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LOTTA AL SOVRAPPESO - dormire è dimagrire - di agnese codignola (da l'Espresso 8 Gennaio 2010)

Le giuste ore di riposo sono il prerequisito per perdere peso. Perché esiste un collegamento tra il ciclo sonno-veglia e la tendenza a ingrassare. Regolato da ormoni e neurotrasmettitori   Dimmi quanto dormi e ti dirò se puoi dimagrire, come e quanto. È l'ultima verità messa in campo dalla scienza del perder peso o, almeno, del non ingrassare. Ed è una verità che si nasconde in un complesso intreccio di relazioni tra il metabolismo e il ciclo sonno-veglia, gli ormoni e le fasi cerebrali. E che spiega anche perché assumere lo stesso alimento nelle medesime quantità di notte o di giorno può avere, sull'organismo, effetti così lontani tra loro da trasformare un cibo innocuo se non benefico in un promotore di malattia. In che modo? I primi indizi dell'esistenza di un rapporto molto stretto tra ciclo sonno-veglia e alimentazione sono giunti da indagini che osservavano e mettevano in relazione fenomeni diversissimi come le ore di sonno e il peso, senza però poter dimostrare un nesso causale. Come quello condotto in seno all'Integrative Cardiac Health Project del Walter Army Medical Center di Washington da Arn Eliasson che ha seguito 14 infermiere volontarie in un programma che includeva counseling nutrizionale, sessioni di attività fisica, gestione dello stress e miglioramento della qualità del sonno. Al termine della raccolta dei dati, le infermiere sono state divise in due categorie, a seconda del tempo dedicato al sonno e della difficoltà ad addormentarsi e a riposare bene; e la differenza tra i due gruppi è saltata agli occhi: chi aveva dormito poco aveva un indice di massa corporea più alto rispetto alle dormiglione. Perché? Una possibilità, secondo Eliasson, è che dormire meno incida sul bilancio ormonale, per esempio riducendo la produzione di leptina, l'ormone della sazietà, inducendo quindi un maggior senso di fame. A spiegare le ragioni dell'effetto-sonno sul peso corporeo sono arrivati negli ultimi mesi decine di studi fatti, e tutti hanno suggerito che il fenomeno è immensamente complesso, e altrettanto cruciale. Partiamo da Deanna Arble, del Centre for Sleep and Circadian Biology della Northwestern University di Evanston, in Illinois, che ha riferito su 'Obesity' come topi alimentati con una dieta ricca di grassi aumentano il peso del 48 per cento se il cibo è disponibile nelle ore in cui essi normalmente dormono, e del 20 per cento se lo stesso è dato agli orari consueti. Sempre nei topi, l'assunzione di fruttosio fa sempre aumentare la pressione, ma, come hanno spiegato ancora su 'Obesity' gli esperti dell'Università di Dayton, in Ohio, l'incremento è più vistoso se lo zucchero è consumato nelle ore in cui gli animali dovrebbero dormire. Lo stesso vale per il metabolismo del sale, collegato ai ritmi circadiani. Questo nei topi, ma nell'uomo? A rispondere è arrivato Plamen Penev, dell'Università di Chicago, che ha dimostrato, sul 'Journal of Endocrinology and Metabolism', cosa accade quando persone sane vengono obbligate a dormire circa cinque ore (un valore generalmente al di sotto della soglia minima): esse perdono la sensibilità al glucosio, si ritrovano cioè in una condizione che predispone al diabete e all'obesità. Qualcosa di simile è stato visto dagli endocrinologi dell'Université Laval di Montreal, in Canada, che ne hanno dato conto su 'Diabetes'. Dove anche ha trovato spazio la ricerca del consorzio internazionale Magic che ha dimostrato, analizzando studi che hanno coinvolto 13 mila diabetici, che quando il recettore della melatonina, ormone fondamentale per la buona suddivisione tra sonno e veglia, lavora male, il rischio di sviluppare la malattia sale del 20 per cento. E, ancora: gli endocrinologi dell'Università di Nottingham, in Gran Bretagna, hanno dimostrato che le variazioni nella percentuale di grasso bruno, il grasso antiobesità presente soprattutto nei neonati e negli animali che vanno in letargo, sono strettamente associate ai cicli sonno-veglia, oltreché alla temperatura corporea (che varia anch'essa nell'arco della giornata). I dati raccolti fino a qui sono dunque qualcosa di più che semplici indizi, come spiega la stessa Deanna Arble, autrice dello studio sui topi: "Ci sono molte prove del fatto che una distruzione dei normali ritmi circadiani alteri il metabolismo: basti pensare a chi lavora di notte e a chi salta la colazione, entrambe tipologie di persone più soggette all'obesità e ai tumori. Se poi consideriamo i principali elementi chiamati in causa nella regolazione del peso e dell'appetito, vediamo che tutti sono influenzati dall'alternanza di sonno e veglia e che tutti hanno un andamento fluttuante nell'arco della giornata: il metabolismo dell'insulina, la funzionalità della leptina (l'ormone fondamentale per la sazietà), l'andamento delle riserve di grasso bruno, la regolazione della temperatura e molto altro. E questo ha almeno una conseguenza molto importante: l'obesità può essere vista anche come una patologia derivante dalla perdita di armonia in questo delicato equilibrio. Potremo pensare a interventi mirati, una volta che avremo capito meglio i meccanismi molecolari". In effetti, i numerosi studi sulle singole cellule e sulla genetica del fenomeno hanno iniziato a tratteggiare un quadro assai complicato, nel quale sono chiamati in causa centinaia di geni, con una regolazione che è a due vie. Come ci spiega ancora Arble: "I ritmi circadiani influenzano la secrezione di ormoni e i molti fenomeni citati. Tuttavia, essi stessi sono influenzati dal livello di ormoni come la melatonina così come da fattori come l'esercizio fisico o il tipo di alimento assunto: per esempio, i cibi grassi fanno slittare i ritmi. È la storia dell'uovo e della gallina: non sappiamo ancora se una via domini l'altra, ma è probabile che si tratti di un unicum nel quale ogni elemento è strettamente interdipendente dall'altro". Sonno e peso vanno dunque insieme, attivando o spegnendo centinaia di geni a seconda dell'ora, di ciò che si mangia e si beve, dello stato ormonale, dei farmaci assunti per varie patologie, dell'esercizio fisico, dello stile di vita e così via.
Come si può pensare di intervenire su una machinery tanto complessa?
Risponde ancora Arble: "Con un approccio integrato. Per spostare i ritmi circadiani sono efficaci le terapie comportamentali, quelle basate sulla somministrazione di luce in condizioni opportune, alcune molecole quali la melatonina e altro ancora. Certo se si vogliono correggere solo gli effetti del mancato equilibrio sonno-veglia sull'accumulo di peso, allora dobbiamo pensare a un farmaco. Che però, a oggi, è ancora lontano. In attesa, è possibile che anche in questo caso una terapia comportamentale mirata possa essere di grande aiuto". Sul ruolo dello stile di vita insiste anche Paolo Pozzilli, primario dell'Area di endocrinologia e diabetologia al Campus Bio-Medico dell'Università di Roma: "L'uomo ha bisogno di alternare ore di attività piena con altre di riposo. È quindi importante disporre di un orologio molecolare ben funzionante e oliato, grazie al quale ci sono geni e relative proteine attive durante il giorno, e altri durante la notte. Mangiare di notte è un evento che altera profondamente l'equilibrio del corpo: costringe geni programmati per restare silenti ad attivarsi e a scontrarsi con altri geni che dovrebbero lavorare in condizioni diverse. Ecco perché sono così importanti le abitudini. In attesa di terapie farmacologiche che al momento sono lontane, è cruciale mangiare e cercare di coricarsi più o meno sempre alla stessa ora, in modo che il nostro orologio possa marciare secondo il suo programma". E molti studi dimostrano che le terapie comportamentali, che mirano a insegnare comportamenti virtuosi, sono le più efficaci sia in generale per i disturbi del sonno sia per gli effetti che un riposo non ottimale può causare. In definitiva, conclude Pozzilli, in attesa di terapie ad hoc, questo è quanto di meglio si può fare oggi per limitare i pericoli derivanti dallo sfasamento in cui molti vivono per questioni di lavoro, o per scelta. "Negli ultimi cento anni ci siamo convinti che il nostro organismo potesse fare a meno del riposo e adeguarsi a vivere senza pause, e siamo ormai vicini a una media di sei ore durante la settimana e sette nel weekend, almeno nei paesi sviluppati. Ma così non è, come dimostra, nello stesso arco di tempo, l'aumento vertiginoso di ipertensione, sindrome metaboliche, diabete, obesità, aritmie e insufficienze cardiache. Il prezzo da pagare a una vita che non si ferma mai è uno scadimento della sua qualità e, non di rado, una malattia grave".ha collaborato Tiziana Moriconi

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