8.3.17

Diabete, un sensore sottopelle e la glicemia è sotto controllo - Repubblica.it

Diabete, un sensore sottopelle e la glicemia è sotto controllo - Repubblica.it

Diabete, un sensore sottopelle e la glicemia è sotto controllo

"IL MIO diabetologo dice che sono un cavallo imbizzarrito. Ho delle tali oscillazioni della glicemia da farlo diventare matto. In effetti sono un caso complicato". Ride Gabriella, seduta sul bracciolo di una poltrona perché non riesce a stare ferma dalla contentezza. Emozionata, a tratti commossa quando si parla del suo passato, Gabriella – 53 anni - è la prima dei cinque pazienti italiani ad aver impiantato Eversense (Roche), il dispositivo che per 90 giorni monitorerà in continuo i livelli di glucosio nel fluido interstiziale restituendo un'immagine dinamica di quel che accade nel sangue della paziente.

L'intervento. L'intervento è avvenuto il giorno prima. Ed è stato un successo. "Si tratta – spiega Giancarlo  Tonolo, direttore della struttura complessa di diabetologia della Asl di Olbia, che ha condotto l'operazione – di un sensore in materiale biocompatibile che deve essere inserito in una piccola tasca creata sottopelle, in questo caso al braccio sinistro: dieci minuti in anestesia locale, e la paziente è tornata a casa". Sotto la manica della maglietta si vede solo un cerotto bianco e un piccolo dispositivo nero.

I dati. E' il trasmettitore, spiega Gabriella, che raccoglie i dati del glucometro e li spedisce wireless al telefonino, così che io possa vedere l'andamento del mio metabolismo esuberante: se c'è il rischio che i livelli scendano oltre la soglia di allerta (una condizione di ipoglicemia, molto pericolosa) il dispositivo vibra delicatamente sul braccio, tre volte. Se invece il glucosio sta salendo troppo (iperglicemia), il dispositivo vibra due volte, e il telefono trilla. E Gabriella può correre ai ripari, somministrandosi dell'insulina, mangiando qualcosa o facendo un po' di moto per riportare i livelli entro i parametri stabiliti. Se vuole fare una doccia, andare in palestra o fare un bagno al mare, deve solo staccare il trasmettitore e riattaccarlo sul braccio asciutto quando ha finito l'attività. Se lo ritiene opportuno, può inviare periodicamente i dati della rilevazione via mail al suo medico di riferimento, che così può monitorare a distanza l'andamento un po' caotico della sua paziente: basta fare clic sulla app scaricata sul suo telefonino.

"Una rivoluzione". Per me è una rivoluzione, dice ora Gabriella. Ma è anche la rivincita di un pezzo di Italia che fino a qualche decennio fa doveva mandare via i suoi abitanti in cerca di una cura, e che ora è tra i primi a promuovere le nuove tecnologie per la cura del diabete. "Sono nata negli anni Sessanta a Macomer, un paesino dell'entroterra sardo in provincia di Nuoro – racconta la paziente - i miei genitori hanno scoperto che avevo il diabete quando avevo appena dodici mesi. Cosa potevano fare per salvarmi la vita in un'epoca e in un luogo in cui era quasi impossibile gestire una malattia tanto complicata? Avevo il destino segnato. Invece un medico di bordo amico del mio papà suggerì di mandarmi al Diabetarium, una struttura a Palidoro nei pressi di Roma (oggi una delle sedi dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù) dove i ragazzi con diabete – centinaia, in gran parte sardi - potevano ricevere le cure necessarie".

Un'infanzia difficile. Gabriella resterà in quell'istituto quasi dieci anni, dai quattro e mezzo ai quindici anni. Il papà la andava a trovare quando poteva, ma senza farsi vedere, per evitare ulteriori traumi alla bambina. Di quel periodo ricorda le siringhe di vetro per la somministrazione di insulina, da disinfettare ogni volta. Ma anche il dolore, il senso di abbandono, e la fatica di ricominciare una nuova vita quando, in piena adolescenza, si è ritrovata di nuovo a Macomer, senza un amico e con una famiglia che aveva conosciuto troppo poco. "Ora so che i miei genitori hanno fatto il possibile per salvarmi la vita, e gli sono riconoscente. Dev'essere stato duro anche per loro", ammette con gli occhi lucidi.

La tecnologia. Gli anni di Gabriella si misurano oggi con i progressi della ricerca, della medicina, della tecnologia nel campo del diabete. "La mia vita è cambiata, in meglio, tante volte: quando sono arrivate le siringhe monouso, poi quando sono state messe in commercio le prime penne per l'insulina. Ma se penso che per tutta la mia esistenza ho dovuto pungermi i polpastrelli almeno quarantamila volte per misurare la glicemia, il vero salto di qualità è avvenuto con i glucometri senza aghi", dice. Prima quelli quindicinali, da applicare sulla pelle, ma ancora poco pratici. Ora quello sottocute che dura 90 giorni ma che – continua Tonolo – è destinato a diventare rapidamente semestrale dopo l'approvazione della FDA, ed entro breve persino annuale. "Quando il mio medico mi ha prospettato la possibilità dell'impianto non ci ho pensato due volte. L'ho fatto per me, perché credo nei progressi della medicina – dice Gabriella - ma non solo: l'ho fatto anche per tutti i bambini e i ragazzi diabetici con cui ho condiviso quegli anni difficili all'istituto. E' proprio ai più piccoli che un dispositivo del genere può cambiare la vita".

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