21.10.14

Nuraghi e altopiano, l'altra Sardegna - Pagina 1 | Repubblica Viaggi

Nuraghi e altopiano, l'altra Sardegna - Pagina 1 | Repubblica Viaggi

Nuraghi e altopiano, l'altra Sardegna

Una Sardegna fuori dalle rotte turistiche balneari, interessante da scoprire nella potenza della sua storia millenaria conservata tra colline mioceniche e solitari altipiani di basalto, tra nuraghi e castelli, nella parte centro meridionale della regione.

Atterrati  a Cagliari, si prende la statale 131 fino al bivio per Barumini al km 40,900. Siamo in Marmilla, tra la piana del Campidano centrale, il versante settentrionale del Monte Arci, quello nord-orientale della Giara e la Trexenta. Il nome sembra che derivi dalla forma del colle di Las Plassas. Gramsci nacque da queste parti, esattamente ad Ales, che ora si trova, nella geografia della recente Provincia del Medio Campidano, in Alta Marmilla. Giusto il tempo di orientarsi con il  confine della Bassa Marmilla (la linea che separava la Provincia di Cagliari da quella di Oristano) ed ecco che, ad un chilometro  da Barumini, sulla strada per Tulli, si svela la bellezza di Su Nuraxi, dal 1997 Patrimonio Mondiale Unesco.

Quando l'archeologo Giovanni Lilliu lo scoprii nel corso degli anni '40-'50, quasi nessuno badava a quello che per molti era solo un cumulo di pietre. Lilliu andava lì a giocare, da bambino, e a scoprire ed immaginare cosa poteva essere nascosto sotto i suoi piedi: un maestoso nuraghe circondato da un ampio villaggio che racconta di una civiltà sviluppatasi in Sardegna lungo un arco cronologico di circa 1000 anni (1500-500 a.C). Nella fondazione a lui dedicata, tra i suoi appunti, troviamo un passaggio che racconta bene la sua straordinaria esperienza: "Una domanda mi viene sovente: come e perché io, nato tra gli umori della campagna in una famiglia portata per necessità alla concretezza della vita e del lavoro, sia potuto finire nell'incanto dell'archeologica. Una professione non comune che i miei mannus, se oggi non dormissero nel piccolo cimitero di Barumini tra gli olivi di Paiolu, e se fossero invece presenti, non avrebbero capito e forse avrebbero contrastato, con i piedi per terra com'erano". E, più avanti, quella che a noi appare come una risposta: "Il momento dello scavo è il momento magico ..via via che si scende nei diversi e successivi livelli è come se ci si calasse progressivamente, di piano in piano, nel cuore più profondo dei tempi lontani. Ogni manciata di terra che leva la pala o la mano, col suo carico di reperti, è come un incantesimo di resurrezione, una spora delle origini riconsegnata alla posterità per riconsiderarla, riparteciparla, riviverla, a dimostrazione che il cosmo è una continuità e che la rottura - la morte del mondo - è solo apparenza". Su Nuraxi conobbe vita dal 1600 a.C. circa, fino al III secolo d.C., in piena età romana. Ora è curato dalla Fondazione Barumini Sistema Cultura, che riesce a dare lavoro con l'arte e con la cultura a tanti giovani che, senza il genio di Lilliu, probabilmente ora sarebbero fuori dalla Sardegna. Per motivi di sicurezza, nel sito archeologico si può entrare solo attraverso una visita guidata (il biglietto d'ingresso è di 7,00 Euro l'intero; 5,00 Euro il ridotto per minori di 18 anni e nel prezzo).


In Sardegna fino ad ora sono stati censiti oltre 7000 nuraghi costruiti tra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente con funzione strettamente militare. Una trentina sono nel territorio di Barumini e "Su Nuraxi" risulta ancora il più rappresentativo tra quelli che potrebbero essere definiti come castelli di tremila anni fa, vissuti fino all'età  del Ferro e talvolta anche dalle popolazioni che subentrate a quella nuragica. Su Nuraxi ha cinque torri: una centrale, chiamata anche Mastio, e quattro laterali che chiudevano un cortile interno, dotato di un pozzo con una sorgente tutt'ora esistente. Attorno al nuraghe esisteva, si presume da circa il  1600 a.C. fino al 1200 a.C., un primitivo antemurale con tre torri, probabilmente con palizzate di legno. In seguito ad una grande ristrutturazione, il nuraghe fu poi ridisegnato con una massiccia muratura e fu anche spostato l'ingresso dal lato sud al lato ovest, non più al livello del terreno ma a diversi metri di altezza e furono aggiunte altre quattro torri (in totale, sette) fino ad arrivare all'attuale aspetto. Tra il Bronzo Tardo e il Bronzo Recente l'area fu abbandonata ma pare che intorno X secolo sia stata di nuovo abitata, come dimostrano le capanne sia nell'area circostante che nella zona dell'antico antemurale. Interessanti le case databili all'inizio dell'età del Ferro, cioè ai secoli IX, VIII e VII, con la loro pianta incentrata su un cortile centrale su cui si affacciano varie stanze (in alcuni casi il forno è ancora riconoscibile) e ambienti circolari con al centro un grande bacino di pietra. Tra tutte, la capanna delle riunioni, a perimetro circolare, con piccole nicchie sulle pareti.

A proposito di castelli, l'unico visitabile degli 88 presenti sull'isola è il castello di Sanluri. Eretto nel 1197 al confine del Giudicato d'Arborea (nel periodo medievale la Sardegna era divisa in quattro regni chiamati "Giudicati") fu, sotto occupazione aragonese, dimora feudale del visconte di Sanluri per volontà di Pietro IV d'Aragona. Il castello passò poi ai De Sena, ai Castelvi e, nel 1925, agli Aymerich. Abbandonato nella metà dell'800, fu acquistato da un generale, il conte Nino Villa Santa che lo restaurò. La proprietà oggi è degli eredi, i conti di Villa Santa, che ne hanno fatto un prezioso museo diviso in quattro ale: al piano terra, il salone delle milizie ospita il Museo Risorgimentale che espone armi, equipaggiamenti e bandiere, donati nel 1927 da Emmanuele Filiberto di Savoia Duca d'Aosta all'amico Nino Villa Santa. Straordinari cimeli e documenti delle due guerre mondiali, delle campagne d'Africa e del fascismo, sempre a piano terra: il tricolore della Vittoria, che dalla torre di San Giusto consacrò Trieste all' Italia il 3 novembre 1918, e il bollettino della Vittoria, originale Sottoscritto dal Maresciallo d' Italia Armando Diaz. Salendo, ecco nella terza ala la più grande raccolta di cere d'Europa: più di trecento pezzi con ritratti,  sculture di ogni genere, realizzati in una cera particolare da artisti tra il cinquecento e l' ottocento, anche bozzetti di monumenti, altri cammei. La quarta ala conserva invece mobili, arredi, dipinti e sculture che spaziano dal Rinascimento al Risorgimento. Aperto tutti i giorni dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19.30 (info: castellodisanluri11@tiscali.it). (20 ottobre 2014)



5.10.14

Cinquanta chili d'oro | Vittorio Pavoncello

Cinquanta chili d'oro | Vittorio Pavoncello

Cinquanta chili d'oro

Sucessivamente all'8 settembre, data dell'armistizio del Maresciallo Badoglio con le truppe anglo americane, la forza di occupazione nazista, lasciò in parte tranquilla la popolazione ebraica in Italia.
L'allora Presidente della Comunità Israelitica di Roma,Ugo Foà, si era convinto che, forse per la vicinanza con il Vaticano, i nazisti non avrebbero deportato gli ebrei romani, verso i campi di sterminio, come stavano facendo in tutte le altre nazioni conquistate.

La mattina del 26 settembre 1943, invece, lo stesso Foà, insieme al Presidente delle Comunità Israelitiche italiane, Dante Almansi, furono convocati a Villa Wolkonsky, sede del comando nazista, per comunicazioni dal Comandante della Polizia tedesca a Roma, Herbert Kappler.

Saltando i convenevoli, Kappler, brutalmente, disse ai due esponenti della Comunità ebraica che i peggiori nemici contro i quali il popolo tedesco stava combattendo erano gli ebrei, che non avevano bisogno delle loro vite, ne' di quelle dei loro figli. Avevano bisogno di oro: 50 chili d'oro altrimenti 200 ebrei romani, sarebbero stati deportati in Germania.

Diede loro 36 ore per trovare l'oro, che poteva essere sostituito da sterline o dollari, ma non da lire, perché avrebbero potuto stamparne quante ne volevano. Foà ed Almansi provarono a far abbassare le pretese naziste, inutilmente.

Convocarono una riunione con gli iscritti più influenti e, seppur convinti che mai avrebbero raggiunto il peso richiesto, cominciarono a raccogliere oro. La Comunità allora non era certamente ricca, era stata colpita da una guerra devastante e dalle Leggi razziali. Da qui il pessimismo.

Gli oggetti raccolti avevano, certamente, un valore affettivo superiore a quello commerciale, trattandosi, nella maggioranza, di cari ricordi di famiglia. La stessa Santa Sede, venuta a conoscenza del ricatto nazista, fece sapere, ufficiosamente, che se la Comunità non fosse riuscita a raggiungere, entro il termine stabilito, l'oro richiesto, avrebbe provveduto, mettendo a disposizione la differenza che sarebbe stata poi, rimborsata, quando la Comunità ebraica fosse stata in grado di farlo.

Nonostante il pessimismo, la Comunità riuscì a raccogliere oltre i 50 chili d'oro. Per evitare contestazioni, da parte della polizia tedesca, alle operazioni di peso, in Via Tasso, i dirigenti comunitari portarono 300 grammi in più.

Non fu Kappler a presenziare alle operazioni di peso, bensì il Capitano Schutz che, in sostituzione del comandante, con fare arrogante e sprezzante, diede inizio alla pesatura.

Una sola bilancia per massimo 5 chili. Dieci pesate, cinquanta chili. Ma non per il capitano Schutz. Per lui le pesate erano nove, per 45 chili d'oro e non avrebbe consentito la ripetizione dell'operazione, decretando il fallimento della raccolta.

Soltanto la grande insistenza dei due presidenti, insieme alla presenza di alcuni ufficiali italiani, tra cui il Commissario Cappa, chiamati dalla comunità ebraica a testimoniare, convinsero Schutz ad effettuare una nuova pesatura, che confermò il traguardo dei 50 chili d'oro, nei tempi stabiliti.

Chiesero, i rappresentanti ebrei, il rilascio di una ricevuta per l'avvenuta consegna, ma l'ufficiale nazista, sdegnosamente, si rifiutò. L'oro prese immediatamente la via di Berlino, verso il capo dell'ufficio centrale per la sicurezza, Generale Kaltenbrunner.

Come tutti sanno, la raccolta dell'oro fu soltanto un rinvio della deportazione degli ebrei romani verso la Germania e Polonia, verso i Campi di sterminio. Il 14 ottobre successivo, Kappler fece saccheggiare le due biblioteche della Comunità ebraica, con volumi dall'altissimo valore culturale e storico, sequestrarono gli elenchi completi degli iscritti alla comunità, nomi, indirizzi.

Tutto il necessario per catturare gli ebrei in città, avvalendosi della collaborazione dei fascisti, fedeli all'alleato nazista. All'alba di sabato 16 ottobre 1943, centinaia di soldati nazisti, circondarono il Ghetto di Roma, rastrellarono e deportarono 1.259 ebrei romani.

Si raccomandò, Kappler, in un telegramma inviato a Hoess, comandante del campo di sterminio di Auschwitz, dove gli annunciava l'arrivo, da Roma, di oltre 1.000 ebrei di fargli avere un trattamento " speciale", dove per speciale si intendeva l'eliminazione fisica.

Alla raccolta dell'oro parteciparono anche molti non ebrei, gente comune soprattutto, uno slancio di generosità, nei confronti di quei fratelli, concittadini, oggetto di tale vessazione da parte dei nazisti. Oltre alla gente comune, solidale con i fratelli ebrei romani, un personaggio, molto famoso a Roma.
Romolo Balzani.

Romolo Balzani era il più famoso cantante romano dell'epoca. Di umili origini nacque presso Campo de Fiori, padre cavallaro e poi vetturino, mamma trasteverina, dopo qualche tempo si trasferirono in Trastevere.

Una passione innata per il canto e per il fiume Tevere. Canzoni immortali come Barcarolo romano o L'eco der core, Pè lungotevere. Quando partì la raccolta e venutone a conoscenza, volle regalare ai suoi amici ebrei, l'unica cosa di valore che il padre gli avesse lasciato e che custodiva gelosamente: un anello d'oro.

Famosa la scena, impressa nella memoria di decine di ebrei romani presenti, dove Romolo Balzani, uscendo dagli uffici della comunità ebraica di Roma, intona la canzone, poi diventata un inno: "chi crede che c'ha l'oro sia un signore, l'oro per me non conta, conta er core".

Sarebbe giusto e bello ricordare questo episodio, a future memorie e generazioni, per ricordare la generosità dei romani, la solidarietà verso gli ebrei da parte di amici veri.

Per questo motivo, propongo al Sindaco di Roma, Ignazio Marino e al Presidente della Cer, Riccardo Pacifici, di apporre una targa in memoria e in onore di Romolo Balzani, negli uffici della Cer. Perché il suo gesto non vada dimenticato, per non dimenticare, mai.

Una bella storia, romana, di solidarietà.

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20 settembre

20 settembre |

20 settembre 

Le riserve della Banca d'Italia ammontano a 119 tonnellate d'oro in lingotti e monete. Oggi la Germania ne ha chiesto la consegna e inutilmente il governatore Azzolini ha cercato di nasconderne una parte.

   Nel primo pomeriggio di oggi il console generale tedesco Eitel Fredrich Möllhausen si è recato a Palazzo Koch, sede della Banca d'Italia, e ha  ordinato al governatore Vincenzo Azzolini la consegna di tutte riserve auree custodite. Il console era accompagnato dal tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, comandante della Gestapo a Roma.

Il governatore ha tergiversato: non poteva prendere da solo una decisione del genere, doveva riunire il direttorio della banca. Azzolini è minacciato di morte se non consegna immediatamente l'oro. Interviene in sua difesa il generale Carlo Calvi di Bergolo, governatore di Roma dal 10 settembre in base agli accordi tra Kesserling e Caviglia, che gli ordina di consegnare tutto l'oro. Azzolini convoca tuttavia il direttorio, ma il direttorio approva all'unanimità la consegna ai tedeschi delle riserve auree ed il loro trasferimento a Milano.(1)

Con alcuni autocarri sono così trasferite da Möllhausen a Villa Wolkonsky, sede dell'ambasciata tedesca (2), le 119 tonnellate d'oro suddivise in 626 cassette (i lingotti) e 543 sacche di tela grezza (le monete).

Nei giorni precedenti Azzolini, avuto sentore delle mire dei tedeschi, ha cercato di nascondere parte dell'oro all'interno della banca, in una intercapedine dietro il "caveau". L'idea è venuta al cassiere centrale Fabio Urbini, che ne ha parlato con il vice direttore generale Niccolò Introna; questi l'ha proposto ad Azzolini e Azzolini l'ha approvato sia pure con qualche titubanza. La notte scorsa 52 tonnellate d'oro delle 119 sono state nascoste nell'intercapedine, la porta d'accesso murata e con una serie di potenti ventilatori e forti lampade elettriche l'intonaco è stato asciugato in modo da farlo sembrare vecchio. È stata preparata anche una falsa documentazione contabile: le 52 tonnellate d'oro sono state trasferite il 19 dicembre 1942 alla filiale di Potenza.

Stamani è arrivata la richiesta ufficiale da parte dell'ambasciata tedesca di avere l'oro. Tramite è stato il commissario straordinario alle finanze, cioè il facente funzione di ministro di un governo che non c'è, Ettore Cambi. I tedeschi sono in possesso di documenti che attestano la quantità esatta dell'oro custodita nella Banca d'Italia. Il nascondiglio è scoperto, in fretta e furia sgomberato e l'oro rimesso al suo posto.

Sulla destinazione finale dell'oro l'alta dirigenza nazista è incerta. Fra le varie tesi ne prevalgono due: quella di Hermann Göring, comandante il capo della Luftwaffe e coordinatore dello sfruttamento economico dei paesi occupati, che propone di trasferire l'oro a Berlino considerandolo bottino di guerra. L'altra tesi, che risulterà vincente, è quella di Rahn: trasferire l'oro alla filiale di Milano della Banca d'Italia. L'oro, pur essendo sotto controllo tedesco, sarebbe così a disposizione di Mussolini che potrebbe usarlo per contribuire alle ingenti spese belliche. Per seguire le vicende dell'oro Walter Funk,  ministro dell'economia e presidente della Deutsche Reichsbank, la banca centrale tedesca, invierà in Italia Maximilian Bernhuber, un alto dirigente militarizzato.

Da Villa Wolkonski l'oro sarà  trasferita alla filiale della Banca d'Italia di Milano per ferrovia in due spedizioni, la prima dopodomani 22 settembre e la seconda il 28. Il direttore della filiale ottiene una delle chiavi necessarie per aprire il "caveau". Il 13 dicembre il ministro delle finanze della Repubblica sociale Domenico Pellegrini Giampietro, adducendo ragioni di sicurezza, ordinerà di trasferire l'oro da Milano a Fortezza in val d'Isarco, una zona sotto la giurisdizione dell'Alpenvorland (3), la regione praticamente già annessa alla Germania. L'operazione  sarà eseguita il 16 dicembre. Della decisione di Pellegrini, Azzolini ne è informato da  Bernhuber. A Fortezza  l'oro è collocato in una caverna sottostante un forte militare tedesco.

In dicembre la Banca d'Italia  verrà trasferita da Roma a Moltrasio sul lago di Como. Azzolini riuscirà a trasferire da Roma soltanto 105 dipendenti su 1200, richiamandosi a difficoltà logistiche. Continuerà a fare la spola con Roma, dove è rimasto il vice direttore generale Introna.

Il 5 febbraio dell'anno prossimo tra i governi della Germania e della Rsi si giungerà a un accordo, l'"accordo di Fasano del Garda", come sarà chiamato dal luogo in cui ha sede l'ambasciata tedesca: l'Italia avrebbe contribuito alle spese militari con parte dell'oro della Banca d'Italia, fino a quel momento ancora integro.

Il 29 febbraio cinquanta tonnellate d'oro verranno trasferite per ferrovia da Fortezza a Berlino alla Deutsche Reichsbank con l'avallo del ministro delle finanze Pellegrini, che nel frattempo ha nominato commissario straordinario della Banca d'Italia Giovanni Orfera. Una seconda spedizione d'oro (21 tonnellate) in Germania avverrà nel mese di ottobre. In totale saranno quindi trasferite in Germania presso la Banca centrale tedesca 71 della 119 tonnellate d'oro.

Il 20 aprile la Banca d'Italia con il consenso tedesco invierà 23 tonnellate d'oro in Svizzera, in adempimento di obblighi precedentemente assunti dall'Italia nei confronti della Banca dei regolamenti internazionali e della Banca nazionale svizzera. In totale escono da Fortezza 94 tonnellate d'oro su 119. Ne restano 25.

Alla fine di aprile dell'anno prossimo Vincenzo  Azzolini è a Roma e si nasconderà attendendo l'arrivo degli alleati. Gli alleati arriveranno i primi di giugno e il primo agosto Azzolini sarà arrestato per ordine dell'"Alto Commissario aggiunto per la punizione dei delitti del fascismo", Mario Berlinguer, padre di Enrico il futuro segretario del Pci. Il  9 ottobre comincerà  il processo;  pubblico ministero è Sinibaldo Tino, fratello del futuro presidente di Mediobanca, Adolfo. A rappresentare la Banca d'Italia come parte civile sarà invece il settantacinquenne  Niccolò Introna, nominato commissario dell'istituto alla liberazione di Roma.

Il processo si concluderà con la condanna del governatore a 30 anni di reclusione. Azzolini rimarrà in carcere quasi due anni; sarà scarcerato nel settembre del 1946 in seguito all'amnistia voluta da Togliatti. Nel febbraio 1948 la Corte di Cassazione annullerà la sentenza di primo grado, perché il fatto non costituiva reato. Azzolini morirà a 85 anni nel 1967.  (4)

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(1) Sandro Gerbi sul "Corriere della sera" del 13 ottobre 1994 ha così ricostruito il "processo dell'oro" svoltosi cinquant'anni prima, imputato il governatore della Banca d'Italia Vincenzo Azzolini: "L'Alta Corte di Giustizia entrò senza preamboli nella settecentesca sala riunioni dell'Accademia dei Lincei, al secondo piano di Palazzo Corsini. Erano le 12,35 di sabato 14 ottobre 1944. Vincenzo Azzolini, quasi sessantatre anni, da tredici governatore della Banca d' Italia, attendeva in piedi, le mani appoggiate sul tavolo, pallido, ma calmo. Bazza larga, da prelato, capelli grigi, baffetti a fior di labbra, occhiali a stanghetta e, all'occhiello, il distintivo di una medaglia d' argento, sapeva di rischiare la vita. L'imputazione era infatti gravissima. Pendeva su di lui l'accusa di aver 'posteriormente all'8 settembre 1943 in Roma collaborato con il tedesco invasore, facendo al medesimo la consegna della riserva aurea della Banca d' Italia'. Ed il clima politico sociale non gli era certo favorevole, con una popolazione ancora dolente e bramosa di vendetta per le ferite dell'occupazione nazista. Nel silenzio e nella trepidazione generali, sotto la spada di Damocle della pena capitale, il presidente Lorenzo Maroni – a sua volta da ambienti di destra indicato come cripto fascista – diede lettura del verdetto: con le attenuanti generiche, trent'anni di reclusione. Alle 12.36 era tutto finito. L'imputato veniva trasferito a Regina Coeli e di lì al reclusorio di Procida.

"L'episodio è oggi dimenticato, ma a quei tempi il governatore Azzolini era un personaggio assai noto, non foss'altro perché la sua firma compariva su tutte le banconote del Regno. Era uno dei grandi 'commis' dello Stato, con alle spalle un 'cursus honorum' importante. Nato a Napoli nel 1881, si era qui laureato in giurisprudenza, con una tesi in scienza delle finanze (relatore Francesco Saverio Nitti). L'economista Giorgio Mortara lo ricorda come un ragazzo "molto serio e studioso, ma, al contrario di certi sgobboni, simpatico perché buono, modesto e sempre pronto al sorriso". Entrato nel 1905 al ministero del tesoro, aveva percorso tutti i gradi della carriera fino ad essere nominato direttore generale nel 1927, su proposta dell'allora ministro Giuseppe Volpi di Misurata. Un anno dopo fu chiamato alla direzione generale della Banca d' Italia – sotto il mitico governatore Bonaldo Stringher – scavalcando candidati interni come il vicedirettore generale Niccolò Introna. Finalmente, il 10 gennaio 1931, alla morte di Stringher, Azzolini veniva eletto governatore".

Continua Gerbi: "la sentenza suscitò notevole emozione nel mondo economico italiano. Raffaele Mattioli, amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, ne fu sconcertato; Diego Stringher, figlio di Bonaldo, diede addirittura le dimissioni da sindaco della Banca d' Italia; Giorgio Mortara manifestò pubblicamente la propria solidarietà; Paolo Baffi volle più tardi scrivere che 'la giustizia' poneva drammaticamente fine alla carriera di Azzolini, come l'avrebbe posta, trentacinque anni dopo, alla mia".

(2) Il terreno su cui sorge Villa Wolkonsky nei pressi di  S. Giovanni in Laterano fu donato nel 1830 da Alexander Beloselsky-Belosersky alla figlia Zenaide http://it.wikipedia.org/wiki/Villa_Wolkonsky che nel 1811 aveva sposato il principe Nikita Wolkonsky, aiutante di campo dello Zar Alessandro I. Alla morte dello Zar, nel 1829 Zenaide si trasferisce a Roma e ricevuto in dono dal padre il terreno incarica l'architetto romano Giovanni Azzurri di costruire una villa utilizzando anche i ruderi dell'acquedotto di Nerone che insistono sul terreno allora di undici ettari. Durante i primi anni la villa  è utilizzata dalla principessa, che la preferisce alle sue proprietà nei pressi di Fontana di Trevi, che invita nei suoi giardini le principali personalità residenti o di passaggio a Roma: Stendhal, Walter Scott,  Fenimore Cooper, Gogol, Donizetti. Morto il marito nel 1844, Zenaide abbandona la villa per dedicarsi una vita più ritirata. Alla sua morte nel 1862 è sepolta nella chiesa dei santi Anastasio e Vincenzo a Fontana di Trevi. Dopo vari passaggi di proprietà e la vendita di gran parte del terreno facente parte della villa, approfittando dello sviluppo urbano della zona, nel  1922 la villa è acquistata dal governo tedesco e diventa la residenza dell'ambasciatore. Dopo la liberazione di Roma nel 1944 il governo italiano la sequestra, tenuto conto del suo uso per scopi non-diplomatici e, finita la guerra, la definisce preda bellica. La villa fa poi parte dei beni considerati come riparazione dalla Commissione alleata di controllo. Nel 1946 l'ambasciata britannica, che si trovava a villa Torlonia a Porta Pia, è distrutta da un attentato  ebraico ed il governo italiano mette a disposizione del governo inglese villa Wolkonsky, che da allora diventa sede dell'ambasciata.

(3) v. giornata del 16 settembre

(4) Una completa ricostruzione delle vicende dell'oro è contenuta nella memoria "Vicende riguardanti l'oro depositato presso la Banca d'Italia (1943-1958)", presentata dalla Banca d'Italia alla conferenza sull' "Oro nazista", tenutasi a Londra nel dicembre 1997.

20 settembre – Di più

- Il 23 febbraio 1999 il sottosegretario al Tesoro Roberto Pinza (governo d'Alema 21 ottobre 1998 – 22 dicembre 1999), rispondendo alla Camera ad un'interrogazione dell'on. Sandro Delmastro delle Vedove, ha ricordato che il 17 maggio 1945, a conflitto terminato, le autorità militari alleate riconsegnarono al governo italiano l'oro residuo trovato a Fortezza e cioè 153 cassette e 55 sacche d'oro per un totale di 22.941,224274 chili d'oro.

"Nel 1946 – ha detto Pinza – veniva costituita, da parte dei governi americano, inglese e francese, una commissione tripartita incaricata di richiedere a ciascuno dei paesi depredati delle riserve, una valutazione delle perdite subite, per procedere poi alla restituzione pro quota dei quantitativi di oro monetario rinvenuti in Germania o che avrebbero potuto essere recuperati da un paese terzo presso il quale fossero stati trasferiti dalla Germania. Tenuto conto delle restituzioni avvenute a favore dell'Italia, l'oro non ancora recuperato si commisurava, fino al 1996, a 24.903 chilogrammi".

La commissione tripartita, nel corso del 1998, prima di sciogliersi, "ha proceduto ad un'ultima residua assegnazione dell'oro recuperato. All'Italia è spettato un quantitativo di 765 chilogrammi circa. Di conseguenza, la parte non restituita della riserva aurea si è ridotta a 24.138 chilogrammi circa. L'Italia ha, perciò, ricevuto circa il 64 per cento del totale di oro sottratto dai nazisti.

Il sottosegretario ha precisato inoltre che il governo italiano ha deciso di partecipare, nel corso del 1998, al nuovo fondo internazionale per le vittime del nazismo, conferendo al fondo stesso il controvalore della vendita alla Banca d'Italia della residua assegnazione di oro monetario. La vendita alla Banca d'Italia ha avuto luogo il 29 giugno  ed il controvalore è stato di circa 12,8 miliardi di lire.

All'atto di ricevere dalla commissione tripartita il quantitativo d'oro di 765 chilogrammi, consapevole della mancata restituzione di una quota residua di oro, il plenipotenziario italiano ha reso, in data 25 giugno 1998, una dichiarazione con la quale il Governo italiano riafferma il diritto relativo all'oro non recuperato, nel caso in cui si presentino occasioni di  recuperarlo o di ottenerne il rimborso.




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