21.2.10

Passeggiare in un mondo che ha smesso di camminare

 Pietro Citati in Repubblica del 13 Gennaio 2010. Bellissimo...
"Nella mia vita, ho passeggiato moltissimo, specialmente a Roma. Per almeno quarant'anni, ogni giorno alle 14 uscivo di casa. Abitavo (e abito) in una piccola strada, ignota persino ai tassinari, nella casa di fronte a quella dove abitarono per molto tempo Giulietta Masina e Federico Fellini.
Attraversavo viale Liegi, raggiungevo piazza Verdi, dove ogni giorno contemplavo con orrore ed entusiasmo il palazzo della Zecca, e poi via Paisiello. A questo punto, si apriva davanti a me Villa Borghese, che continuo ad amare con una specie di ebbra passione.
Ammiravo piazza di Siena che per me è uno dei grandi luoghi simbolici della terra - luogo di bambini, innamorati, lettori, cavalli, mendicanti. A volte attraversavo in tutti i sensi e in tutte le direzioni Villa Borghese - raggiungendo il laghetto o il piccolo cinema dove un tempo portavo mio figlio ogni domenica a vedere con lui i cartoni animati. A volte, proseguivo fino al Pincio, e mi inoltravo - contemplando molte tra le meraviglie di Roma - fino a piazza Navona. Non era lontano. Col mio passo da vecchio piemontese ci mettevo non più di quarantacinque minuti. Poi tornavo a casa. La passeggiata pomeridiano aveva, per me un'importanza capitale. Mi riposava, mi irrobustiva, mi dava calma e quiete. Soprattutto cancellava tutti i pensieri della mattina: la mia mente diventava vuota: si compiaceva di essere vuota; e cominciavano a nascere altri pensieri, che lentamente si formavano, costruivano un'architettura, nella quale sarei vissuto il pomeriggio e la sera. La giornata diventava nuova, la mente agile, e il sonno si preparava e si annunciava da lontano. Non ero solo. Incontravo miltissimi bambini, che giocavano al pallone o alle biglie o andavano in bicicletta.
Insieme a loro, c'erano i nonni, una stripe a cui allora non appartenevo, ma che mi ha sempre affascinato, Con una vecchissima nonna conversavo sempre mentre i suoi nipoti giocavano allo skateboard. Qualcuno leggeva un libro su un apanchina: qualcuno dormiva o dormicchiava; qualche diciottenne faceva la corte a una ragazza. Per tutti, non solo per me, quello era il culmine della giornata: un punto, un fondamento, sui quali reggeva il mondo.
Ora, tutto è cambiato. Quasi nessuno passeggia più. Villa Borghese è vuota. Non ci sono più nè bambini nè nonni nè lettori. In parte, la ragione è nota a tutti. Col cosidetto "tempo pieno" - istituzione che esecro, sebben ne comprenda la necessità - a quell'ora i bambini sono prigionieri a scuola. Stanno lì, mangiano, studiano, chicchierano, rispondono ai maestri e ai professori, ma hanno perduto per sempre l'aria, il verde, il sole, le vibrazioni di Villa Borghese. Credo che sia una perdita immensa. Credo che l'umanità si divida tra coloro che posseggono ancora le loro Ville Borghese e coloro che ne hanno smarrito non solo il ricordo ma anche l'esperienza: tra coloro che passeggiano e coloro che non passeggiano più.
Qualcosa mi sfugge. E i nonni, i pensionati, gli sfaccendati dove sono andati a finire? Potrebbero benissimo passeggiare tra lecci e magnolie, e invece stanno chiusi da qualche parte. Cosa fanno? Dubito che leggano. Non fanno niente. Vivono prigionieri dei loro tristi pensieri, o delle mura e dei mobili delle loro case. Vorrei che si ricordassero o (se non hanno ricordi) imparassero. Niente è più bello che passeggiare contemplando gli albero o guardando lievemente, senza  preoccupazioni, dentro se stessi.

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