2.7.16

Tassi zero, è il momento delle infrastrutture - Repubblica.it

Tassi zero, è il momento delle infrastrutture - Repubblica.it

Tassi zero, è il momento delle infrastrutture

La Bce, con la politica dei tassi negativi, ha ucciso le attività finanziarie senza rischio e, con esse, la gestione tradizionale dei portafogli. Nei giorni scorsi per la prima volta il rendimento medio ponderato dei titoli di Stato è passato in negativo. Tra poco, grazie all'estensione del Qe alle obbligazioni societarie, anche i titoli emessi dalle aziende più grandi e solide diventeranno di fatto inutilizzabili ai fini di un'allocazione di lungo periodo. Il problema che si pone non è tanto per la gestione della liquidità, quanto per le esigenze di pianificazione finanziaria di lungo termine. Esiste sempre l'alternativa estrema del denaro contante.

In Giappone, dove i tassi sono a zero da parecchi anni, si sta assistendo ad un boom della vendita delle casseforti. Ma è un'alternativa impraticabile da quelle istituzioni finanziarie, come i fondi pensione o le assicurazioni, che sono preposte alla gestione dei grandi rischi che i risparmiatori devono fronteggiare nel corso del loro ciclo di vita. Se queste soluzioni "collettive" non sono più finanziariamente sostenibili, le conseguenze sociali ed economiche diventano preoccupanti. Non solo perché gli accresciuti bisogni di una popolazione sempre più anziana richiedono un ruolo maggiore delle forme di previdenza e di assicurazione private. Ma anche perché il risparmiatore razionale comprenderebbe la necessità di ridurre i consumi e aumentare il volume dei risparmi per ottenere la copertura desiderata. Un comportamento

virtuoso a livello individuale genererebbe un comportamento vizioso a livello collettivo, riducendo i consumi aggregati e provocando un'ulteriore caduta della crescita economica. Esattamente il contrario di ciò che la Bce di Mario Draghi cerca di ottenere con i tassi negativi.

Senza addentrarsi nella discussione sulle conseguenze macroeconomiche di una politica monetaria così aggressiva, viene quindi da chiedersi se sia possibile assecondare la spinta della Bce all'interno di un portafoglio disegnato per soddisfare esigenze di risparmio di lungo periodo, senza assumere posizioni adatte più al tavolo verde che ad una sana e prudente gestione. Una soluzione del puzzle potrebbe essere l'investimento diretto in un settore strategico dell'economia reale, quello delle infrastrutture. Porti, autostrade, reti distributive sono forme di investimento inadatte per il tipico fondo comune; ma sono ideali per il perseguimento di obiettivi temporali di lungo periodo, come quelli dei fondi pensione e delle assicurazioni Vita. I tempi di realizzazione di un nuovo tunnel ferroviario o di ammodernamento di una vecchia rete distributiva sono estremamente lunghi e richiedono un forte esborso iniziale. Questo significa che per parecchi anni la liquidabilità dell'investimento è praticamente nulla e di fatto aumenta solo dopo che il progetto è realizzato e gli introiti (pedaggi, royalties) iniziano a fluire. In compenso, fatto salvo per l'avvento di una tecnologia così disruptive da rendere obsoleta l'opera, questi introiti continueranno a fluire per decenni.

Le infrastrutture, tra l'altro, sono una variabile fondamentale nell'equazione della produttività, il cui crollo drammatico è "il" problema di tutte le economie contemporanee, non solo di quella italiana. E' evidente che, se non si fanno investimenti, la produttività continuerà a a peggiorare e per l'economia diventerà impossibile crescere a tassi sufficientemente elevati da assicurare la sostenibilità del welfare state. Le infrastrutture sono state tradizionalmente sviluppate dallo Stato. I vincoli di finanza pubblica, uniti ad una notevole miopia politica, hanno progressivamente ridotto gli investimenti pubblici a favore di manovre fiscali forse di maggiore resa elettoralistica ma di più corto respiro. In Italia, dal 2008 al 2015 la spesa in opere pubbliche è stata tagliata del 42,8% in termini reali, mentre la spesa corrente al netto degli interessi è cresciuta dell'11,7%

Nella Legge di Stabilità del 2016 si registra una prima inversione di tendenza, ma è poca cosa rispetto al terreno perso in tutti questi anni. Non è, come detto, un problema solo italiano. Si stima che, a livello mondiale, esista un gap annuo di 500 miliardi di dollari tra le necessità di infrastrutture e la quota che potrebbe essere finanziata dalla mano pubblica. Di questi, circa 300 miliardi potrebbero essere finanziati dalle banche, sempre più in difficoltà per il rispetto dei nuovi requisiti di capitale. Per i restanti 200, se non vogliamo rassegnarci ad una crescita zero virgola, bisogna trovare il modo di far partecipare gli investitori istituzionali. Come fare? E' necessario innovare nelle forme di partenariato pubblico- privato; dare certezza sui tempi di realizzazione delle opere e sulle regole di tariffazione futura; proseguire nell'allentamento dei vincoli e dei costi per assicurazioni e fondi pensione all'investimento "paziente". Ma bisognerebbe anche promuovere, nel caso italiano, una crescita della dimensione media dei fondi pensione. Delle 500 forme pensionistiche complementari, poco più della metà hanno meno di 1.000 iscritti. Portafogli così piccoli non consentono di diversificare il rischio di investimenti complessi come quelli in infrastrutture e, soprattutto, di sostenere i costi necessari per una loro
gestione consapevole. Bisogna rompere resistenze corporative, ma, parafrasando l'economista americano Lawrence Summers, se non ora, quando? I tassi sono nulli o negativi, è il momento migliore per ripristinare le infrastrutture usurate e realizzarne di nuove. Questo vale per chi persegue il bene pubblico, come lo Stato, e per chi persegue l'interesse di lungo termine del portafoglio dei propri clienti, come appunto le assicurazioni e i fondi pensione.

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