29.8.14

La natura e la bellezza del Delta - Repubblica Viaggi

La natura e la bellezza del Delta - Pagina 1 | Repubblica Viaggi

La natura e la bellezza del Delta

Sì, lo sappiamo: noi italiani siamo esterofili. E anche se abbiamo il paese e la lingua più belli del mondo, i luoghi degli altri e gli stessi nomi stranieri di quei luoghi ci sembrano più affascinanti ed esotici dei nostri. Vuoi mettere, ad esempio, come suona meglio la Camargue rispetto alle Valli di Comacchio? Eppure le zone umide e costiere del Parco del Delta del Po - dalle Sacche degli Scardovari e di Goro alle Saline di Cervia passando per i lidi ravennati e ferraresi - non hanno nulla da invidiare all'area del Delta del Rodano, nella Provenza francese del Sud. Né dal punto di vista ambientale e paesaggistico (avete mai osservato dall'alto la maestosa bellezza dello sbocco a mare del nostro Grande Fiume?), né per la ricchezza dell'avifauna (fenicotteri rosa, aironi e garzette non sono certo una prerogativa camarguese; anzi, le 300 specie di uccelli censite fanno della nostra area ornitologica una delle più importanti d'Europa) o i cavalli che pascolano liberi nelle valli (ci sono anche qui, prevalentemente marroni anziché bianchi ma sempre bellissimi), né, tanto meno, sotto l'aspetto storico e architettonico (vuoi mettere Ravenna o Ferrara con Arles o Aix en Provence?).

Per questo ci permettiamo di invitarvi a rovesciare l'approccio, a essere patrioti almeno nel turismo e - complice la crisi che ci soffoca - vi suggeriamo un itinerario nostrano mare-natura di una settimana per farvi respirare l'aria di una vacanza diversa, dinamica ed economica. In campeggio, dentro un'oasi naturale, con biciclette e scarpe da tennis al seguito, armati di binocolo, di una buona macchina fotografica e di una discreta scorta di prodotti anti-zanzare. L'invito alla scoperta della nostra Camargue, dalle belle spiagge dei Lidi ferraresi a quel Parco del Delta istituito nel 1988 dalla Regione Emilia-Romagna per "garantire e promuovere la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell'ambiente naturale e storico, del territorio e del paesaggio del delta del Po e delle sue zone umide" entrato di diritto, nel 1999, tra i gioielli del Patrimonio mondiale dell'Unesco, dal 2012 governato dall'Ente di gestione per i parchi e la biodiversità e oggi organizzato in 6 "stazioni" tra Emilia-Romagna e Veneto. Un luogo di grande fascino, dove l'acqua e la terra sono in perenne competizione, scolpiscono gli ambienti e creano paesaggi naturali di straordinaria bellezza. Ma anche un luogo dove, nel corso dei secoli, l'uomo è riuscito a contrastare le avversità dell'ambiente attraverso imponenti opere di bonifica idraulica che hanno profondamente mutato il rapporto tra la terra e l'acqua, rendendo quelle zone più sicure, ospitali, produttive, senza però deturparne la natura. "Le residenze dei duchi d'Este nel delta del Po - è scritto nella motivazione dell'Unesco - illustrano in modo esemplare l'influenza della cultura rinascimentale sul paesaggio naturale. Il Delta del Po è uno straordinario paesaggio culturale pianificato, che conserva in larga parte la sua forma originale".

Il viaggio che vi proponiamo non ha la pretesa di farvi sfiancare nella scoperta per intero di un parco sterminato (ben 60mila ettari), delle sue innumerevoli bellezze (oasi ed ecosistemi, boschi e pinete, saline e piallasse, padelloni e fari) e delle città d'arte che lo compongono (Ferrara, Ravenna, Comacchio, Pomposa), ma di farvene assaggiare gli aspetti che meglio si conciliano con una vacanza al mare a fine agosto - settembre.

Sui camping c'è solo l'imbarazzo della scelta. Noi ci siamo trovati bene allo Spina Camping Village, 24 ettari all'ombra di una bella pineta all'interno della riserva naturale delle Vene di Bellocchio, a Lido di Spina, il primo e più caratteristico dei lidi ferraresi andando da Ravenna verso Venezia. Campeggio accogliente, buoni servizi (comprese due piscine), prezzi alti fino al 31 agosto (46 euro al giorno un caravan con 4 persone adulte, più 9 euro per il cane: un "furto", peraltro in contrasto con la politica di accoglienza che vige con i nostri amici a quattro zampe sia al campeggio che in spiaggia) ma medio bassi in settembre (22 euro per 4 persone e un cane). Spina e il mare distano circa 1 km, c'è un servizio navetta, ma l'ideale è muoversi in bicicletta. Una stradina sterrata in mezzo al verde costeggia la spiaggia, che tra Lido Spina e Lido degli Estensi è ampia e ha ancora la duna. I bagni sono affollati e offrono ogni ben di dio, dal ristorante alla musica alle feste in spiaggia, e sono diventati un luogo cult, frequentatissimo dai giovani. Ma il nostro suggerimento è di raggiungere la spiaggia libera, poco frequentata e bellissima: una lingua di sabbia che per qualche km separa la laguna dall'Adriatico, con alle spalle la duna e la pineta, senza gli alberghi e i palazzi a guastare la vista e a inquinare il mare, che in quel tratto al riparo dall'antropizzazione selvaggia e dall'afflusso del Po (che scarica più al largo) ha spesso acque ancora limpide e trasparenti.

Godetevi per un paio di giorni almeno la spiaggia, il mare, la pace, il sole di fine estate (si spera) e intanto riscaldate i muscoli pedalando, camminando o facendo footing per i sentieri delle Vene di Bellocchio e della Laguna attorno al campeggio e verso la foce del fiume Reno, tra Spina e Casal Borsetti.

Ferrara e Ravenna sono le città della bicicletta. Tutti qui si muovono sulle due ruote, c'è una cultura radicata che si traduce in una diffusissima rete di piste ciclabili, in genere ottimamente tenute, in una  chiara e puntuale segnaletica resa ancora più fruibile con le "bike map" distribuite nei campeggi e nei punti di accoglienza turistica. I Lidi, le Valli, il Parco sono l'esaltazione di queste buone pratiche. Del resto, i piedi, le due ruote e la barca sono gli strumenti ottimali per scoprire e vivere al meglio la nostra Camargue. Quindi è il momento di inforcare la bicicletta e mettersi in viaggio. Le possibilità sono innumerevoli, per tutti i gusti e per tutte le gambe. Il percorso ciclo escursionistico Ravenna-Comacchio-Venezia è inserito nel progetto europeo Adriabike che congiunge la costa romagnola con Kranjska Gora in Slovenia. Noi vi consigliamo una escursione alle Valli di Comacchio che misura per il percorso intero 55 km, ma che per i più pigri o meno allenati si può ridurre a fattibilissimi 20 km.

Si parte dall'estremità sud di Lido di Spina, si percorre la strada che costeggia la spiaggia, si raggiunge Lido degli Estensi e da lì, col vecchio traghetto adibito al trasporto di persone, biciclette e motorini, Porto Garibaldi, caratteristica cittadina di pescatori e base di una delle marinerie più importanti dell'Adriatico centro-settentrionale, rinomata anche per gli ottimi ristoranti di pesce e per le numerose friggitorie dove si può consumare o portare via a poco prezzo dell'ottimo pescato. Qui, in agosto, da una quarantina d'anni, si svolge una delle manifestazioni più belle e popolari di tutta la costa: la festa dell'ospitalità. Un paio di pescherecci, in deroga al fermo di pesca estivo, pescano in quell'occasione alcune decine di quintali di pesce azzurro, pescatori e volontari lo friggono in quattro enormi padelloni allestiti sulla banchina e lo distribuiscono gratuitamente assieme alle ciambelle di pane ferrarese e a quintali di cocomero a turisti e visitatori, che se lo gustano con gioia nelle lunghe tavolate che costeggiano il porto canale (quest'anno, a Ferragosto, c'erano più di diecimila persone che si sono divorate 20 quintali di sarde e 25 di cocomeri).

Da Porto Garibaldi si risale verso l'interno a fianco del canale navigabile che arriva fino a Ferrara e dopo qualche km si raggiunge la bella Comacchio, la città dei Trepponti chiamata anche "piccola Venezia", che sorge al centro di estese lagune su un gruppo di tredici isolotti. Un gioiellino che merita, al ritorno dalla biciclettata o alla sera,  almeno una sosta di alcune ore per scoprire, a piedi, l'antico centro storico con le sue antiche chiese e palazzi, la rete dei canali, i ponti, le vecchie pescherie e manifatture, e per una cena a base di anguilla.

Da Comacchio si va verso Ostellato e si arriva all'Oasi della Valle Fattibello fino a Casone Foce, dove c'è il Museo delle Valli. Da lì, a piedi o in barca, si possono visitare in un ambiente ricco di suggestioni i seicenteschi "Casoni" di pesca e i "Lavorieri", manufatti-trappole formati da bacini comunicanti a forma di punta di freccia - un tempo di canna palustre o legno, oggi in cemento e griglie metalliche - che consentono di catturare le anguille. Dal Casone Foce si può prendere la strada di ritorno del percorso breve lambendo la Valle Campo e le Saline, dove si possono osservare i fenicotteri rosa, oppure fare il giro largo, proseguire lungo l'Argine Agosta che ricalca il tracciato della strada romana che congiungeva Ravenna e Adria (da dove si gode una vista straordinaria sulle valli più grandi "sopravvissute" alle bonifiche che sembrano avere la stessa immensità del mare) per poi raggiungere Anita e il Casone restaurato che ospitò Giuseppe Garibaldi (in fuga dagli austriaci e dai papalini con la moglie che poi morì di malaria e fu sepolta in quelle valli), la penisola di Boscoforte prima di ripiegare verso la foce del Reno e i Lidi.

Per tutto il periodo estivo i Centri visita del Parco propongono un fitto calendario di visite guidate ed escursioni a tema, mediamente della durata di mezza giornata, per permettere ai turisti della costa di scoprire le eccellenze ambientali e le specificità del Delta del Po. C'è quindi un'ampia possibilità di scelta. Tutte le informazioni le trovate al link. Almeno un'altra escursione a piedi e in bicicletta di una giornata è comunque d'obbligo al Boscone della Mesola, nella parte più settentrionale del Parco, partendo dal Lido di Volano. La riserva naturale del Gran Bosco della Mesola, con i suoi 1.058 ettari, è uno delle ultime foreste di pianura della costa adriatica. Lungo i percorsi autorizzati si possono avvistare aironi e anatidi, incontrare cervi e daini. 

Altri percorsi ciclabili di quell'area consentono di raggiungere le affascinanti Sacche di Goro e degli Scardovari, tra il Po di Goro e il Po di Volano. Da Goro e Gorino partono poi numerose escursioni in Motonave lungo il Po di Gnocca fino alle isole, alle antiche costruzioni e ai fari delle lingue di terra più avanzate del Delta, spesso con pranzo di pesce a bordo (costo, tutto compreso, di 35 euro). Per trovare il percorso e le informazioni consultare il sito.

Non può mancare, in questa settimana sui lidi ferraresi, una giornata in barca tra i canali e i canneti delle valli. Anche in questo caso le possibilità di scelta sono numerose e le trovate nei siti sulle escursioni della Valle di Comacchio e delle Navi del Delta. Si possono fare escursioni più turistiche con le motonavi, oppure - e noi consigliamo quelle - escursioni in bici + boat, con partenze da Comacchio, durata di un paio d'ore e possibilità di portare la bici su piccole imbarcazioni, alternando percorsi su terra e in valle (meravigliosi quelli nel tardo pomeriggio, che consentono di gustare dalla laguna dei tramonti favolosi), con costi che variano tra gli 11 e i 19 euro a persona. Per gli amanti del birdwatching, la meta d'obbligo è quella delle Saline di Comacchio. Si prenota la guida (costo 90 euro da ripartire tra i partecipanti) che poi si incontra al Casone Bettolino. Il trekking comincia invece dalla stazione di Pesca Foce e il percorso ha una lunghezza di circa 7 km. Si percorre l'argine di Valle Fattibello, poi giunti al ponte di legno sul Canale di Foce si passa all'argine delle Saline, si arriva nei pressi di Torre Rossa e si prosegue per la Centrale Elettrica delle Saline, che si estendono per 600 ettari e si articolano in un fitto intreccio di canali, specchi d'acqua, Chiuse e Casoni dismessi. Dai diversi punti di osservazione schermati e dalle torrette di avvistamento si potranno fotografare i fenicotteri rosa e molte delle 300 specie di uccelli segnalate negli ultimi decenni, di cui oltre 150 nidificanti e oltre 180 svernanti nel Parco. Per chi preferisce non camminare o pedalare, comunque, sono possibili anche visite guidate a bordo di pulmini elettrici (13 euro a persona per arrivare alla "finestra dei fenicotteri" delle saline di Comacchio, 10 euro l'escursione al Bosco della Mesola) e, da quest'anno, anche su fuoristrada a metano (www.delta-adventures.it). 

Nella vostra settimana di vacanza, infine, non può mancare una qualche visita al ricco patrimonio architettonico e culturale del Parco: dal Castello della Mesola all'Abbazia di Pomposa, da Ravenna con i suoi meravigliosi monumenti e mosaici, alla Ferrara degli Estensi. (28 agosto 2014)



27.8.14

7 motivi per mangiare la canapa - Wired

7 motivi per mangiare la canapa - Wired

7 motivi per mangiare la canapa

Questa volta non parliamo della canapa che si fuma, ma dell'olio e dei semi che vengono usati in cucina (e che non contengono THC). L'olio di canapa e i suoi semi sembrano proprio capaci di proteggere l'organismo in modo sorprendente: un'ottima concentrazione e qualità di grassi omega 3 e 6, e un potente effetto antinfiammatorio (c'è chi lo usa al posto degli analgesici, ad esempio per combattere l'artrite), si uniscono alla preziosa presenza di tutti gli aminoacidi essenziali, in proporzione ottimale e in forma facilmente digeribile. L'olio di semi e la farina di semi di canapa sono considerati un "vaccino nutrizionale" che, se assunto ogni giorno, rinforza e regola la risposta del sistema immunitario, del sistema ormonale e del sistema nervoso, come mostrato ormai da numerose ricerche e riportato anche in una circolare del Ministero della Salute.

Il grosso dei vantaggi di questi alimenti è dato dalla presenza di omega 6 e omega 3, capaci di prevenire o curare le malattie attualmente più diffuse: colesterolo, trigliceridi, diabete, artrite, artrosi, asma, psoriasi ed eczema atopico, lupus, malattie autoimmuni in genere, depressione. Nei derivati della canapa questi due grassi non solo sono presenti, ma lo sono in rapporto 3/1, ovvero il rapporto più vicino in natura a quanto raccomandato dall'OMS (olio di pesce a parte, che però deve essere chimicamente trattato). Se poi all'olio di semi di canapa uniamo l'olio extravergine di oliva (che contiene solo omega 6) si raggiunge il rapporto ottimale.

1 Malattie cardiovascolari

Questi alimenti riducono e prevengono l'arteriosclerosi e altre malattie cardiovascolari, perché sono in grado di mantenere elastici i vasi sanguigni ed evitare l'accumulo di grasso nelle arterie.

2 Colesterolo

Qualche cucchiaio al giorno di olio di canapa abbassa rapidamente il colesterolo LDL e i trigliceridi. Si riduce il rischio trombosi.

3 Problemi neurologici

La canapa e i suoi derivati sembrano in grado addirittura di migliorare i problemi di apprendimento, i deficit della memoria, le difficoltà di concentrazione e la mancanza di attenzione, la depressione cronica e la depressione post-parto, proprio per via della capacità di regolare il sistema ormonale.

4 Malattie ossee e infiammazioni

Si usano per curare l'artrosi e l'artrite reumatoide, ma anche altre malattie infiammatorie come l'infezione della vescica, la colite, il colon irritabile e la malattia di Crohn

5 Sindromi ginecologiche 

Sembra avere effetti favolosi contro la sindrome premestruale e durante la menopausa. Combatte l'osteoporosi.

6 Problemi alle vie respiratorie

L'olio di canapa è impiegato nella cura di malattie asmatiche e affezioni respiratorie, sia delle basse che delle alte vie respiratorie: dunque è particolarmente utile in questo periodo.

7 Malattie della pelle

Psoriasi, vitiligine, eczemi, micosi, irritazioni da allergie, dermatiti secche, acne e tutte le infiammazioni o irritazioni localizzate si trattano con questi alimenti oppure applicando l'olio localmente. E' efficace anche per la cura dei funghi delle unghie e contro il prurito.

Per finire, l'olio di canapa deve essere estratto con spremitura a freddo e i semi sono meglio non decorticati, cioè ricchi di tutte le fibre. Per un veloce ricettario con tutti i derivati della canapa, potete dare un'occhiata qui (http://www.assocanapa.org/ricette.htm).




26.8.14

Il “medico” che memorizza 200 milioni di pagine in 3 secondi – PNR – presi nella rete - Blog - Repubblica.it

Il "medico" che memorizza 200 milioni di pagine in 3 secondi – PNR – presi nella rete - Blog - Repubblica.it

Il "medico" che memorizza 200 milioni di pagine in 3 secondi

Dal Venerdì del 22 agosto 2014

YORKTOWN (New York). Il dottor Mark Kris ha una parete scrivibile sui cui prende appunti con un pennarello rosso. Ci sono nomi di farmaci, interazioni tra principi attivi che è meglio evitare, riferimenti ad articoli scientifici. Dice «è comoda» (ma com'è arrivato quasi al soffitto?), in verità sembra più che altro bella, una specie di stele di Rosetta muraria, ultimo residuo di fisicità in una professione che si sta sempre più digitalizzando. Nessuno lo sa meglio di lui, dal momento che, da direttore dell'oncologia toracica del Memorial Sloan Kettering di New York, passa la maggior parte del suo tempo a istruire Watson, il supercomputer di Ibm che un giorno affiancherà il lavoro suo e di tanti suoi colleghi. «Gli insegno a interrogare la letteratura scientifica, perché sia sempre aggiornato. A confrontarla con migliaia di casi di tumore al polmone. E quando fa raccomandazioni terapeutiche, gli dico quali funzionano di più. Lui ricorda, impara, e la volta successiva migliora. È un ottimo allievo».

È il minimo che si possa dire di una cosa capace di ingurgitare e digerire duecento milioni di pagine in poco meno di tre secondi. Con la differenza cruciale, rispetto alla celebre battuta di Woody Allen («Ho preso lezioni di lettura veloce e ho letto Guerra e pace in venti minuti. Parlava della Russia»), che Watson ricorda ogni parola, virgole incluse. Questa spaventosa memoria l'ha fatto ben figurare in passato. Il debutto di Watson (dal nome di Thomas, leggendario presidente della International Business Machines a partire dagli anni 20) in società risale al 2011, a quella notte in cui ha stracciato due campioni storici di Jeopardy!, la matrice americana del nostro Lascia o raddoppia, vincendo un milione di dollari. Quattordici anni prima era stato Deep Blue, uscito dagli stessi lombi informatici, a conquistarsi i titoli di giornali per aver battuto a scacchi il campione Garry Kasparov. Diventato a buon diritto una celebrità del piccolo schermo, ora il calcolatore poteva fare sul serio, dedicandosi alla medicina. Dunque spostiamoci di sessanta chilometri a nord di Manhattan, nei boschi della contea di Westchester, in una struttura circolare di tre piani di acciaio e vetro (ogni ufficio ha una finestra che guarda verso le conifere), dove l'Ibm ha uno dei suoi laboratori più importanti. Niente video all'interno: segreti industriali.

L'allampanato Jay Murdock è stato incaricato di spiegarci il contesto: «Nella sfida di Jeopardy! da una parte c'erano dieci file di Power7, i nostri più potenti computer, che consumano circa 27 kw di corrente contro due cervelli umani alimentati da un panino e un bicchier d'acqua a testa, il corrispettivo di un watt, forse». Il finale è noto. Murdock elenca le novità della macchina: «Interagisce in linguaggio naturale. Genera e valuta ipotesi che si basano su prove. Si adatta e impara man mano che si usa». Tanta roba, ma abbastanza da giustificare un investimento da un miliardo di dollari, un nuova spettacolare sede a Union Square e duemilacinquecento persone dedicate al progetto? Loro, ovviamente, ne sono convinti dal momento che «il sovraccarico di informazioni in cui siamo immersi raddoppia ogni 3-5 anni». Nessun essere umano potrà stargli dietro, un supercomputer sì. «Al punto da essere al corrente anche del più arcano studio uscito sino a un minuto prima. Un sapere che, nel caso della salute, può significare la differenza tra la vita e la morte».

Lo stanzino delle dimostrazioni è l'unico senza finestre e servono pass speciali per avervi accesso. La precondizione per un utilizzo di massa di questi assistenti medici informatici si chiama Emr, che sta per Electronic Medical Records. Ovvero la digitalizzazione delle cartelle cliniche e di ogni dato anamnestico. A partire da essi Watson potrà farsi un'idea già compiuta del paziente che si troverà davanti. «Confrontando i dati a sua disposizione con la letteratura, potrà suggerire nuove domande: Tossisce sangue? Ha un udito normale? Condizione, quest'ultima, che può essere effetto collaterale della chemioterapia, ma anche indicatrice di un possibile tumore al cervello. Il computer le segnalerà entrambe, e tutte le altre in ordine di probabilità». L'intelligenza del super-pc è di tipo inferenziale-statistico, ovvero deduce conclusioni generali a partire da campioni. Una volta alimentata di tutti i dati rilevanti, la macchina sfornerà una schermata con due-tre opzioni di trattamento possibile, in un ranking analogo a quello dei risultati di Google. Il piano di cura 1 è quello con l'«intervallo di confidenza», ossia la fiducia nella plausibilità di quelle indicazioni rispetto alla patologia, più alto. A seguire, il piano 2 e 3. Nella scelta si cerca di tenere conto delle preferenze del paziente, presentate in un altro colonnino: se allo stesso risultato si può arrivare senza chemio e per il malato è psicologicamente importante non perdere i capelli, lo si accontenta. Scelta la strada, come in una specie di serissimo videogioco, passi al livello successivo. Qui, selezionando un bottone, il piano viene spedito elettronicamente all'assicurazione per una pre-autorizzazione. «Sembra una cosa da poco, ma è un passo avanti cruciale che può far risparmiare anche mesi rispetto al protocollo attuale, con vari passaggi di carte» fa notare Murdock. Un tempo che, talvolta, risulta fatale.

I vantaggi di efficienza sono evidenti. Al punto da mettere, al confronto, in cattiva luce gli umani. Provo a suggerirlo a Bob Picciano, senior vice president che dirige il dipartimento Big Data di Ibm: «Non la metterei in termini di macchine che sostituiscono gli uomini. La maggior parte dei medici, in media e al netto delle attività di cura, avrà sì e no una quarantina di ore all'anno per studiare. In una società che, ormai, produce 2,5 exabyte al giorno (ovvero 1,25 miliardi di chiavette Usb da 2 giga). Ecco, Watson è un ponte tra la sempre più diffusa condizione di stress informativo e i vari saperi specialistici». Un alleato dell'uomo, giura, non una minaccia. Probabilmente ci crede. Almeno sino a quando non li avremo addestrati così bene che le loro diagnosi saranno indistinguibili da quelle dei medici in carne e ossa, a una frazione del prezzo. E allora, come già succede con Warren, un software che sta cominciando a rimpiazzare gli analisti junior di Borsa nelle raccomandazioni sull'andamento dei titoli, il rapporto costi-benefici giocherà a sfavore di chi ha la memoria meno buona, si alza per fare pipì e pretende addirittura le ferie pagate.

Il dottor Kris, nella sua luminosissima stanzetta allo Sloan Kettering, non ha l'impressione di stare apparecchiando un banchetto di auto-cannibalizzazione. Dice: «Watson, semplicemente, sarà un nostro prezioso assistente. Ci aiuterà a prendere decisioni migliori». Ricorda che, solo nella sua specialità, ci sono negli Stati uniti oltre 150 mila tumori all'anno. Ognuno con una sua peculiarità clinica e di risposta ai farmaci che il computer può estrapolare per ricordarsene in casi comparabili. Mi mostra di nuovo le schermate del programma, stavolta sul suo iPad: «L'applicazione, setacciando le banche dati dei centri medici federali, mi segnala anche se esistono test clinici sulla malattia in questione ai quali il paziente potrebbe partecipare». Il suo vantaggio principale è proprio quello di avere il quadro d'insieme. E una capacità d'attenzione indifferente alla circostanza, comune anche ai luminari, di aver litigato con la moglie magari un'ora prima della visita. In più, con quella rassicurante stolidità informatica, ti obbliga a seguire alla lettera i protocolli. Se salti un passaggio non vai avanti. Atul Gawande, medico superstar che ha scritto Checklist, un bestseller sull'importanza di seguire puntigliosamente le istruzioni, sarebbe ammirato. Insiste Kris: «È uno strumento straordinario per condividere le informazioni. Premendo un solo tasto puoi fare avere la diagnosi, oltre che all'assicurazione, alla farmacia che deve preparare le medicine, azzerando le migliaia di errori dovuti alle inintellegibili grafie dei medici; all'infermiera che dovrà somministrarle; al medico di base; al paziente e ai centri sanitari nazionali, a fini statistico-scientifici».

Che un professionista del suo calibro sia così entusiasta rassicura. Ma non riesco a togliermi dalla testa l'analogia della guida col navigatore, con la sua seduzione irresistibile e al contempo deresponsabilizzante. L'oncologo non mi segue. Rilancia: «I pazienti non vedono l'ora di poter essere visitati con l'aiuto di Watson. Hanno letto della sua memoria assoluta e capito che non spinge verso una decisione anziché un'altra, piuttosto alleggerisce il peso di quelle che il medico deve affrontare». Dovranno aspettare ancora un po'. Né al Msk né a Ibm azzardano date («Il concetto è già stato accettato dalla comunità medica, ma non facciamo previsioni»). Non dicono neppure come pensano di fare soldi da questa costosissima applicazione ma, verosimilmente, medici e ospedali si potranno abbonare al servizio, scaricare una app e consultarlo come fosse una super banca dati. Qualche mese fa l'azienda informatica ha annunciato il Project Lucy che prevede di usare il supercomputer per risolvere alcuni problemi strutturali dell'Africa, tra cui la carenza di medici (in media uno ogni duemila abitanti). Grandi aspettative per una singola macchina. Ars longa, vita brevis avvertiva Ippocrate. Non c'è mai abbastanza tempo per imparare tutto ciò che servirebbe. Oggi, con una letteratura scientifica ipertrofica, è più vero che mai. Da questo punto di vista Watson sarà un grande aiuto. Investi sugli insegnanti e avrai alievi migliori. Rendi la vita facile ai medici e a guadagnarci saranno i pazienti.

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La dolce quiete dell'Osttirol - Repubblica Viaggi

La dolce quiete dell'Osttirol - Pagina 1 | Repubblica Viaggi

La dolce quiete dell'Osttirol

«Proprio la cosa più piccola, più sommessa, più lieve, il fruscìo di una lucertola, un soffio, un guizzo, uno sbatter di occhi. Di poco è fatta la miglior felicità». Forse Friedrich Nietzsche, quando ha scritto queste parole, pensava a qualcosa di molto simile all'Osttirol. Certo è che da queste parti, tra il più grande parco nazionale d'Europa e le vette più scoscese delle Alpi, gli Alti Tauri a nord e le Dolomiti di Lienz a sud, lo stare bene è fatto davvero di piccole cose. Di emozioni a contatto con la natura. Di rododendri di montagna, ancora boccioli, timorosi nel loro "venir fuori", forse per paura di avere ancora freddo (l'aria è sempre un po' frizzante). Di passeggiate nei boschi. Passo dopo passo lo scenario cambia prospettiva, riflessi e colori. "Di fronte a una pianta di sambuco togliti il cappello, davanti ad un ginepro mettiti in ginocchio", recita un antico detto. Così tutto è un'esplosione continua di profumi e di piante che lasciano d'incanto e rapiscono lo sguardo, come le orchidee a "scarpetta di Venere", vanitose nel mostrare la propria bellezza e le sfumature di giallo-rosso.

E può capitare di scorgere tra i cieli gli avvoltoi barbuti che sono soliti compiere le loro evoluzioni in aria, attorno alle dieci del mattino, quando le correnti termiche sono più favorevoli. Tra montagne, paesaggi e animali da fotografare, se ne va la giornata. Si può vagare per giorni senza ripetere mai lo stesso percorso, ma sempre in religioso silenzio come se ogni passo ed ogni respiro potesse rovinare la magia. Soprattutto, alla sera per le escursione in notturna con le lanterne, fino al laghetto artificiale di Moosalm.

É questo anche un piccolo paradiso per il turismo attivo, tra chilometri di sentieri per fare trekking o andare in mountain bike, con percorsi di ogni grado di difficoltà, o ancora per cimentarsi su vie ferrate, che consentono anche ai meno allenati di avvicinarsi alle calde pareti dolomitiche. Una facile escursione si può fare lungo il nuovo sentiero "Herz-Ass-Weg", verso la remota vallata Villgratental, incontro ai monti di Villgrat che proteggono i villaggi alpini di Ausservillgraten e Innervillgraten, come se li cingessero all'interno di un grande cuore.

Di ritorno dalle montagne, è l'antica e vezzosa Lienz, chiamata la "perla delle Dolomiti" ad accogliervi. Tutt'intorno si erge una corona di montagna, come una sorta di arena naturale. L'estate è mite e risente dell'aria mediterranea che arriva dall'Italia, tanto da avere anche l'appellativo di "città del Sole". La città sembra uscita da una scatola di giocattoli, tanto è composta e ordinata. Una chicca è la scenografica Hauptplatz, salotto cittadino all'aperto, con palme qua e là a caratterizzarla ulteriormente. Ci si siede all'ombra del Liebburg, il municipio del '700, in uno dei numerosi caffé che affacciano sulla piazzetta. Può capitare che belle ragazze vengano a prendere le ordinazioni, con indosso il Dirndl, l'abito colorato e tradizionale delle donne tirolesi (dirndl è un parola dialettale e vuole anche dire "ragazza"): si compone di un bustino, un top ricamato bianco, una gonna ampia ed un grembiule. Lo sfoggiano con orgoglio, così come alla sera, per le strade, non sono poche coloro che hanno il "Tracht", l'abito per le feste, con ricami particolari e tessuti preziosi, spesso fatti a mano. Vale la pena divertirsi a provarne uno. Krismer natürlich Tracht (Rosengasse 15) ha forse la più svariata scelta della cittadina, per ogni budget, per chi volesse acquistare un capo come souvenir.

Lienz si vive a piedi, tra botteghe per fare shopping di artigianato tipico e il mercatino dei prodotti tipici regionali (ogni venerdi pomeriggio dalle 13 alle 18 e ogni sabato mattina dalle 8.30 alle 12.30) o ristoranti per soste golose, dove assaggiare gli "Schlipfkrapfen", ravioli di ricotta e spinaci. Un'alternativa "vintage" è l'escursione in carrozza: Gottfried Walder fa la spola su e giù con il suo fedele cavallo Franz mentre intrattiene raccontando il territorio e aneddoti (costi, 60 euro per 6 persone, prenotazioni al numero  +43.(0)4846 - 6226 o direttamente all'ufficio turistico di Sillian). Un'ora di tour lento: si costeggiano pascoli di mucche (quasi tutte di razza Pinzgauer), si passa vicino alla diga dal luccichio accecante delle acque e si incrocia la pista ciclabile lungo la Drava.

Chi ha voglia di avere qualcosa di programmato, può scaricare la nuova applicazione gratuita "Guida del Tirolo", per dispositivi mobili: suggerisce cosa vedere, le attrazioni da non perdere, basandosi anche sulle condizioni meteo, orari di apertura. Tra le altre eccellenze della zona, c'è il "Vitalpinum", a Thal, a pochi chilometri tra Sillian e Lienz. Sorge sul terreno della prima distilleria tirolese di essenza di pino mugo e qui i sensi diventano protagonisti: vista, olfatto, tatto, udito per sentire e riconoscere la forza vitale delle Alpi. Nel giardino benessere è da provare il sentiero a piedi nudi soffermandosi qualche minuto su "tappeti" di calendula, ginepro, ippocastano, lavanda. La sensazione di relax agli arti inferiori è assicurata. Poi tutto si completa con la fontana dell'arnica: gocce di energia da stendere su gambe e braccia, un vero toccasana anche per il mal di testa. Curioso l'oroscopo dell'olio all'erbe, con dodici colonne artistiche abbinate ai vari segni zodiacali. Qualche esempio? Per la Bilancia, è il ginepro, per lo Scorpione, l'olio d'abete; l'Acquario dovrebbe affidarsi all'olio di pino, mentre il Capricorno optare per il pino mugo. Proprio il pino mugo che ha fatto la fortuna dell'azienda (i fratelli Unterweger lo producono da generazioni, sin dal 1886) e che un video documentario ne ripercorre le tappe, oltre ad una piccola distilleria dimostrativa che ne svela curiosità e segreti.

Alla fine, davvero ci si rende conto che la felicità è fatta di piccole cose. Di sorrisi della gente, sempre pronta ad offrirvi una schnaps, una grappa dall'alta qualità (grazie all'elevata percentuale di frutta aromatica) e considerata un bene culturale tirolese. Sorride sempre Martina Kuenz, proprietaria insieme al marito Hermann, quando nel maso Kuenz-Hof, tra i più belli della zona, spiega i pregiati distillati e li fa degustare. «Già l'Imperatrice Maria Teresa, quasi trecento anni fa, ha dato alla nostra fattoria l'importante "diritto alla distillazione"», dice soddisfatta. Trasmette la sua passione, illustrando le varie fasi lavorative: il paiolo che viene riscaldato secondo un'antica tradizione, con il legno ottenuto dai boschi; il distillato che viene fatto maturare e poi diluito con scrupolosità in cantina (si consiglia la prenotazione per la visita in italiano). I gusti? Infiniti, prodotti con ingredienti naturali e con la stessa cura di un tempo. Dall'acquavite di mela, dal gusto delicato con una nota di vaniglia a quella di sorbo, con un retrosapore di marzapane.

Ancora alla birra che lascia la sensazione di luppolo sul palato o al lampone, seducente all'olfatto. Non manca l'acquavite di aronia, detta anche sorba nera, nella lingua popolare. Pare che abbia proprietà afrodisiache. Infine, una è la conditio fondamentale per brindare con un bicchierino di Schnaps, il cosiddetto "stamperl": solo in buona compagnia e con allegria. Mai da soli o se si è un po' giù di morale. E per brindare con l'eccellenza, si scelga l'originale dell'Osttirol: il Pregel, il re di tutte le grappe, ottenuto dalla distillazione di mele e pere regionali. Secondo un detto popolare, «il Pregel dà forza e gioia di vivere, protegge dagli spiriti cattivi e dalla noia, aiuta la vitalità e anche quel qualcosa in più». Quel qualcosa in più, che qui basta solamente saper cogliere. (23 agosto 2014)



25.8.14

Il parquet ecologico - Vivi con stile

Il parquet ecologico - Vivi con stile

Il parquet ecologico

Il parquet offre una lunga serie di vantaggi dal punto di vista dell'ecologia e del benessere della persona, ma attenzione a come lo si sceglie. Dall'origine della materia prima ai trattamenti di finitura fino alla posa in opera, i principali fattori di cui tenere conto per un acquisto che sia davvero green e salutare.

Scegliere il parquet per la propria abitazione offre una lunga serie di vantaggi dal punto di vista dell'ecologia e del benessere della persona. Il legno, materiale naturale per eccellenza, è infatti un ottimo isolante, protegge dal freddo, attutisce i rumori, regola l'umidità dei locali garantendo un clima abitativo sano e privo di polveri. Inoltre, se le foreste di origine sono gestite in modo sostenibile, è l'unica materia prima per coperture rinnovabile, completamente biodegradabile e riciclabile al 100%.
Perché la scelta del nostro parquet sia davvero green e salutare occorre però tener conto di alcuni fattori: l'origine della materia prima utilizzata, il processo di lavorazione, i trattamenti di finitura e, naturalmente, la posa in opera.

Come sceglierlo

parquet-ecologico-FSCparquet-ecologico-PEFCFSC (Forest Stewardship Council) e PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification schemes) sono tra le certificazioni più accreditate. Identificano i prodotti realizzati con legno proveniente da foreste gestite in modo sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Acquistare un parquet che riporti uno di questi marchi ci dà la garanzia che sia prodotto con legno prelevato solo da aree controllate dove si effettuano ripiantumazioni, evitando lo sfruttamento di specie protette o a rischio d'estinzione (nel Pefc solo se la legge del paese d'origine prevede la protezione di quella specie), e la cui gestione sia socialmente vantaggiosa. Come per tutte le merci, meglio preferire legno di provenienza europea così da minimizzare le emissioni di gas serra dovute al trasporto della materia prima.

parquet-ecologico-CEDal 1° marzo 2010 solo i parquet con marcatura CE (Conformità Europea) possono essere commercializzati sul mercato dell'Unione europea (UNI EN 14.342). Il marchio attesta la conformità del prodotto ai requisiti essenziali prescritti dalla legislazione comunitaria in materia di sicurezza riguardanti, ad esempio, il rilascio di formaldeide, l'emissione di pentaclorofenolo, la resistenza al fuoco.

parquet-ecologico-EcolabelIl marchio europeo di qualità ecologica Ecolabel attesta il ridotto impatto ambientale di un prodotto in tutte le fasi del suo ciclo di vita, a parità di prestazioni e di qualità. Per i pavimenti in legno, ottengono la margherita dell'Ecolabel le coperture che garantiscono un ridotto impatto sulle foreste e sui loro habitat, consumi ridotti di energia in fase di produzione, limitato uso di sostanze pericolose, minori emissioni nell'acqua e nell'aria, sicurezza e assenza di rischi per la salute negli ambienti abitativi.

Impregnanti
I trattamenti chimici per rendere il legno meno esposto a funghi, muffe, per una sua migliore conservazione, possono essere particolarmente aggressivi per la salute e per l'ambiente. Così come lo sono le vernici che rendono il legno lucido. Se il parquet ha l'Ecolabel siamo comunque sicuri anche da questo punto di vista. In ogni caso le normative europee hanno imposto limiti sempre più bassi di composti organici volatili (Cov), tossici anche solo per inalazione, ma essi rimangono la componente principale di molti impregnanti per il legno in commercio: fino a 700 grammi per ogni litro.
Esistono comunque molte vernici atossiche, preferibili quelle all'acqua e con marchio di qualità ecologica Ecolabel. Controlliamo sempre la scheda di sicurezza dei prodotti.

E se il parquet viene incollato?

La posa incollata è la più diffusa grazie alla praticità d'uso e alla solidità del risultato finale, ma richiede l'impiego di prodotti chimici per edilizia che devono essere scelti attentamente. Pavimentando 100 mq in parquet si introducono in casa 100-150 kg di colla: la presenza di sostanze tossiche e problematiche, come il metanolo che si forma durante il processo di indurimento della colla, può generare il rischio di sviluppo della SBS (Sindrome dell'edificio malato) e l'insorgere di malattie professionali.
parquet-ecologico-SwanTenere d'occhio l'etichetta è sempre il primo consiglio. In particolare, è fondamentale prediligere adesivi senza solventi, a basse emissioni di composti organici volatili (Cov) e che non rechino frasi e simboli di pericolo: il teschio, la croce di Sant'Andrea, la lettera T (Tossico), XN (nocivo), N (dannoso per l'ambiente acquatico il cui simbolo è un pesce morto). La presenza sull'etichetta dei marchi Ecolabel e Nordic Ecolabel, marchio di qualità ecologica dei paesi nordici, garantisce il rispetto di severi criteri ecologici e di qualità, ed un costante controllo. Meglio non fidarsi, invece, delle auto-certificazioni ecologiche delle aziende produttrici.
Infine, un ultimo consiglio: chiediamo sempre all'artigiano o al venditore le schede di sicurezza che accompagnano il prodotto e leggiamole con attenzione.




Legambiente - Vivi con stile

http://www.viviconstile.org/

22.8.14

Balagne e Saleccia. Corsica sauvage - Repubblica Viaggi

Balagne e Saleccia. Corsica sauvage - Pagina 1 | Repubblica Viaggi

Balagne e Saleccia. Corsica sauvage

Dimenticare le spiagge affollate delle località più alla moda e andare alla ricerca della Corsica meno conosciuta, fatta di baiette dimenticate dove le auto sono bandite, borghi di pietra arroccati sulla montagna, viticultori eroici e antichi mestieri recuperati.

Il viaggio può partire dalla bella Bastia, punto di approdo del traghetto Moby Corse che tutti i giorni collega Genova all'isola francese. Comodo viaggio di andata in notturna e ritorno con navigazione diurna, con possibili incontri ravvicinati con delfini e altri mammiferi marini. Da qui ci si dirige subito verso Saint-Floren, vivace cittadina balneare che riserva una piacevole sorpresa. Imbarcandosi sul battello Le Popeye si arriva in circa 15 minuti di navigazione alla splendida spiaggia di Lotu: mare cristallino, sabbia e tanto silenzio. Una piccola oasi di pace  con  un sentiero che, dopo una breve passeggiata nella macchia mediterranea, porta allo spiazzo da dove parte un calesse trainato da un paio di docili cavalli che conduce, attraversando il selvaggio deserto delle Agriates (così chiamato perché mai abitato dall'uomo) alla lunga spiaggia di Saleccia, raggiungibile solo via mare o attraverso un'impervia pista in sabbia. Un affabile baretto in ecomateriali, all'ombra degli alberi, assicura relax, bevande fresche e semplici piatti a chi vuole passare l'intera giornata in questo incantevole angolo di mare della Corsica, così diverso dalle fin troppo frequentate spiagge alla moda. Ritornati, in barca o con un lungo trekking, a Saint-Florent si può riprendere l'auto per proseguire verso sud.

Superata la selvaggia zona delle Agriates ,si lascia la costa per imboccare la tortuosa strada che si dirige verso i borghi dell'interno della regione della Balagne. Austeri paesi di pietra e silenzi, come Belgodere, Feliceto, Muro e Sant'Antonino, collegati tra di loro dalla Via degli Artigiani, nata per far conoscere le antiche manualità di questi luoghi. Lungo il cammino si incontrano e si possono visitare cantine dove nascono ottimi vini, botteghe di ceramiche, laboratori di cosmetici biologici a base di profumato elicriso, apicultori, pasticcerie che sfornano biscotti dai sapori antichi, salumerie artigianali e frantoi per la produzione di olio extravergine di oliva.

Tra una borgo e l'altro si incontrano paesaggi selvaggi, dove non è difficile incrociare volpi o altri animali della macchia, ed è possibile sostare e rifocillarsi nei numerosi agriturismo e nelle locande che propongono i decisi sapori della cucina corsa. Rigorosamente accompagnati da ottimi vini o dalla birra alla castagna. E nel piacevole Ristorante Sol e Luna di Feliceto, prima del pranzo, ci si può rinfrescare nella bella piscina panoramica.  Da non mancare la visita del borgo medievale di Sant'Antonino, antica capitale della Corsica, da scoprire passeggiando nelle strette viuzze che si inerpicano fino alla cima della collina e alle rovine del castello. Da provare la cucina contadina dell'economico e panoramico Ristorante Bellevue e, una volta ritornati al parcheggio, la spremuta di solo limone - da allungare a piacimento con l'acqua fresca presente sui tavoli -dell'osteria situata all'entrata del paese. Da Sant'Antonino si può quindi scendere verso la costa, godendosi dall'alto splendidi panorami, fino a raggiungere la vivace località balneare dell'Ile-Rousse, con lo spettacolare Faro della Pietra.  Sul lungomare, costeggiato da una  ferrovia secondaria a binario unico ancora in funzione per simpatici viaggi turistici in treno fino a Calvi o Bastia, si affacciano diversi bar, ristoranti e gelaterie, dove sedersi per godere degli splendidi tramonti che colorano il mare davanti alla cittadina.

Chi è alla ricerca di nuova tranquillità può invece raggiungere il Parco Naturale di Saleccia, situato a soli 4 chilometri da L'Ile-Rousse, in direzione Bastia. La visita, della durata di circa un'ora e mezza, permette di ammirare la tipica flora corsa e mediterranea, oltre ad alcuni animali dell'isola. I più sportivi possono anche indossare gli scarponcini e partire per una delle panoramiche e impegnative randonnez nelle montagne della Balagne, alle spalle di L'Ile-Rousse.  Ritornati a Bastia, prima di imbarcarsi, vale la pena visitare, in Boulevard De Gaulle nei pressi del porto, la bottega Cap Corse Mattei fondata nel 1872 da Luigi Napoli Mattei creatore della felice ricetta di uno degli aperitivi più amati dai francesi, il Capo Corse appunto. (22 agosto 2014)



L'Italia senza più memoria - Inchieste - la Repubblica

L'Italia senza più memoria - Inchieste - la Repubblica

L'ITALIA SENZA PIÙ MEMORIA

L'Italia senza più memoria
Un taglio alla storia
Spese folli e documenti inaccessibili
A rischio anche la Biblioteca nazionale

Un taglio alla Storia

di CARMEN GALZERANO
ROMA - E' un grido d'allarme. Un urlo, quasi disperato, per evitare la scomparsa della nostra memoria collettiva. Quella costruita in decenni sulla base di documenti che raccontano l'Italia. Un colpo di grazia alla sopravvivenza dell'Archivio Centrale dello Stato. Per il sovrintendente Agostino Attanasio non c'è dubbio: con questo ennesimo taglio ai fondi della cultura è la nostra storia, la nostra cultura come uomini e come Paese, che rischia di scomparire. Una mole imponente di documenti spesso rari e preziosi, come gli originali dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci o le carte sul sequestro Moro, che testimoniano il percorso fatto dall'Italia dall'unità ad oggi.

"L'Archivio Centrale dello Stato", spiega il responsabile della struttura, "ha un fabbisogno minimo, quello che i ragionieri chiamano spese incomprimibili: 800mila euro all'anno. Con quella cifra possiamo sopravvivere, fare le operazioni correnti. Nient'altro che il semplice ordinario. Nel 2013, invece, abbiamo ricevuto 650.000 euro, esattamente la metà dei fondi che avevamo avuto nel 2012". I conti sono semplici e il risultato è drastico."Finora", insiste il sovrintendente Attanasio, "siamo sopravvissuti a questi tagli perché siamo stati pessimisti verso il futuro: abbiamo gestito all'insegna del risparmio, lasciando dei fondi a disposizione perché temevamo di andare incontro a periodi poco felici. Ma a partire dal prossimo anno, se la situazione non cambierà in modo radicale, l'Archivio Centrale dello Stato chiuderà. Già quest'anno non sarà semplice fare il bilancio".

Con i suoi 120 chilometri di scaffali e una media di 36mila pezzi movimentati all'anno, l'Archivio Centrale dello Stato rappresenta da oltre mezzo secolo la memoria storica e documentaria del nostro paese, il punto di riferimento obbligato per ogni tipo di ricerca sull'Italia unitaria. Fu istituito nel 1953 ma l'esigenza della nascita di un grande istituto archivistico di livello nazionale si era posta già nel 1943, all'indomani del 25 luglio, quando si comprese di dover garantire la sopravvivenza degli archivi fascisti per il loro valore di fonti storiche.

Sin dall'inizio, prima ancora della sua apertura, si pose però uno dei grossi problemi strutturali dell'Archivio Centrale: i depositi. La sede fu progettata nell'ambito dei lavori per l'E42, quello che oggi conosciamo come Eur, ma la guerra non permise di terminare tutti gli edifici. Il primo sovrintendente, Armando Lodolini, propose al ministero dell'Interno di svolgere i lavori di adeguamento dell'edificio non ancora terminato in modo da renderlo idoneo a ospitare un istituto che avrebbe dovuto poi conservare masse notevoli di documentazione. Il ministero, tuttavia, non accettò questa proposta: "Il risultato", lamenta Attanasio, "è una sede molto prestigiosa, adeguatissima per quello che riguarda gli spazi pubblici, la sala studio, la sala convegni e gli uffici, ma del tutto inidonea per la conservazione dei depositi archivistici. Su 120 chilometri di scaffalature che conserviamo", osserva ancora il sovrintendente, "direi che al massimo 40 chilometri sono in una condizione idonea. Nel nostro edificio laterale, per esempio, ci sono delle vetrate enormi per cui d'estate fa molto caldo e d'inverno molto freddo: una realtà opposta a quelle che dovrebbero essere le condizioni per una corretta conservazione degli archivi. Potremmo creare un condizionamento ambientale, ma già oggi spendiamo 200.000 euro di energia elettrica. La prospettiva fattibile, quella da perseguire, è immaginare dei depositi funzionali, moderni ed economici".

Per questo motivo il sovrintendente Attanasio sponsorizza l'idea del ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo di trasferire una parte abbastanza consistente di documentazione in un deposito a Pomezia e trasformare quest'ala in un Polo Museale.  "Ci saranno ovviamente delle spese a carico del ministero per i lavori di ristrutturazione - dice Attanasio - ma l'ACS risparmierebbe almeno un milione di euro". Sorgerebbe però il problema dell'accessibilità della documentazione trasferita a Pomezia, che per essere consultata dovrebbe essere  riportata ogni volta nella sede dell'Eur con un servizio di navetta. "Purtroppo", commenta con una punta di amarezza il sovrintendente, "dobbiamo fare i conti con la realtà in cui viviamo. In un Paese dove fosse davvero possibile fare le cose in modo organico, serio e con prospettive ampie e ambiziose, lo Stato ragionerebbe in modo diverso. Avremmo potuto fare come a Barcellona o a Londra: costruire in una periferia romana una sede davvero avanzata e funzionale. Avremmo potuto e dovuto fare questo, ma queste cose si decidono a livello politico e richiedono una visione d'insieme più ampia di quella che c'è stata in Italia in questi anni. Considerando tutto ciò la soluzione di Pomezia è la migliore possibile. L'accessibilità alla documentazione sarà garantita da un servizio navetta serio ed efficiente che pagheremo con le economie che facciamo sull'affitto. In questo modo noi possiamo garantire un servizio nettamente migliore di quello che c'è adesso sia sul piano della conservazione dei documenti sia sul piano dell'offerta che garantiamo agli studiosi".

Il problema dello spazio diventerà ancora più pressante quando verrà attuata la direttiva Renzi che dispone la declassificazione degli atti relativi alle stragi di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna e rapido 904 finora coperti dal segreto di Stato. Già in autunno l'Archivio centrale dello Stato riceverà le prime carte e si porrà un problema di collocazione per la loro conservazione e la loro sicurezza perché alcuni documenti contengono dati sensibili che non possono essere messi in consultazione. "Stiamo ancora definendo le procedure, ma credo che il metodo sarà lo stesso che abbiamo usato con il versamento Moro: alcuni nomi e dati che appartengono alla realtà attuale verranno obliterati perché non possono essere consultati", dice Attanasio.  I segreti di Stato saranno solo gli ultimi acquisti.

Nei faldoni conservati all'Archivio Centrale dello Stato si trova di tutto, anche soldi: nel fascicolo 89/A della Polizia Politica relativo a Michele Schirru, un anarchico fucilato dal regime fascista per l'intenzione di uccidere Benito Mussolini, c'è ad esempio - in perfetto stato di conservazione - un assegno di duemila lire del Crédit Lyonnais datato 3 febbraio 1931 che fu sequestrato a Schirru.

L'assegno e milioni di altre carte sono custodite in grossi faldoni, chiamati buste: fino a qualche anno fa ogni studioso poteva consultare un totale di 16 buste al giorno distribuite in 4 turni. Negli ultimi anni il personale è diminuito costantemente. Ma non è stato sostituito con nuovi ingressi. E' venuto così a mancare anche qui quel ricambio generazionale che ha più dimestichezza con le nuove tecnologiee potrebbe avere un impatto più produttivo con le realtà esterne: studiosi, storici, giornalisti, semplici cittadini animati dal desiderio di consultare concretamente la documentazione raccolta attorno a singoli episodi e su questi costruirsi un giudizio oggettivo. Appunto, storico. La carenza di personale ha avuto riflessi sull'organizzazione del lavoro. I turni giornalieri sono diventati 2 e le buste consultabili solo 6. "Da parte nostra", si difende il sovrintendente, "abbiamo fatto ciò che era possibile fare. Sul piano della digitalizzazione ci sono stati notevoli progressi. Puntiamo a rendere tutti i 1500 inventari presenti in sala studio consultabili online. Finora ne abbiamo 120 e altri 350 circa sono in attesa di convalida. Per settembre avremo a disposizione sulla rete tutto il fondo della segreteria particolare del duce".

Negli ultimi vent'anni i filoni di ricerca che hanno interessato l'archivio sono diventati molto più eterogenei: se prima si andava a fare una semplice ricerca storica ora si compiono anche studi amministrativi e ricerche per il restauro. È una documentazione importante. Essenziale per capire la nostra storia e il nostro paese. Non solo per gli specialisti, ma per tutti noi.

Spese folli e documenti inaccessibili
di ANDREA FAMA*
L'Archivio Centrale dello Stato (ACS) ha sede in un edificio monumentale di proprietà dell'Ente Eur, a Roma, per il cui affitto sborsa annualmente la cifra considerevole di 5 milioni di euro. In tempi di spietata spending review, il ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT, cui l'ACS fa capo, sebbene dotato di una speciale autonomia) sta decidendo di sgomberare un'ala dell'Archivio per installarvi la Direzione Generale degli Archivi e il museo di Arte orientale. I lavori di ristrutturazione necessari al trasferimento - a carico del ministero - hanno un costo stimato di 5-10 milioni di Euro. Secondo fonti interne, il MIBACT, in considerazione delle ingenti spese di ristrutturazione, starebbe negoziando con l'Ente EUR una cessione in comodato gratuito per alcuni anni. Ma poi tornerà inesorabilmente a pagare l'esoso affitto.

A questo si deve aggiungere che la Direzione Generale degli Archivi, che da 3 mesi è senza Direttore Generale, paga un affitto annuale di 500mila euro per la sua attuale sede di via Gaeta. Il contratto di locazione è in scadenza a ottobre e la proprietà vorrebbe vendere l'immobile. Il prezzo di vendita sarebbe intorno agli 8 milioni di euro, cui si aggiungerebbe circa 1 milione per i lavori di messa a norma dell'edificio (attualmente non è a norma). Totale: 9 milioni di euro. Una cifra non da poco, certo, ma a fronte della quale il Ministero diventerebbe proprietario dell'attuale sede della DG Archivi e, allo stesso tempo, eviterebbe un trasloco decisamente più costoso e dai risvolti deleteri per l'attività archivistica.

Il fatto che il ministero dei Beni Culturali, le cui casse notoriamente languono, spenderebbe (almeno in partenza) diversi milioni di euro per ristrutturare un edificio non suo - mentre un patrimonio come Pompei cade letteralmente a pezzi - è già motivo di profonda indignazione. Ma il notevole esborso economico, purtroppo, non è l'unica conseguenza di questo improvvido trasloco: l'altra riguarda la reale accessibilità della documentazione che sarà trasferita. In questo modo sarà vanificato, secondo quanto ci conferma anche Foia. it, lo sforzo affidato alla prima realtà italiana che promuove il diritto di accesso alle informazioni pubbliche dove sono concentrati i massimi esperti archivisti del Paese.

Sgomberando e riconvertendo l'ala in questione, il ministero sottrarrà in via permanente buona parte dei depositi dell'Archivio Centrale dello Stato, già esigui. Tanto esigui che da tempo ormai l'ACS, non essendo in grado di ricevere nuovi versamenti di documenti, ha trasferito a Pomezia (in locali presi immancabilmente in affitto) la documentazione che prima conservava in un deposito decentrato all'EUR (più vicino alla sede centrale e dotato di una sala di lettura, ma molto più costoso).

Ora, al dichiarato fine di risparmiare, anche la documentazione oggetto dello sgombero sarà trasferita a Pomezia, dove però non c'è sala lettura, e se i ricercatori vorranno consultarla dovrà quindi essere a sua volta riportata presso l'ACS all'EUR, con un 'pratico ed economicò servizio navetta. Come se non bastasse, poi, in una situazione così paradossale anche una buona novella finisce per nuocere.

A maggio il ministro Franceschini, su decisione dell'intero governo, ha abbassato da 40 a 30 anni i termini per il trasferimento dei documenti pubblici di tutte le amministrazioni interessate agli Archivi di Stato. Si tratta di una misura molto attesa, che punta ad accrescere il grado di trasparenza dell'operato pubblico, ma che - date le circostanze - rischia di avere un effetto boomerang: in moltissimi Archivi di Stato, infatti, non c'è più posto per accogliere nuova documentazione e, nel caso dell'Archivio Centrale, i nuovi versamenti saranno conservati direttamente a Pomezia. E lì resteranno, di fatto inaccessibili ai ricercatori, anche perché non ci sono archivisti per inventariarli.

Stessa sorte potrebbe toccare ai documenti oggetto della recente direttiva-Renzi sulla "declassificazione degli atti relativi ai fatti di Ustica, Peteano, Italicus, Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Gioia Tauro, stazione di Bologna, rapido 904" . Infatti, se la mole degli atti sarà ingente come promesso, gli stessi finiranno appunto a Pomezia, inaccessibili. In caso contrario, come ipotizzano fonti interne degli Archivi, il problema dello spazio per l'archiviazione non si porrebbe, ma bisognerebbe prendere atto che l'operazione sulla declassificazione è stata l'ennesimo fuoco di paglia.

La trasparenza - a dispetto delle suggestioni che può evocare - non si fa con la volatilità delle parole, ma si costruisce con atti concreti, rendendo materialmente più accessibile la documentazione dello Stato. Il primo passo in tal senso è sicuramente l'adozione del Freedom of Information Act (FOIA), come più volte promesso dallo stesso Premier Renzi. Questa operazione, invece, non va nella direzione auspicata né del risparmio né della trasparenza ma, anzi, ricorda piuttosto il passo del gambero: uno avanti e due indietro.

*L'autore dell'articolo è tra i promotori della Iniziativa per l'Adozione del Freedom of Information Act in Italia - www.foia.it



A rischio anche la Biblioteca nazionale
di CARMEN GALZERANO
ROMA - "Vorrei che qualcuno mi spiegasse qual è il limite sotto al quale la barca affonda. Perché taglia oggi, taglia domani, alla fine il naufragio è garantito". È afflitto il direttore della Biblioteca Nazionale di Roma, Osvaldo Avallone, costretto a denunciare che l'austerità oltre a ridurre il numero delle persone, mette a rischio la memoria dei libri. "Ricevevamo finanziamenti per 3.089.000 euro, ora siamo arrivati a 1.250.000. Io credo che il limite sia stato superato da parecchio tempo", denuncia.

La Biblioteca di Castro Pretorio è un palazzo con dieci piani di magazzini, dodici sale di lettura e sette milioni di unità bibliografiche. Un patrimonio documentale di inestimabile valore artistico, storico e sociale che ha reso la Nazionale un punto di riferimento per studenti, ricercatori, storici, appassionati e turisti. "In ogni Paese civile del mondo la Biblioteca Nazionale è l'emblema della nazione", osserva ancora il direttore. "In Francia riveste un'importanza legata all'identità di un paese, la British Library in Inghilterra è conservata come un piccolo gioiello, gli Stati Uniti ne fanno un vanto. Qui in Italia, rappresentiamo un peso, un vero fastidio. Nessuno si preoccupa di questa istituzione se non a parole".

A causa della penuria di risorse che da sempre tormenta il sistema culturale italiano, la Biblioteca Nazionale di Roma ha subito nel corso degli anni costanti tagli al budget, ai quali si sono accompagnate decurtazioni dei servizi e degli orari. Intanto, il personale. Secondo la pianta organica la Biblioteca dovrebbe poter contare su almeno 108 custodi: oggi ce ne sono appena 37. Cosa vuol dire questo in termini di fruizione del servizio che l'ente offre? "È evidente che si lavora lo stesso, ma c'è un solo custode che deve lavorare per due. Niente pause, impegno gravoso, orari più lunghi. I risultati ne risentono. Chi studia o fa ricerca alla fine ottiene il servizio. Ma a pessime condizioni: se prima il libro chiesto si otteneva dopo mezz'ora ora ci vuole un'ora".

"Il fatto che la Biblioteca non abbia ancora chiuso i battenti non significa che funzioni bene con 207 unità. Abbiamo dovuto rinunciare alla distribuzione pomeridiana dei libri; il nostro orgoglio era la catalogazione, eravamo riusciti ad aggionarci dopo un lungo impegno personale: i nuovi libri venivano catalogati e messi a disposizione degli studiosi man mano che arrivavano, ma questo allineamento sarà durato sei mesi. Il personale va in pensione, non c'è ricambio, e il sistema si disallinea".

L'età media dei dipendenti di Castro Pretorio, del resto, si aggira intorno ai 57 anni. L'ultimo concorso rilevante di bibliotecari risale al 1984. "La colpa sostengono sia la crisi economica - commenta il direttore - Sarà anche vero. Non lo dubito. Ma come in tutte le crisi si deve anche compiere delle scelte: se si continua in questo modo tra cinque anni questo istituto chiude. Anzi. Potrebbe accadere prima. Per motivi anagrafici". Eppure le soluzioni per evitare l'impensabile esistono. "Bisogna avere la volontà politica di trovarle e adattarle - spiega ancora Avallone - Io mi auguro solo che cesserà questa politica dei tagli indiscriminati. Si colpisce un po' ovunque per risparmiare. La Cultura è un bene imprescindibile. Rappresenta la nostra identità. Mai come in questo momento c'è bisogno di tutelarla. Con politiche di assunzione e di formazione del personale mirata".
 



20.8.14

Siamo in una “stagnazione secolare”? – Estremo Occidente - Blog - Repubblica.it

http://rampini.blogautore.repubblica.it/2014/06/14/siamo-in-una-stagnazione-secolare/?ref=HROBA-1

Supertracker - Add Profile

https://www.supertracker.usda.gov/CreateProfile.aspx

Forks Over Knives | The Myth of Complementary Protein

Forks Over Knives | The Myth of Complementary Protein

The Myth of Complementary Protein

Recently, I was teaching a nutrition class and describing the adequacy of plant-based diets to meet human nutritional needs. A woman raised her hand and stated, "I've read that because plant foods don't contain all the essential amino acids that humans need, to be healthy we must either eat animal protein or combine certain plant foods with others in order to ensure that we get complete proteins."

I was a little surprised to hear this, since this is one of the oldest myths related to vegetarianism and was disproved long ago. When I pointed this out, the woman identified herself as a medical resident and stated that her current textbook in human physiology states this and that in her classes, her professors have emphasized this point.

I was shocked. If myths like this abound not only in the general population but also in the medical community, how can anyone ever learn how to eat healthfully? It is important to correct this misinformation, because many people are afraid to follow healthful, plant-based, and/or total vegetarian (vegan) diets because they worry about "incomplete proteins" from plant sources.

How did this "incomplete protein" myth become so widespread?

No Small Misconception

The "incomplete protein" myth was inadvertently promoted and popularized in the 1971 book, Diet for a Small Planet, by Frances Moore Lappé. In it, the author stated that plant foods are deficient in some of the essential amino acids, so in order to be a healthy vegetarian, you needed to eat a combination of certain plant foods at the same time in order to get all of the essential amino acids in the right amounts. It was called the theory of "protein complementing."

Lappé certainly meant no harm, and her mistake was somewhat understandable. She was not a nutritionist, physiologist, or medical doctor; she was a sociologist trying to end world hunger. She realized that converting vegetable protein into animal protein involved a lot of waste, and she calculated that if people ate just the plant protein, many more could be fed. In the tenth anniversary edition of her book (1981), she retracted her statement and basically said that in trying to end one myth—the inevitability of world hunger—she had created a second one, the myth of the need for "protein complementing."

In this and later editions, she corrects her earlier mistake and clearly states that all plant foods typically consumed as sources of protein contain all the essential amino acids, and that humans are virtually certain of getting enough protein from plant sources if they consume sufficient calories.

Amino Acid Requirements

Where did the concept of essential amino acids come from and how was the minimum requirement for essential amino acids derived? In 1952, William Rose and his colleagues completed research to determine the human requirements for each of the eight essential amino acids. They set the minimum amino acid requirement equal to the greatest amount required by any single person in their study. Then to arrive at the recommended amino acid requirement, they simply doubled the minimum requirements. This recommended amount was considered a definite safe intake.

Today, if you calculate the amount of each essential amino acid provided by unprocessed plant foods and compare these values with those determined by Rose, you will find that any single whole natural plant food, or any combination of them, if eaten as one's sole source of calories for a day, would provide all of the essential amino acids and not just the minimum requirements but far more than the recommended requirements.

Modern researchers know that it is virtually impossible to design a calorie-sufficient diet based on unprocessed whole natural plant foods that is deficient in any of the amino acids. (The only possible exception could be a diet based solely on fruit).

Pride and Prejudice

Unfortunately, the "incomplete protein" myth seems unwilling to die. In an October 2001 article on the hazards of high-protein diets in the medical journal Circulation, the Nutrition Committee of the American Heart Association wrote, "Although plant proteins form a large part of the human diet, most are deficient in one or more essential amino acids and are therefore regarded as incomplete proteins."1 Oops!

Medical doctor and author John McDougall wrote to the editor pointing out the mistake. But in a stunning example of avoiding science for convenience, instead of acknowledging their error, Barbara Howard, Ph.D., head of the Nutrition Committee, replied on June 25, 2002 to Dr. McDougall's letter, stating (without a single scientific reference) that the committee was correct and that "most [plant foods] are deficient in one or more essential amino acids." Clearly, the committee did not want to be confused by the facts.

Maybe you are not surprised by this misconception in the medical community, but what about the vegetarian community?

Behind the Times

Believe it or not, an article in the September 2002 issue of Vegetarian Times made the same mistake. In a story titled "Amazing Aminos," author Susan Belsinger incorrectly stated, "Incomplete proteins, which contain some but not all of the EAAs [essential amino acids], can be found in beans, legumes, grains, nuts and green leafy vegetables…. But because these foods do not contain all of the EAAs, vegetarians have to be smart about what they eat, consuming a combination of foods from the different food groups. This is called food combining."

A Dangerous Myth

To wrongly suggest that people need to eat animal protein for proper nutrition encourages consumption of foods known to contribute to the incidence of heart disease, diabetes, obesity, many forms of cancer, and other common health problems.

This article was originally published on Jeff Novick's website.

1 Circulation 2001;104: 1869-74.