8.4.16

Come convivere con la deflazione - Repubblica.it

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Come convivere con la deflazione

Se la Bundesbank avesse ragione? Le banche centrali hanno ingaggiato una battaglia senza quartiere contro il rischio che la dinamica dei prezzi degeneri in deflazione, impiegando tutto l'armamentario non convenzionale di cui dispongono. Si incomincia addirittura a parlare di "helycopter money", cioè moneta distribuita ad aziende e famiglie, direttamente o indirettamente attraverso il finanziamento monetario della spesa pubblica. Visto che il termine deflazione viene spesso usato come sinonimo di depressione economica, nel dibattito si tende a sorvolare sull'opportunità di fronteggiare una situazione di inflazione bassa o leggermente negativa, usando strumenti monetari che dovrebbero servire solo in casi estremi, per gravi crisi di liquidità del sistema finanziario.

Eppure, un po' di dibattito non guasterebbe. In fin dei conti, la distorsione dei prezzi nel sistema finanziario (tassi d'interesse, cambi, corsi azionari) causata dal prolungato iper-attivismo delle banche centrali non è poi così diversa da quella che veniva imposta dalla pianificazione centralizzata nei paesi del socialismo reale. E non è detto che una maggiore inflazione si traduca in crescita economica. Come nella termodinamica, bisogna stare attenti a non invertire le direzioni di causalità. Il fatto che un'utilitaria consumi più benzina per accelerare non significa che basta riempire il serbatoio di carburante per farle vincere il GP di Monza. Una delle motivazioni utilizzate è che, in un mondo dove i prezzi

scendono, i consumatori ritardano gli acquisti, stimando di poter comprare lo stesso bene ad un prezzo più basso in futuro. Ad essere sinceri è una motivazione che ricorda il paradosso eleatico di Achille e della tartaruga: fatta eccezione per i consumi primari, in base a tale tesi il progresso tecnologico dovrebbe naturalmente portare i consumatori a rimandare all'infinito gli acquisti. Ma l'esperienza ci insegna che nessun consumatore rimane senza frigo o smartphone per qualche anno, aspettando che l'innovazione tecnologica svaluti il prodotto oggi in vetrina.

Viviamo in un'economia globalizzata, basata sull'informazione e l'energia. La legge di Moore prevede il raddoppio della potenza di calcolo dei microprocessori ogni due anni. Le nuove tecniche di perforazione hanno messo a disposizione dell'economia mondiale milioni di barili di petrolio in più e questo, congiuntamente con il progresso formidabile nelle rinnovabili, ha consentito, tra le altre cose, di registrare in alcuni giorni del 2015 prezzi negativi per l'elettricità. Grazie allo sviluppo di piattaforme globali on-line è possibile realizzare economie di scala nel commercio al dettaglio che erano impensabili anche solo 20 anni fa. Se la deflazione è causata non da una temporanea carenza di domanda, ma da una maggiore offerta aggregata, una politica monetaria tesa a contrastare la caduta dei prezzi ha effetti redistributivi e, quindi, rischia di assumere valenza "politica". Forse, non tutti gli attori economici sono in grado di beneficiare dell'innovazione tecnologica o dell'apertura di nuovi mercati. Intervenire con l'inflazione e la svalutazione del cambio per redistribuirne i vantaggi a favore degli operatori economici meno efficienti ha tecnicamente senso solo se la banca centrale è sicura che questi ultimi utilizzino la finestra di opportunità per ristrutturarsi e rimettersi in carreggiata. Viceversa, il rischio è che si metta in dubbio l'indipendenza politica della banca centrale.

D'altro canto, il problema di competitività di un sistema-paese dipende non tanto dal livello dei salari del settore privato ma da flessibilità contrattuale, efficienza della burocrazia, contesto istituzionale, onerosità fiscale, livello di istruzione ... L'inflazione e la svalutazione risolvono, temporaneamente, solo il problema del costo reale del lavoro. Gli effetti sulla domanda aggregata sono più complessi. Coloro che hanno fonti di reddito non (immediatamente) indicizzate, come i lavoratori dipendenti, i pensionati o i risparmiatori vedrebbero ridursi il potere d'acquisto. Affinché la crisi della domanda non si aggravi, è necessario che i beneficiari della fiammata inflazionistica - tipicamente i debitori, come lo Stato, e le imprese che non hanno sufficiente pricing power per determinare autonomamente il prezzo del loro prodotto siano in grado di spendere al meglio le risorse così ottenute. Perché ciò accada bisogna assumere che le imprese inefficienti, che recuperano redditività economica grazie alla svalutazione, non distribuiscano i guadagni ma li investano per rimanere competitive anche quando gli effetti positivi dell'inflazione svaniscono. Mentre gli Stati più indebitati dovrebbero resistere alla tentazione di elargire bonus e adeguare stipendi e prebende.

Vista la forza relativa dei sindacati nel settore pubblico e in quello privato, è lecito il dubbio che il risultato finale non sia quello sperato dalla banca centrale. Se le motivazioni della bassa crescita economica affondano nel contesto istituzionale e nelle dinamiche demografiche della società contemporanea, che limitano il potenziale innovativo dell'economia reale, forse la Bundesbank potrebbe avere ragione. L'inflazione dei prezzi delle attività finanziarie e delle merci finirebbe per aiutare gli attori economici più inefficienti, aggravando le prospettive di sviluppo e aprendo le porte alla stagflazione.

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