolati: le piante raccolte vengono distillate per estrarne grazie al vapore la componente aromatica oleosa. "Servono sette tonnellate di melissa per ottenere un litro di olio essenziale" ricorda Guion: "Che però non si usa puro, ma sempre diluito con oli vegetali". Ogni olio viene poi sottoposto a test come la cromatografia per individuarne le potenzialità. La stessa procedura di distillazione consente di produrre gli idrolati, le acque floreali che contengono molecole di oli essenziali insieme ad altre sostanze idrosolubili presenti nella pianta.


"È un prodotto ancora non molto conosciuto, di cui stiamo studiando le proprietà", spiega Guion
Analisi e test che in Sanoflore si svolgono nel piccolo laboratorio affacciato sull'orto botanico, in sinergia con i laboratori di Parigi, da dove arriva la pelle ricostruita in vitro su cui si testa l'efficacia delle formule. Il risultato sono prodotti molto semplici che hanno dietro un grande lavoro di ricerca.
Rispetto alla tradizionale immagine dell'industria, una rivoluzione. Che parte dall'orto botanico che rifornisce di piante. "L'orto e la cascina sperimentale sono una vetrina per far vedere che l'agricoltura biologica non è un'utopia", afferma Pierre Lartaud, responsabile dei progetti Ricerca e Sviluppo. Dietro l'orto, c'è l'impianto di compostaggio dove finiscono gli scarti di distillazione che saranno poi ridistribuiti sul suolo. E la cascina dove si sperimentano nuove tecniche di coltivazione bio e varietà di piante potenzialmente interessanti, a partire dalle produzioni locali.

"La sfida è quella di lavorare con un prodotto vivo, mai uguale a se stesso. Una rivoluzione che cambia il modo di valutare l'efficacia dei cosmetici", spiega Corinne Ferraris, Responsabile del Coordinamento Scientifico. Perché l'efficacia deve essere comunque in primo piano giacché l'obiettivo è il mercato. Come spiega Araujo: "Vogliamo proporre prodotti efficaci ma sostituendo siliconi e altri ingredienti sintetici con materie naturali . E mettiamo la massima attenzione per la sicurezza: non eliminiamo solo le sostanze chimiche su cui ci sono già perplessità, ma anche quelle che in futuro potrebbero porre problemi basandoci sul principio di precauzione".

Nelle creme bio non ci sono componenti inerti, "acqua e parte grassa sono sostituiti da idrolati, oli essenziali o grassi vegetali come il burro di Karitè, che pure hanno un'attività nutritiva e ricostruiscono la base protettiva della pelle", precisa Guion. E anche il profumo non è un additivo, ma una caratteristica degli ingredienti. "Di solito il profumiere deve trovare un profumo gradevole per coprire l'odore di base, qui usiamo ingredienti che hanno già un loro odore e cerchiamo di dosarli in modo da renderlo gradevole e non troppo forte", spiega Mailis Richard, il naso a caccia di profumazioni bio.

"Tradizionalmente la cosmesi bio non presta particolare attenzione ai profumi perché gli ingredienti hanno già un loro odore naturale", spiega: "Noi cerchiamo di creare profumazioni più sofisticate, e lavoriamo a stretto contatto con chi formula i prodotti". Il tutto utilizzando un decimo degli ingredienti a disposizione dei profumieri tradizionali. "E poi ci sono oli che hanno un odore troppo forte, troppo terroso, altri che colleghiamo magari alla cucina e non alla cosmesi".
Già, anche la profumazione diventa centrale se si vuole fare di tutto, sintetizza Araujo:"Perché il bio non rimanga un prodotto per pochi".

20.6.10

Terza età dell'oro - di Agnese Codignola (L'Espresso - 20 Maggio 2010)

Un occidentale guadagna in media sei ore di vita al giorno. La maggior parte dei nati oggi vivrà cent'anni e più. E la scienza ha scoperto come farlo senza acciacchi


No, il genio della longevità non è uscito dalla lampada per essere trasformato in comode pilloline. Perché la salute dopo i cinquant'anni non dipende da rimedi miracolosi, ma da un mix di elementi ambientali, chimici, farmacologici, psicologici e sociali che solo ora si inizia a decrittare. Grazie ai risultati di moltissimi studi sui centenari che cominciano a dare un quadro ben definito di quali siano gli ingredienti dell'elisir di lunga vita. Posto che l'obiettivo non è quello di vivere il più a lungo possibile, ma di mantenere l'organismo sano il più a lungo possibile. Insomma, quello a cui puntano gli scienziati è un esercito di ultra-ottantenni in buona salute, ancora in grado di vivere al meglio la vita. Giacché, secondo un articolo del demografo James Vaupel, del Max Planck Institute for Demographic Researh di Rostock, pubblicato su "Nature", ogni giorno l'occidentale medio guadagna 6 ore di vita, pari a 2,5 anni ogni decennio. Il che significa che la maggior parte dei bambini nati dopo il 2000 spegneranno senza troppo clamore cento e più candeline.
Non solo Dna

L'Italia è in prima fila in questo genere di studi, perché gli italiani hanno un'età media tra le più alte al mondo, pari a 80,2 anni (84,2 per le donne e a 78,9 per gli uomini, secondo i dati Istat), e perché ospita alcune delle comunità più interessanti per chi si occupa dei supervecchi come quella sarda. Studiata da anni da Luca Deiana, ordinario di Biochimica clinica e biologia molecolare clinica dell'Università di Sassari e responsabile del programma AKeA (acronimo di A Kent'Annos, saluto molto diffuso con il quale ancora oggi, i sardi si augurano di campare cent'anni) che ha messo sotto il microscopio gli over 100 dell'isola per carpirne i segreti.
"Fino a ora abbiamo ricostruito e certificato la storia di oltre 2 mila centenari, e abbiamo visto che la salute dopo i 50 anni dipende da molti ingredienti mischiati in modo talmente perfetto da risultare quasi indistinguibili", spiega Deiana. Data la concentrazione geografica, in Sardegna come altrove si è cercato di capire innanzitutto quanto conti il fattore genetico, anche in considerazione del fatto che la longevità sembra essere tramandata di generazione in generazione, e si è capito che esistono assetti genetici che favoriscono la lunga sopravvivenza. Per esempio, una malattia diffusissima in Sardegna, il cosiddetto favismo, è particolarmente presente nei centenari, come se il deficit genetico che ne è alla base avesse un effetto protettivo. "Ma è altrettanto chiaro che i geni non bastano", ammonisce lo scienziato.

Secondo diversi ricercatori, tra i quali Leonard Guarente dell'Mit di Boston, la genetica è responsabile di non più del 30 per cento dell'allungamento della vita: i geni coinvolti sono molti - oltre 440 se si considerano tutti quelli che iniziano a invecchiare dopo i 40 anni - ma i dati dimostrano che il Dna gioca un ruolo abbastanza marginale. Tutto il resto - sostengono concordi i ricercatori di tutto il mondo - è stile di vita e carattere.

Spiega Daniela Mari, docente di geriatria e gerontologia dell'Univerità statale di Milano e responsabile del progetto sui centenari del capoluogo lombardo sponsorizzato dal Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e in corso in cinque atenei: "Nell'arco di un secolo abbiamo visto un allungamento drastico della durata della vita in una città come Milano dove, per molti aspetti, la situazione ambientale non è certo ottimale. Come mai? Probabilmente per il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, come confermato anche dal fatto che si sta rapidamente colmando il gap tradizionale tra uomini e donne, perché entrambi hanno accesso a una medicina che riesce a tenerli in vita molto a lungo. E poi c'è l'alimentazione, oggi molto più sana di qualche decennio fa".

Mediterraneo in tavola

Per quanto riguarda la dieta, fino dagli anni Settanta si cerca di capire in che modo ciò che mangiamo possa influenzare quanto a lungo e in che condizioni viviamo. A oggi, alcuni elementi sono ormai certezze, come ricorda ancora Deiana: "In Sardegna la dieta è mediterranea come in poche altre zone, e ciò significa che ogni giorno ciascuno fa il pieno di antiossidanti e di elementi che, se assunti nei cibi originari (e non in supplementi) aiutano a eliminare le scorie e a mantenere l'organismo giovane, preservando anche la lunghezza dei telomeri, le strutture poste in cima ai cromosomi che si consumano con l'avanzare degli anni. Una prova? Anche chi non ha il Dna sardo e arriva da fuori è destinato a vivere più a lungo e in salute, come dimostrano alcuni vecchi non originari dell'isola".

18.6.10

CRONisti

Si studia la dieta dei CRONisti per vivere più a lungo

In tremila nel mondo seguono la teoria della «restrizione calorica» per allungarsi la vita. Un ricercatore italiano si è messo sulle tracce del loro segreto

MILANO - Sono almeno in tremila, sparsi in tutto il mondo. Mangiano chili di vegetali ogni giorno. Fanno la guerra alle calorie. Non toccano un dolce. La pancia, non sanno nemmeno che cosa sia. Fanno camminate a non finire. Per lo più sono magrissimi e stanno benissimo: niente fame, cervello sveglio e memoria di ferro anche a 80 anni. Longevità, sperano, oltre i 100 anni. Si autodefiniscono CRONisti. Ma con la stampa non hanno niente a che fare. Sono i membri di una curiosa società, nata agli inizi degli anni '90 negli Stati Uniti, la Calorie Restriction Society International. Il nome, dalle iniziali del loro stile di vita quotidiano: Calorie Restriction Optimal Nutrition, ovvero, poche calorie per una nutrizione ottimale.

«NON È UN GRUPPO DI PAZZI» - «Non è un gruppo di pazzi scriteriati, si tratta per lo più di persone con un livello culturale molto elevato che, per mantenere la propria brillantezza fisica e mentale, hanno scelto di tagliare le calorie quotidiane: dal 10 al 30 per cento meno del necessario per raggiungere un indice di massa corporea (si ottiene dividendo il peso in kg per il quadrato dell'altezza) ancora più basso del 18,5 considerato il limite minimo della normalità» spiega Luigi Fontana, direttore del reparto nutrizione e invecchiamento dell'Istituto Superiore di Sanità, nonché visitor professor di medicina alla Washington University di St Louis, negli Stati Uniti. Già, perché il professor Fontana, questi CRONisti li conosce bene. Da circa 10 anni ne segue una cinquantina, che, impavidi, si accontentano di mangiare vagonate di verdura, facendo scorpacciate di cavoli, bietole, spinaci, aglio, cipolle, zucchine, peperoni, frutti di bosco e via dicendo, riempiono il piatto di cereali integrali, legumi a gogo, mangiano pesce (poco) 3-4 volte la settimana, carne (pochissima) un paio di volte, yogurt magro. Le diete sono perfezionate al computer per un giusto equilibrio di vitamine, minerali e micronutrienti vari. Ovviamente, non tutti ce la fanno a reggere ristrettezze caloriche così severe. Il problema non è tanto la fame: crampi addominali, senso di freddo nelle ossa, infertilità temporanea fanno desistere i meno motivati. Alla base della perseveranza degli altri - i quali, felici loro, si ritrovano pressione bassa, colesterolo ai minimi e non si ammalano di disturbi metabolici, tipo diabete, arteriosclerosi ecc. - c'è la convinzione che una moderata ristrettezza calorica (tagli troppo drastici possono comportare gravi rischi) possa anche permettere di vivere più a lungo, proprio come è capitato in molte forme di vita da esperimento, dai lieviti ai roditori, messi leggermente a stecchetto.

NON È UNA DIETA PERFETTA - Fontana, coautore di un articolo sull'argomento (Extending Healthy Life Span - From Yeast to Humans) recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Science, ritiene però che la dieta dei CRONisti non vada ancora bene: troppe proteine. «Un CRONista tipo tende a mangiare 1,7 grammi di proteine per chilo di peso corporeo al giorno. La dieta mediterranea ne prevede 0,9-1». Lo specialista ha perciò selezionato sei CRONisti e ha ridotto le proteine dietetiche a 0,95 g per chilo. Il risultato dell'esperimento, pubblicato sulla rivista scientifica Aging Cell, ha mostrato che, dopo tre settimane di dieta, nei volontari si è ridotta di un quarto la quantità di un ormone prodotto dal fegato, indicato con la sigla IGF-1 (insulin-like growth factor). Questo ormone è naturalmente basso negli animali da esperimento che, messi a dieta, vivono più a lungo, mentre è normalmente alto nel genere umano che segue regimi ricchi di proteine. Questa coincidenza fa sperare che una dieta ben equilibrata, leggermente ipocalorica e ipoproteica, possa aiutare a vivere più a lungo e in buona salute anche uomini e donne. Gli scienziati ipotizzano addirittura che ridurre nella dieta carne, salumi, formaggi, uova, tutti alimenti ricchi di proteine animali, possa essere più salutare (e meno frustrante per l'appetito) che ridurre al minimo le calorie. Insomma, il colpo di grazia per la dieta bistecca e insalata. «Abbiamo deciso di investire su questo filone di studi perché rappresenta un avanzamento non solo scientifico, ma anche culturale, un cambiamento di prospettiva nello sguardo sulla funzione della nutrizione umana» afferma il presidente dell'Istituto Superiore di sanità, Enrico Garaci.

ALMENO DIECI ANNI PER CAPIRE - «Ci vorrà ancora un decennio di studi per capire se i nostri CRONisti vivranno 15-20 anni più a lungo dei genitori» ammette Fontana. Che, nel frattempo, raccomanda a tutti di spiare la pancetta allo specchio e di eliminarla se c'è, non con una dieta qualsiasi, ma con un nuovo stile di vita basato su un'alimentazione sana (sì a verdura, frutta, cereali integrali, legumi, pesce, pochissima carne, un pò di vino, niente cibi salati, conserve e dolci) basata sulle ricette povere e sapienti della nostra tradizione e su un fisiologico moto quotidiano (passeggiate a passo svelto, scale a piedi, un pò di pesistica per la muscolatura, piuttosto che sforzi da palestra). Raggiunto il peso normale, chi se la sente, può tentare una dieta da CRONisti. Possibile, ma non garantita, una vita lunghissima.

Roberta Salvadori - 14 giugno 2010 - Il Corriere della Sera

15.6.10

dolci, neuropeptide Y, modificazione dell' umore (universita' di Toronto - Peptides)

ingredienti integrali e a basso indice glicemicoabbassano i livelli del nuorpeptide Y sostanza che stimola la ricerca di dolci, e nonostante la privazione si e' di buonumore.

prima colazione da re, pranzo da principe, cena da poveri...

6.6.10

"Per una bellezza sostenibile" di Silvia Brena e Bruno Mandalari (Ed. Salani)

La scuola deve durare il meno possibile (Raffaele Morelli - psichiatra - Donna Moderna 9 giugno 2010)

"...alcuni intellettuali benpensanti, che non conoscono l'anima dei
ragazzi, dicono che a stare lontano dai banchi si diventa svogliati. E
allora? Sapete cos'e' l'oblio? La sostanza più potente dell'anima e quindi
del cervello. Non solo ci protegge dai dolori della vita, serve alla
maturazione dei ragazzi: e' fondamentale che "dimentichino" quel che hanno
imparato. E' come farsi un reset al cervello: staccandosi da scuola entrano
nel regno del gioco. Sapete cos'e' il gioco? Il lavoro più importante
dell'anima per imparare a vivere sul serio. Sviluppa creativita',
curiosita', intelligenza e autenticita', qualita' indispensabili per
realizzare il proprio destino. Quando studiano i ragazzi si stressano,
quando giocano hanno la vita negli occhi. Vacanze lunghe vuol dire tenere i
ragazzi lontanto dal vero dramma della nostra scuola che li riempie di
vecchie nozioni , mentre il gioco li allena alla vita e non alla teoria.
Ecco perche' e' utile l'oblio della vacanza: stimola le capacita' innate.
Che cosa conta di più? Quello che sappiamo senza averlo imparato. Come il
ragno con la ragnatela: sa intrecciarla senza essere stato in classe. "

18.5.10

Grom ha copiato ???

Gentile Gigi Padovani, ho letto con attenzione il suo articolo e in particolar modo i pezzi relativi all'amico Guido Martinetti e vorrei precisarle quanto segue. Nel 2001 al primo di maggio apriva ufficialmente i battenti la prima Agrigelateria d'Italia dove "l'idea Grom a tutta natura"è nata e dove Grom ha attinto per poi aprire con la stessa filosofia il 18 maggio 2003. La cascina Mura Mura è nient'altro che una ulteriore copiatura della nostra che a differenza di quella di Costigliole èun'azienda attiva dall'inizio dell'800 circa e dove si producono sui 30 quintali di latte al giorno, latte che è stato premiato come il "migior latte alla spina " del Piemonte, premio data da una commissione di veterinari ed esperti dell'Università di Torino nello scorso anno. Le nostre fragole da ben tre anni vengono raccolte nel "nostro orticello dietro casa" (come maldestramente scritto da due suoi colleghi su di un precedente articolo "brivido gelato") l'orticello sono poi due serre da 1200 metri quadrati cadauna che ci danno tutte le fragole necessarie alla nostra produzione di gelato e questo fino a novembre. Inoltre il gelato al " ramasin",al caffelatte con paste di meliga (caffè e paste presidi slow food),la crema come una volta (ripresa anche questa da Grom...),e poi tutta una serie di frutta stagionale in parte nostra come i mirtilli ( sempre del nostro orticello....q.li 7 circa ogni estate), ovviamente nocciola tonda gentile di Langa ,pistacchio che arriva direttamente da Bronte,menta di Pancalieri ecc... Non siamo andati nella ricca New York ma nella poverissima Cambogia, a Sianoukville, dove abbiamo insegnato agli agricoltoria fare il gelato di frutta con la loro frutta e abbiamo anche noi code di gente entusiasta di fronte ad un fresco e genuino gelato; il tutto è stato fatto gratuitamente iniziando un progetto importante per la popolazione agricola locale ed ecologicamente sostenibile. Il tutto è appoggiato alla scuola professionale alberghiera avviata sul luogo dai Salesiani. Inoltre la nostra gelateria di Poirino ospita ogni anno circa 20000 bambini ( il numero è arrotondato per difetto) in gita scolastica , 20 000 bambini che tornano nello loro famiglie dopo aver visto come si "fa" il latte andando nella stalla ,dando il fieno alle mucche giocando sulle balle di fieno, accarezzando i vitellini , e poi infine come si trsforma il latte appena munto in fiordilatte. Non le pare una grossa azione educativa proprio in linea con il pensiero del nostro comune amico Carlin? Non voglio dilungarmi oltre venga a trovarci così vedrà dove è nato Grom. saluti Giovanni Crivello az. Agricola san Pietro- Agrigelateria san Pè- Poirino 335 200936
scritto da giovanni 4/8/2007 2:21

GELATO - RICETTE

Gelato di yogurt, uvetta biologica e granelle di mandorle siciliane

Ingredienti

60 g di latte fresco intero,
60 g di panna,
100 g di zucchero di canna bianco,
3 g farina di carruba(mezzo cucchiaino),
10 g di latte in polvere,
250 g di yogurt bianco,
30 g di uvetta,
20 g di mandorle.

Procedimento

Mettere in pentola e portare a ebollizione 60 gr. di latte e 60 gr. panna. Mischiare 10 gr. di latte magro in polvere, 100 gr. di polvere, ½ cucchiaino di farina di carruba bianca e aggiungerli al composto nel pentolino. Mettere in frigo per un paio d’ore. Poi aggiungere 250 gr. di yogurt e mettere nella gelatiera. Alla fine della mantecatura aggiungere 30 gr. di uva passa e 20 gr. di granella di mandorle.



Maximilian Bircher Benner, un famoso medico dei primi del ‘900, aveva inventato un ottimo mix di cereali, frutta fresca essiccata e
frutta secca, da aggiungere a latte fresco o yogurt, per fornire una colazione completa e nutriente ai suoi pazienti: era il Muesli. Dalla reinterpretazione del Muesli nasce un gelato fresco e nutriente e gustosissimo. 



Gelato grom

Ingredienti

150g di panna,
250g di latte,
80g di zucchero,
20g di cannella.

Procedimento

Miscelare il tutto a bagnomaria e mantecare nella gelatiera.
Aggiungere i biscotti di meliga ed il cioccolato a scaglie
a metà della lavorazione.
 



Crema al profumo di porto con granella di nocciole

Ingredienti

200 gr di latte,
120 gr di panna,
5 tuorli d’uovo,
90 gr di zucchero,
30 gr di porto,
una punta di farina di carruba,
40 gr di granella di cioccolato,
40 gr di uva passa.

Procedimento

Mettere l’uvetta a rinvenire nel porto. Unire latte, panna e tuorli in
un pentolino e portare vicino all’ebollizione, poi unire
zucchero e farina di carruba. Mettere in frigo e dopo un’ora circa
aggiungere il porto mescolando bene e mettere il composto nella gelatiera.Quasi alla fine della mantecatura aggiungere la granella
di cioccolato e l’uvetta.

P.S.
Dopo aver scaldato il latte,la panna,i tuorli frullare il tutto,
farla raffreddare ed aggiungere 40 g di porto(un buon porto)
e frullare di nuovo,mettere il composto nella gelatiera e farla andare,
aggiungere 40 g di nocciole tritate grossolanamente e settaciate
non deve andare della polvere nel composto,l'uvetta e miscelare il tutto.
Servire su delle coppe,anche con una coppa di porto.
 



Gelato al torroncino

Ingredienti solidi:
60 g di zucchero di canna bianco,
10 g di latte magro in polvere,
1 punta di cucchiaio di polvere di carruba.

Ingredienti liguidi:
250 g di latte,
160 g di panna fresca,
miele d'acacia.

Per completare il gelato:
60 g di granella di torrone.

Procedimento

In un pentolino versare il latte e la panna e portarli ad un punto di ebollizione e mixare,miscelare gli ingredienti solidi e versali
a pioggia sul pentolino sempre mixando aggiungendo anche il miele,
(circa 1cucchiaio), in frigo per 2/3 ore
si da il tempo alla farina di carruba di addensare.

Dopo che viene tolto dal frigo il composto di gelato,
passarlo nella gelatiera.
Preparare la granella di torrone,puntare un coltello su ogni
nocciola piggiare e fare tante granelle.
Aggiungere la granella all'ultimo minuto nel composto nella gelatiera,
cosi resterà croccante.
 



Gelato ai cachi,con crema diplomatica

Ingredienti per la base del gelato:
180 g di latte,
80 g di zucchero,
2 cachi.
Tagliare in due i cachi,togliere la parte chiara,con un cucchiaio
reccuperare la polpa ,usarne solo uno e mezzo.Fatte scaldare il latte
40/50°C,aggiungerci la polpa dei cachi e lo zucchero,frullare,
far riposare per 30 minuti in frigo.

Per la crema diplomatica:
250 g di latte,
2 tuorli d'uovo,
50 g di zucchero,
50 g di farina di nocciole.
Frullare il latte con i tuorli,lo zucchero e la farina di nocciola a pioggia.

Panna montata:
500 g di panna montata,
50 g di zucchero.
Montare la panna e lo zucchero.E aggiungerne al composto di latte,
tuorli e zucchero,sarà la crema diplomatica.

Riprendere il composto dal frigo e metterlo nella gelatiera.
Servirlo con la crema diplomatica rimixata.
 



GELATO ALLA CREMA

INGREDIENTI (per ottenere 500 g di gelato):

250 g di latte
100 g di panna
4 tuorli di uova piccole (60 g)
100 g di zucchero di canna
1 pizzico di scorza grattugiata di limone
Farina di carrube q.b. (circa 1 punta di cucchiaino)

PROCEDIMENTO:

Mettere la panna in un pentolino insieme al latte, e mescolare con un frullatore ad immersione in modo da ottenere una miscela omogenea. Riscaldare il tutto sul fuoco, e quando iniziano delle piccole bollicine in superficie aggiungere i tuorli d’uovo, abbassare la fiamma e , mescolando ancora con il mixer, lasciar “pastorizzare “ le uova per 1 minuto. Aggiungere lo zucchero, mescolare ancora ed infine unire il limone (per snellire il gusto dell’uovo) e la farina di carrube (per addensare il gelato).
Passare il gelato a mantecare nella gelateria per circa 15-20 minuti 


11.5.10

Mangia (troppo e male) e muori (Dario Bressanini)

Bollino blu al supermercato lista delle sostanze a rischio (... well done!)

Mangiare meno

Mangiare meno: ecco il segreto per una vita più lunga e più sana. Una
diminuzione dell'apporto calorico ha ripercussioni significative sui
meccanismi molecolari legati all'invecchiamento.

<http://www.progettodiabete.org/news/2010/n2010_041.html>

8.5.10

ALBERI-AMO MILANO...

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Krank cycle

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Milano - caccia al tesoro in bici !

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14.4.10

gelati a Milano...

Il Massimo del Gelato in via Castelvetro; Orsi in via Solari; il mitico chiosco dei fratelli Sartori alla stazione Centrale; Gusto Fragola in via Carlo Pisacane e, dalla scorsa estate, il chiosco di Piazzale Baracca, un tempo fruttivendolo". E in Corso Garibaldi, con panchina sulla strada".

Ferrara - Locanda Borgonuovo

7.4.10

1 litro d'acqua, pompa a pedale, 2 camere d'aria, 4 pezze, mastice, chiave inglese.... Magari bucavo!

Very nice!

Valli di Comacchio : training giornaliero (60 km a 24 km/h)

Lido di Spina, argine Reno verso Anita, poi argine Agosta, Comacchio, Lido di Spina.
Il giorno dopo: Lido di Spina - Ferrara. 2.20h, 26.6 km/h di media, 62 km, 114 battiti per minuto di media.
Soddisfatto.

4.4.10

Desideri

Puo' bastare

Cane o no ?

Uova

COQUE: 2-4 min. Per evitare rotture forare base con spillo.
SODE: 8 min, poi nell'acqua fredda.
CAMICIA: 50cl di aceto per litro di acqua, cuocere un uovo alla volta,
farlo scivolare con piattino. Una volta scolato tenerlo in caldo in acqua
tiepida.
BARZOTTE: metterle delicatamente in acqua e sobbollire per 5 minuti, poi in
acqua fredda per 10.
OMELETTE: sbattere uova latte sale pepe. Scaldare 2 cucchiai olio e unire.
Appena parte sul fondo si rapprende, unire ripieno. Coprire e lasciare sul
fuoco per 2 minuti ancora. Piegare a portafoglio.
FRITTATA: sbattere uova e formaggio (pepe sala). Versare in padella
rivestita di carta forno. Voltare.
TEGAMINO: romperle in una ciotola, e scivolarle in padella con burro fuso.
Coprire per 30-60 secondi.
STRAPAZZATE: mescolare continuamente con cucchiaio di legno, portare verso
centro le parti cotte ai bordi.
ZABAIONE: montare a neve tuorli e zucchero. Aggiungere marsala continuando
a mescolare. Cuocere a bagnomaria lavorando sempre con frusta. Quando si
addensa gonfiandosi, versarlo in coppette e servirlo.

30.3.10

Biscotti di avena

da www.vegan3000.info


Biscotti di avena
Ingredienti
1 tazza di fiocchi d'avena piccoli
2 o 3 cucchiai di malto (d'orzo o altro a scelta, ingrediente facoltativo)
frutta secca tipo anacardi (o mandorle o nocciole ecc.)
frutta disidratata tipo albicocche (o uvetta, datteri ecc.)
latte di riso q.b.
Preparazione
Far rinvenire una manciata di albicocche disidratate in un bicchiere con un pò d'acqua tiepida.
Versare in una tazza l'avena e aggiungere il latte, quanto basta per ammorbidire i fiocchi.
Tritare grossolanamente una manciata di frutta secca.
Tagliare a pezzetti l'albicocca strizzata leggermente.
Mescolare il tutto con un cucchiaio e aggiungere il malto.
Disporre il composto su carta da forno formando dei biscotti e infornare a 170°C per 15/20 minuti.

Sai cosa mangi ?

Etichette e grassi nocivi


nella prima colonna ci sono gli olii vegetali "sicuri", mentre nella seconda quelli dannosi, anche denominati "olii tropicali"
Olii Vegetali
Olii Tropicali
Olio di Cartamo 9%
Olio di Palma 49%
Olio di Girasole 10%
Olio di Cuore di Palma 82%
Olio di Canola 12%
Olio di Cocco 87%
Olio di Grano 13%

Olio d'Oliva 13%

Olio di Sesamo 14%

Olio di Soia 15%

Olio di Arachidi 17%

Olio di Semi di Cotone 26%




... andrà accurtamente letta l'etichetta alla ricerca dei seguenti ingredienti:
  • olii vegetali -non meglio specificati
  • olii vegetali non idrogenati
  • margarina
  • olio di palma o di cuore di palma
  • olio di cocco
che andranno evitati, in sostanza i prodotti che contengono questi olii vanno consumati con molta parsimonia o non consumati affatto.

INGANNO... "oli vegetali NON idrogenati" = non parliamo del sano olio di oliva extravergine, di girasole o di mais, ma dei ben più dannosi oli di cocco e di palma o palmistiNotare che l’ olio di cocco contiene l’ 87 % di acidi grassi saturi. L’ olio di palma circa il 50 %, olio di cuore di palma anche l’ 80 %. Se a questi valori aggiungiamo che il processo di estrazione a caldo di questi oli, distrugge le Vitamine  contenute nel seme,  possiamo capire l’ inganno della sola dicitura “ oli vegetali non idrogenati “

La dicitura “ oli vegetali non idrogenati “ è ingannevole, inquinato ci vuol farci credere che non ci siano grassi saturi e quindi dannosi.



Riportiamo di seguito un elenco di PRODOTTI VEGETALI BIOLOGICI privi di grassi animali (latte e derivati del latte, carne, pesce, uova, ricchi di colesterolo ed acidi grassi saturi) e privi di grassi vegetali dannnosi (olii vegetali, olii vegetali non idrogenati, margarina, olio di palma, olio di cocco, ricchi di acidi grassi saturi).