15.10.15

Digiuno, digiuno intermittente e “super digiuno” - vivereinforma

Digiuno, digiuno intermittente e "super digiuno" - vivereinforma

Questo articolo nasce per rispondere a tutti coloro che, essendosi avvicinati agli approcci a digiuno intermittente o intermittent fasting (i cui vari tipi sono stati egregiamente descritti da Lorenzo Pansini in questo articolo), chiedono ripetutamente se il tal alimento o integratore può essere assunto durante le fasi di digiuno o lo "interrompa". Sperando dunque di rispondere una volta per tutte a queste domande, avventuriamoci nell'affascinante mondo del metabolismo umano, per capire qualcosa di più.

Che cos'è il digiuno

Il digiuno, in termini letterari, è questo: "astensione totale o parziale dagli alimenti, sia volontaria (per es. come forma di protesta non violenta), sia in osservanza di un precetto religioso o di una prescrizione medica".

A noi, nel campo salute, nutrizione, fitness, ricomposizione corporea, dimagrimento, oncologia, e chi più ne ha più ne metta, più che il digiuno in sé interessano i suoi effetti metabolici, per cui propongo un'altra citazione (di Lyle McDonald – se non erro nel libro The Rapid Fat Loss Handbook): "la dieta è come il digiuno, soltanto meno drastica". Questa affermazione può risultare stravagante o senza senso, in realtà un senso ce l'ha eccome, basta leggere fra le righe: gli effetti metabolici di una restrizione calorica sono assimilabili a quelli di un digiuno, la differenza sta nell'intensità e le tempistiche entro i quali questi si verificano.

Qualcuno ricorda il Minnesota Semistarvation Study? Spero di sì, perché se una cosa buona ha fatto Ancel Keys, sarebbe molto meglio ricordarlo per questo che non per il fallace "Seven countries study". A cosa è servito questo esperimento? A molto, moltissimo: ci ha fatto comprendere cosa accade, a livello biologico, psicologico e sociale, a persone a digiuno. Tutto il mondo della Ricerca parla di "digiuno", ma a quanto ammontava l'introito energetico dei pazienti di Keys e colleghi? 1800 calorie al giorno, per 6 mesi. I Ricercatori considerano digiuno ciò che oggi molte ragazze e molti ragazzi pensano siano introiti che facciano ingrassare.

Digiuno reale vs metabolico

Perché considerare digiuno qualcosa che, di fatto, non lo è? 1800 calorie giornaliere significa comunque mangiare una quantità di cibo che molte persone a dieta oggi si sognano, dov'è l'inghippo? L'inghippo risiede nella nostra incapacità, da esseri umani, di pensare "lateralmente", una sorta di pigrizia cognitiva, quello che ci porta a distorsioni del ragionamento che chiamiamo, nel gergo, bias. Attenzione, un bias non è necessariamente negativo: il nostro cervello cerca di utilizzare scorciatoie di ragionamento, che sono utili in termini evoluzionistici, perché stereotipate e molto più veloci di processi consapevoli (pensate ai riflessi: girarsi bruscamente per un forte rumore può essere futile se questo rumore è generato da un portone che sbatte a distanza, è vitale se il rumore è generato da un'automobile che urta un muretto a pochi metri da noi).

Il bias in questo caso risiede nel fatto che abbiamo fatto nostra la definizione di digiuno come "Non si mangia (e a volte beve) nulla", quando in realtà come detto su a noi interessano gli effetti metabolici del digiuno. Pensate ai vari farmaci antitumorali o antidiabetici o anticolesterolo: tutti farmaci che agiscono su vie metaboliche attivate anche in condizioni di digiuno. A tal proposito consiglio la lettura dell'articolo "Calorie, carboidrati e terapia del cancro con le radiazioni: sfruttare le cinque R tramite la manipolazione dietetica" (1). In particolare vi chiedo di soffermarvi sull'immagine che riporto qui sotto. Non spaventatevi, a breve la spiegazione semplice di tutto il quadro:

cancer calorie restriction ketogenic

A sinistra abbiamo fattori per così dire "catabolici" (ricavano energia a partire da molecole più complesse, carboidrati, grassi e proteine), a destra quelli "anabolici" (creano molecole complesse avendo a disposizione energia e molecole più semplici). Per farla spicciola: attivare i fattori a sinistra fa dimagrire e perdere peso, attivare quelli a destra fa ingrassare e accumulare peso.

Ma c'è qualcosa di più affascinante in tutto ciò: attivare i fattori a sinistra "simula" in qualche modo il digiuno. Perché? Perché la cellula "vede" quelli, non ragiona in termini di cosa mettiamo in bocca in un determinato momento o quanto duri la nostra finestra di sovralimentazione, se quei fattori sono attivati, lei capisce "digiuno". Volete un parallelismo che faccia comprendere questo discorso? Prendiamo una stanza con un condizionatore regolato da un termostato. Immaginiamo che la manopola di regolazione del termostato sia rotta, e che il condizionatore non raffreddi abbastanza la stanza. Noi abbiamo caldo, molto caldo, come facciamo per far avviare il condizionatore, in un certo senso "ingannandolo"? Prendiamo un phon e lo piazziamo sul termostato, che "sente" l'innalzamento di temperatura e avvia il condizionatore.

Come potete osservare dall'immagine, "Calorie restriction", "Ketogenic diet", "CHO restriction" sono messe insieme, perché tutte e tre hanno effetti simili e attivano i fattori a sinistra. A destra troviamo invece "Protein restriction", che come potete osservare dalla linea spezzata, inibisce i fattori anabolici e interagisce anche con ciò che c'è a destra.

Cosa significa tutto questo? Che se io faccio "vedere" alla cellula che sono attivi i fattori a sinistra, in qualsiasi modo ottenga questo risultato, lei capirà "digiuno". Il che vuol dire che se introduco un alimento, prima di chiedermi "Interrompe il digiuno" devo chiedermi "Interferisce con quelle vie metaboliche? In che modo? Le potenzia o le inibisce?"; solo le risposte a queste domande possono davvero farmi capire se ciò che sto facendo si inserisce bene o meno nel mio protocollo di digiuno intermittente, in fase di sottoalimentazione (nella sovralimentazione cerchiamo esattamente il contrario, ma adesso stiamo parlando dell'underfeeding). Ma c'è di più, molto di più…

Il "super digiuno"

Questo termine ho cominciato a utilizzarlo per fare intendere che, paradossalmente, possiamo usare gli alimenti in maniera funzionale non solo per simulare il digiuno, ma per amplificarne gli effetti. Carino, eh? In effetti l'argomento è molto affascinante, ma alcuni esperimenti e ricerche sono spesso prese sotto gamba, ci si ferma sempre alle cose tangibili e tutto ciò che non si può vedere sembra non interessare. Prendiamo ad esempio l'esperimento di Draznin e colleghi, di cui ho fatto una revisione in "Grassi dimagranti" e che si intitola "Effetti della composizione dei macronutrienti dietetici sull'espressione e l'attività di AMPK e SIRT1 nel muscolo scheletrico umano" (2).

Non vi chiedo di andarvi a leggere quegli articoli, ma solo di guardarne i grafici; o, se proprio non ne avete voglia, state attenti alle parole che seguono. Draznin ha fatto un esperimento con 4 tipi di diete diverse, ovvero

  • Una dieta ipocalorica a bassi carboidrati e alti grassi;
  • Una dieta ipocalorica ad alti carboidrati e bassi grassi;
  • Una dieta ipercalorica a bassi carboidrati e alti grassi;
  • Una dieta ipercalorica ad alti carboidrati e bassi grassi.

Quali erano le diete che attivavano maggiormente le vie "a sinistra" (relativamente all'immagine discussa sopra)? Quelle elevate in grassi, rispetto a quelle elevate in carboidrati. A questo non era difficile arrivare per… semplice logica. Ma la cosa più interessante è questa: la dieta ipercalorica ad alti grassi comunque attivava quelle vie, vincendo sulla dieta ipocalorica ad alti carboidrati. Unendo questo al discorso fatto sopra: le cellule capivano "digiuno" anche in ipercalorica!

Qui si potrebbe aprire una piccola parentesi che non piacerà ai fautori della statistica medica: una dieta low carb, a parità di calorie, genera risultati differenti rispetto a una dieta high carb? In sostanza, posso introdurre più calorie ingrassando meno in una dieta high fat? La risposta è sì, e i motivi biochimici e fisiologici qui descritti ce lo dicono chiaramente.

Alimenti e supplementi funzionali al digiuno

Olio di cocco, acido alfa lipoico (ALA), epigallocatechin gallato (EGCG), cannella, pepe nero, aceto, allina, vanidil solfato, cromo polinicotinato, e chi più ne ha più ne metta: cosa hanno in comune? Sono tutti degli induttori, simulatori, potenziatori del digiuno. Il che significa che se mangiate olio di cocco durante il digiuno, non lo "interrompete", ma lo potenziate; se assumete EGCG o ALA o qualsiasi altra sostanza in grado di agire sui quei fattori "a sinistra", non state facendo altro che potenziare gli effetti del digiuno.

Caffeina e stimolanti? Non devo dirvi io se possono essere o non essere assunti, dovete essere voi bravi a ragionarci su: la caffeina, direttamente e indirettamente, aumenta la produzione e i tempi di azione della noradrenalina. La noradrenalina fa mettere in circolo nutrienti, "depletando" le scorte energetiche cellulari e quindi aumentando il rapporto ADP/ATP, che a sua volta attiva AMPK/PPAR: dove compaiono, questi, nell'immagine su discussa? A sinistra! Quindi, caffeina e stimolanti sono altri potenziatori del digiuno (che poi le xantine abbiano anche un effetto sulla sensibilità al glucosio e l'insulina, è un discorso a parte, in questa sede parliamo dell'underfeeding, non dimenticatelo).

L'acqua e il super digiuno idrico

E in tutto questo, l'acqua? Molte volte viene trascurata, perché tanto… "è acqua". Non è così: l'acqua può essere utilizzata funzionalmente in diversi modi, ma non possiamo svelarvi "tutto e subito", parte di questi modi saranno trattati dal Dott. Manuel Salvadori. Io qui ne parlo nel contesto del nostro "super digiuno".

L'acqua può essere utilizzata funzionalmente per potenziare gli effetti del digiuno? Non ha nutrienti, non ha calorie, ha qualche minerale, ma non in quantità tali da avere macroscopicamente effetti rilevabili in tal senso. E allora? Come posso utilizzare l'acqua in questo modo? Ritorniamo al nostro "pensiero laterale": sapete cos'è l'ipotensione ortostatica? Una condizione in cui, passando da clinostatismo (sdraiati) a ortostatismo (in piedi) si avvertono capogiri e/o nausee dovuti a un abbassamento pressorio che non dovrebbe verificarsi (questo potrebbe far sospettare anche un affatticamento surrenalico). Sapete qual è uno dei modi non farmacologici per gestirla? Boli d'acqua! Bere una quantità consistente d'acqua (> 500 mL) in pochi minuti permette un innalzamento pressorio di 10-20 mm Hg (3) noradrenalino-mediato. Avete letto bene, mediato dalla noradrenalina. Dove agisce la noradrenalina, riprendendo in mano l'immagine di cui sopra? A sinistra: "super digiuno".

Considerazioni e conclusioni

Cosa ricavare da quanto detto? Ogni volta che pensate a quali alimenti inserire o non inserire nel vostro protocollo di digiuno intermittente, in fase di sottoalimentazione, non chiedetevi "Interrompe il digiuno?" ma prendete in mano quella immagine e indagate per capire dove ciò che state introducendo agisce: a sinistra o a destra? Se agisce a sinistra, non "interrompe" ma induce, simula o potenzia il vostro digiuno. Pensate comunque anche alle interazioni tra sinistra e destra: supplementi come i BCAA stimolano direttamente le vie a destra, ma se assunti in restrizione energetica l'effetto netto non è quello di "interrompere il digiuno".

Se studiate bene l'immagine vi accorgete, infatti, che la restrizione energetico-glucidica oltre ad agire sulle vie a sinistra, attivandole, mette un freno a quelle a destra (guardate la linea interrotta che da AMPK a mTORC1). Questo è anche il motivo per cui non si può sempre considerare un singolo fattore come "anabolico" o "catabolico", ed il motivo per cui nessun Ricercatore con un po' di buon senso metterebbe la carne (non i surrogati della stessa; la carne vera) tra gli alimenti "cancerogeni" di per sé: sebbene le proteine della carne siano un potente stimolo di quelle vie a destra, se persiste una restrizione calorico-glucidica e un certo grado di attività fisica, le chance di aumentare la proliferazione cellulare sono molto ridotte. Ma questo è un altro paio di maniche e un discorso da affrontare in separata sede.




10.10.15

11 Easy Exercises To Heal Scar Tissue And Ease Inflammation - Just Naturally Healthy

11 Easy Exercises To Heal Scar Tissue And Ease Inflammation - Just Naturally Healthy
1-5

By Jennifer Lang

As soon as I got out of bed, I knew something was wrong. My left foot felt fine, but my right one hurt each time I took a step. I did a quick mental check of potential causes: a bike ride with kids—OK. A vigorous yoga class—maybe. A 30-minute jump-roping session in my lightweight, snazzy sneakers—ouch!

For the following two weeks, I winced when I walked. An orthopedist, who X-rayed my foot, discovered a bone spur and the beginnings of mild arthritis in both feet. He concluded that I'd pinched a nerve jumping rope in non-supportive shoes. Prescription: time, patience, and no more strenuous yoga.

A week later, still in pain, I went to a chiropractor. After reviewing the doctor's report, he felt my right foot, then left, then right again. New diagnosis: scar tissue. It's normal, he said, but because of a severely sprained ankle 13 years ago, I had a lot of it.

Hearing about everyone else's aches, my guess is I'm not alone. Many people walk around with vague pain in their shoulders or backs thinking they've got tendonitis or arthritis. What if it's not one of those catchall "itises," but really scar tissue? And what if healing requires a more hands-on approach and some yoga-like stretching instead of an anti-inflammatory and a sling?

Moving the matrix

"The reality is if you've ever had an injury, you have scar tissue," says Natalie Nevins, a medical doctor and a certified yoga instructor in Hollywood, California. Scar tissue forms as the body's natural response to trauma, such as sprains, strains, and repetitive stress injuries to muscles and joints. It consists primarily of collagen, which is a type of connective tissue that assists healing of the damaged tissues. "We often think of it as bad, but without it our bodies would never heal," says Nevins.

But scar tissue formation isn't always problem-free. Unlike soft tissue—which has fibers running alongside each other in the same direction—scar tissue can form randomly, potentially causing pain and limiting function. "Think of a game of pick-up sticks where you stand the sticks upright in your hand and then gently let go, allowing them to drop any which way," says Nevins. "That's what scar tissue can do if you don't help your body heal properly." Meaning? Say you sprain your wrist. Most likely, your instinct is to immobilize it based on the RICE theory—rest, ice, compression, and elevation. But what you really need to do is keep moving. "Rest doesn't mean immobilize," says Nevins. "It means do what you can do—gentle, pain-free, range-of-motion, non-weight-bearing exercises—and slowly work your way up each day." If you keep proper motion going and strengthen the surrounding area, slowly working to rehabilitate the injury and stretch the surrounding areas that are tight, scar tissue will lay down in the same pattern as the original tissue.

Easy does it

Because scar tissue takes years to form and is created any time you damage skin, tendons, ligaments, fascia, muscle, and joint capsules, you may not realize you've developed a problem with it until it's too late. "It's a process that occurs over a long period of time, and you won't even know it," says Robert Inesta, MD, a chiropractor in Eastchester, New York, with a focus on soft tissue treatment. That's why knowing how to treat an injury in the days and months following it becomes so critical. Once heavy scar tissue has formed improperly, you may get into a situation where more aggressive treatment—chiropractic or physical therapy—is needed to break the tissue down so it can heal the right way. Gentle motion at the time of injury encourages a more natural healing process and prevents you from having to break up troublesome and impeding scar tissue years later.

That said, moving an injured knee, wrist, or ankle can cause significant pain and discomfort. Your first instinct might be to mask the pain with medications. Don't. "Pain is your body's way of communicating with you," says Nevins. "If you don't listen to your body's warning signs, you continue to cause micro-trauma to an area, which leads to further inflammation and disorganized scar tissue formation." Thus, there's a delicate balancing act between moving an injured area and causing more damage to it. Pain is at the fulcrum. Pay attention to its signals, and you'll know when to say when.

The body as a single unit

With any injury, it's important to assess not only the place of pain, but also all the tissues that can affect that area. "You have to look at the entire body as a continuous biomechanical unit," explains Inesta. With repetitive stress injuries, for example, such as lateral epicondylosis (tennis elbow), you feel pain in your elbow, but the origin of that pain may come from the shoulder or wrist. The shoulder may not rotate properly because of a scar tissue adhesion in the rotator cuff. Or, the muscles that extend the wrist may be overworking to compensate for weak wrist flexors, creating stress that will lead to the formation of scar tissue in the elbow. The same goes for nerve entrapments such as carpal tunnel syndrome. If the nerve is restricted in the carpal tunnel, it will develop scar tissue adhesions in other surrounding areas such as the elbow, shoulder, or neck because it isn't sliding properly. Backaches or strained necks from sitting at a desk all day are no different. "We aren't designed to sit straight for eight hours every day," says Nevins. "If you stop moving an injured joint or soft tissue that long it interferes with the normal healing process, causing scar tissue to be laid down randomly." The result: pain and loss of mobility.

Yoga to the rescue

Any kind of stretching can help ease scar tissue buildup. "Yoga can be especially effective because it's based on motion, which is precisely what the body needs," says Nevins. Hatha, or physical yoga, works every joint, stretches key areas of the body, strengthens weaker muscles, and balances the body out. "Any pose can be good to do, depending on where the scar tissue is," says Nevins. You should never go to the point of pain, no matter what. That means modify and keep it gentle. Don't bend as deeply or hold as long as you usually do, and use extra props. For example, when my right foot was hurting and I couldn't sit in Virasana (Hero Pose), I rolled a blanket up and put it underneath the tops of my feet. That little lift made the pose pressure- and pain-free, enabling me to stretch my feet and legs.

It doesn't matter whether you're an avid yoga practitioner or a newcomer—you need to work within your limitations and condition your body properly. Also, try finding an instructor who understands injury and knows how to modify poses based on a person's physical restrictions. "Even if you set out with the best of intentions to exercise," says Inesta, "if you do motions incorrectly or don't have proper body alignment, you can hurt yourself and cause scar tissue to build."

As for me, the pain in my foot is long gone. Twice a week for one month, the chiropractor kneaded his thumb into the sole of my foot, into the outer ankle, and up into the calf muscle to break down the old scar tissue buildup. I found myself wishing I'd known about keeping my injury mobile 13 years ago. Over time, the pain lessened—and contrary to the orthopedist's advice about yoga—I found the poses and intense stretching actually helped. This time, I knew that movement, rather than rest, would lead me toward ultimate healing.

11 Exercises to Heal Scar Tissue

The following exercises can help bring movement back into areas of the body most commonly affected by scar tissue adhesions. Practitioners recommend stretching twice a day, holding stretches for 10 to 20 seconds with 10 repetitions. Break up your workday by doing the ankle and neck exercises at your desk.

Ankle

  • Ankle alphabet (not shown): Sit on a chair and let your legs dangle. Using right (then left) ankle and foot only, trace the letters of the alphabet from A to Z in the air.
  • Ankle/calf stretch (below): Stand on a doorway sill with your heels on the floor and your toes on the sill. Rise up on your toes until you feel a stretch through both calves.

Wrist & Elbow

Since the majority of the muscles that move the wrist in all directions come from the medial and lateral sides of the elbow (inside and outside), any wrist stretch will affect the elbow.

  • Wrist flexor stretch (above): Sit with your elbows splayed on a table until your forearms rest on the table. Begin to press your palms together until you feel a stretch.
  • Wrist extensor stretch (not shown): Extend your left arm in front of you, grasp your fingers, thumb included, with your right hand and gently pull your wrist back until you feel a stretch. Hold for 20 seconds, then change sides.

Back

  • Cat/Cow (above): Kneel on all fours with hands under shoulders and knees under hips. As you inhale, slowly lift your head and your tailbone toward the ceiling, arching your back and reaching your collarbones forward (main photo). On an exhale tuck your chin and tighten your stomach as you round your back and look at your navel (inset).
  • Spinal Twist (not shown): Sit on a chair and put your hands on your shoulders with your elbows out to the sides, parallel to the floor. Slowly twist your torso left, then right.

Lower back

Pelvic Tilt (not shown): Lie down on your back with your knees bent and feet flat on the floor. Tip your pubic bone toward your navel as you move your navel up and back toward your spine. Release your tailbone back to the floor, relax, and repeat.

Bridge Pose (below): Repeat pelvic tilt, but this time raise your buttocks off the floor as high as you can comfortably go, engaging your stomach muscles and lifting your sternum. Don't tuck your chin.

Neck

  • Neck rotation (above): Sit up straight. Turn your head slowly to look over one shoulder, come back to center, and look over the other.
  • Neck extension (not shown): Lie on your back, knees bent, and lift your chin gently toward the ceiling. Come back to center. Repeat.
  • Lateral neck flexion (above): Slowly tilt head toward left shoulder, using your right hand to guide. Repeat on right side.



5 consigli per eliminare le riunioni inutili - Wired

5 consigli per eliminare le riunioni inutili - Wired

Una persona o fa una riunione o lavora. Non può fare entrambe le cose allo stesso tempo

Ryan Holmes

Pubblicato

La maggior parte di noi può essere d'accordo nel dire che, sul posto di lavoro, non c'è nulla di più inefficiente (o frustrante) di una riunione inutile. Certo, può essere preziosa per discutere faccia a faccia di progetti e iniziative importanti, ma ad un certo punto diventa solo controproducente. E il non sapere quando e dove questa linea viene superata, sta diventando un problema diffuso, all'interno di molte imprese. Le riunioni non indispensabili costano alle aziende una cifra fuori di testa: 37 miliardi di dollari all'anno, secondo uno studio. E altre ricerche, nel frattempo, hanno dimostrato che gli impiegati passano più di 60 ore ogni mese in meeting del tutto improduttivi. La metà dei quali viene dipinto come una completa perdita di tempo.

Mentre la mia azienda è diventata sempre più grande, ho notato quanto sia davvero difficile porre un freno a queste riunioni. Il team originale che ha creato Hootsuite, la nostra piattaforma che si occupa di gestione dei social media, era composto da appena 7 persone.

Adesso abbiamo più di 800 dipendenti e 10 milioni di utenti. Le riunioni sono un'assoluta necessità, ma la mia ossessione rimane quella di fare in modo che siano focalizzati e mirati alla risoluzione di un preciso problema.

Qui di seguito, ho individuato alcuni principi chiave che aiutano me e la mia squadra a non cadere nella trappola, che è sempre dietro l'angolo, della riunione improduttiva:

1. Dì semplicemente di no. Troppo spesso, i partecipanti ad una riunione non hanno la più pallida idea del perché siano lì presenti. Una riunione senza un chiaro oggetto è un inutile spreco di tempo.

Quindi, uno dei modi migliori per far sì che i vostri meeting siano produttivi, è non prenderne proprio parte. Affinate la vostra capacità di dire no sul posto di lavoro. Se siete invitati ad una riunione sulla quale nutrite qualche dubbio, non abbiate paura di dirlo all'organizzatore, e chiedetegli perché la vostra presenza è così necessaria.

Quindi, chiedetevi se è assolutamente necessario incontrarsi per affrontare il problema in questione. Può essere risolto via email, telefono o con un veloce scambio di opinioni faccia a faccia? Se sì, declinate educatamente l'invito, e suggerite un'alternativa più rapida.

2. Solo Vip: fate in modo che la lista sia ristretta. Se proprio una riunione deve essere fatta, fate in modo che nella lista dei partecipanti ci sia solo chi è assolutamente necessario. Steve Jobs ha sempre seguito alla lettera questo principio, e ha sempre fatto in modo che ad un meeting fossero presenti solo gli stretti e indispensabili, nonostante Apple fosse diventata una realtà globale enorme. E l'amministratore delegato di Google, Larry Page, ha una regola per la quale ad una riunione non possono partecipare più di dieci persone.

Un esercizio da fare, per iniziare, è quello di provare a far fuori la persona meno necessaria, ad ogni riunione. Non è una cosa che il vostro collega debba prendere sul personale: spiegategli che è semplicemente il modo migliore per rispettare il suo tempo prezioso.

3. Fate una prova generale. Come in una grande performance, la parte più importante di una riunione produttiva ha luogo prima ancora del fischio d'inizio. Se l'avete organizzata voi, prendetevi 5 minuti per controllare che tutto sia a posto. Assicuratevi che tutto sia nella giusta posizione, testate il proiettore, le attrezzature audio e video, ecc. Se dovete usare degli strumenti specifici per una live conference, controllate che siano pronti per l'uso, prima che i vostri colleghi arrivino.

Se si tende a evitare il lavoro di preparazione pensando che sia solo una perdita di tempo, considerate quanto costa tenere dieci persone sedute in una stanza, a girarsi i pollici, perché qualcosa non funziona. Se queste dieci persone sono dirigenti (e quindi hanno stipendi da manager) è facile rendersi conto che anche pochi minuti di improduttività costano moltissimo all'azienda.

4. Mettete nero su bianco azioni concrete. All'inizio di ogni riunione, scegliete una persona che prenda appunti. E che si assicuri di includere una sezione intitolata "risultati" o "azioni". Dopo l'incontro, assicuratevi che questi appunti siano distribuiti a tutti i partecipanti del meeting, in modo che ognuno sappia esattamente cosa fare, e ne sia responsabile.

Senza questo accorgimento, può facilmente arrivare una sorta di amnesia collettiva. Le idee discusse vengono presto dimenticate e le cose da fare non vengono mai messe in pratica. Così da rendere quella riunione del tutto inconcludente, il che ci riporta alla vera questione: perché scomodarci con queste riunioni?

5. Tagliate corto. Solo pochissime riunioni hanno bisogno di più di 25 minuti. Ne ho viste migliaia, e lo so per certo. Questioni molto importanti possono essere risolte efficientemente in molto meno tempo. Sheryl Sandberg, di Facebook, è nota per avere un quaderno contenente la lista dei punti che devono essere discussi ad ogni riunione. Ogni volta che un punto è stato discusso, pone fine alla riunione, anche se sono passati appena 10 minuti.

Ai miei dipendenti, a Hootsuite, ho sempre detto di sentirsi liberi di alzarsi e andarsene da ogni meeting, se si rendono conto che a loro non serve sentire altro (anche da parte mia). Preferirei mille volte vederli lavorare alla loro scrivania, piuttosto che averli lì, seduti educatamente ad ascoltare e recepire informazioni che comunque non possono utilizzare. Provateci. È incredibilmente liberatorio tagliarsi fuori da una riunione nella quale si sente di non essere più indispensabile.

E perché 25 minuti? Pianificare riunione leggermente più corte dà alle persone un piccolo spazio di tempo nel quale possono rispondere alle email più urgenti, o possono spostarsi da una location all'altra. Lo stesso vale per la regola delle "ore di 50 minuti".

Il guru della gestione aziendale Peter Drucker una volta ha detto: "Una persona o fa una riunione o lavora. Non può fare entrambe le cose allo stesso tempo". Ha ragione. Nel nostro panorama lavorativo moderno, sembra che abbiamo tutti dimenticato che le riunione non prendono il posto del lavoro effettivo. Ma con alcuni accorgimenti di buonsenso (e con la volontà di dire "no") potrebbe diventare possibile evitare la trappola delle riunioni inutili per tornare, finalmente, a fare in modo che le cose vengano effettivamente fatte.

Traduzione di Fabio Manfreda




3.10.15

Addio carne e pesce: in aumento il popolo dei vegetariani e vegani in Italia - Repubblica.it

Addio carne e pesce: in aumento il popolo dei vegetariani e vegani in Italia - Repubblica.it
Addio carne e pesce: in aumento il popolo dei vegetariani e vegani in Italia
LA PASTA si scola in bianco e poi si condisce in tre modi diversi (olio, burro e parmigiano e ragù), senza che più nessuno si scandalizzi. I nighiri del sushi diventano vegetariani grazie alla marmellata e all'avocado, gli arancini vengono preparati anche ai funghi o ai pistacchi. E il Vegorino Romano sarà presentato il 10 ottobre: «Il primo alimento stagionato vegetale, crudo, fermetato con probiotici di calcio e magnesio ». A Torino ha aperto il primo Fine Vegan Fast Restaurant (si chiama Coox) che propone lasagne al sugo di seitan e torte Sacher senza burro. «C'è qualcuno vegetariano o vegano?» chiedono le padrone di casa quando invitano, proprio come una volta avrebbero domandato se i funghi o l'aglio erano graditi. Al tempo stesso, un vegano che si è dimenticato di annunciarsi per tempo potrebbe anche chiudere un occhio quando, alla tavola degli ospiti, scopre che sulla torta di verdure è stato spalmato anche un uovo.

Addio carne e pesce: in aumento il popolo dei vegetariani e vegani in Italia

Fonte: Eurisko-Tre Valli 2015 



Essere vegetariani è facilissimo, essere vegani è facile, e anche felice, come dice l'ultima campagna pubblicitaria realizzata col campione di rugby Mirco Bergamasco come testimonial. Lo dicono le cifre, 4.600.000 persone in tutto che in Italia non mangiano più né carne né pesce (il 6 per cento) o rifiutano tutti i prodotti animali (3 per cento). Ma lo dimostrano anche i prodotti, e la tendenza di un costume alimentare che ora non assomiglia più a una religione, ma a un semplice stile. Anzi, a uno "stile liquido", come ritiene la Coop, che nel suo ultimo rapporto sui consumi del maggio 2015 ha definito così le nuove abitudini degli italiani. «Un tempo — dice Albino Russo, responsabile dell'ufficio studi economici della Coop — le persone iniziavano da piccole a mangiare i cibi del proprio territorio, e perlopiù continuavano così per tutta la vita. Ora invece ogni persona sceglie da sé il proprio menù». Le ragioni che stanno dietro il "cibo della rinuncia" sono in parte etiche e in parte salutistiche: «Non siamo certi che l'aumento dei vegani continuerà all'infinito, magari molte persone cambieranno idea — spiega Russo — Ma altre tendenze, come la rinuncia alla carne pensata anche in favore di una vita più lunga, sono molto forti e potrebbero durare a lungo». Nei focus organizzati dalla Coop, gruppi di consumatori invitati a dire la loro sul tema, la frase più frequente è "non voglio mangiare nulla che sia stato vivo". E l'ultima indagine Eurisko racconta anche chi sono i vegani: vivono soprattutto a Nord-Ovest (36%), abita in grandi città (13%), occupa posizioni dirigenziali (25%) ed è una donna (58%) tra i 45 e i 54 anni (28%), spesso in possesso di una laurea (17%).
 
Per i giovani, scegliere la strada vegetariana o vegana è anche un modo di affermare la propria autonomia. «Una forma di consapevolezza — dice Paola Segurini, responsabile vegana della Lav, la Lega antivivisezione — che è prima di tutto culturale. Per questo anche la nostra comunicazione è diventata meno indottrinante, più accogliente. Ci interessa il risultato, cioè la facilità di trovare prodotti vegani in ogni supermercato, il fatto che escano continuamente nuove riviste e che le ricette siano ormai migliaia e alla portata di tutti ».

Anche i ristoranti si sono ormai impadroniti della tendenza, che all'inizio spopolava soprattutto tra gli etnici orientali, abituati a contrassegnate i piatti vegetariani o vegani già dal menù, proprio come si usa per quelli piccanti. «Il trend vegano, ideale per una cena leggera, impatta molto anche sul nostro business — dice Daniele Contini, country manager di Just Eta, con 3.000 ristoranti affiliati — Ogni giorno constatiamo che i nostri locali inseriscono piatti vegetariani e vegani, andando incontro alle aspettative». Le manifestazioni si moltiplicano: il 4 ottobre la Notte Veg sarà in molti Comuni, il 10 e l'11 la Mi-Veg si offirà ai milanesi, dal 31 ottobre al 1° novembre il Vegan Day è a Padova.

E se il veganesimo non è più una religione, è comunque importante per chi decide di sceglierlo avere la certezza di quel che si compra. VeganOk è stata la prima società di certificazione nel campo, dal 2009, e ha già certificato 400 aziende: «Abbiamo cominciato perché era molto difficile per i consumatori acquistare prodotti sicuramente vegan. Adesso il numero delle domande è sempre in crescita, e certifichiamo anche corsi di cucina. Cerchiamo di rispondere il più in fretta possibile, ci è capitato di farlo anche in quindici giorni, ma il disciplinare è molto rigoroso ».

IL COMMENTO DI UMBERTO VERONESI

Gli italiani che consumano alimenti a base di soia sono il 40 per cento: si inizia con la panna vegetale (15%), si prosegue con le bevande sostituive del latte (conosciute da tutto il campione dell'Eurisko, e scelte regolarmente dal 14%), per poi passare ai piatti pronti (12%). Ma il 54 per cento dei consumatori di soia ha iniziato solo nell'ultimo anno, aggiungendosi ai compratori storici, chehanno aumentato gli acquisti. E le scelte alimentari non progrediscono più un gradino dopo l'altro, con gli onnivori che diventano prima vegetariani e poi vegani. Si passa direttamente dalla bistecca al seitan, un cibo che, per altro, i vegani di vecchia data considerano ormai adatto «solo a chi sente il bisogno di vedere nel piatto una semplice bistecca». Maria Di Noia, alias Vegachef, ha 120.000 fan su Facebook, e ha scritto un best seller che rappresenta bene l'ironica ribellione degli italiani a prosciutti e cotolette: "Tutto il resto è noia" (Anima Edizioni). E le ricette delle orechiette alle cime di rapa o della ribollita sono tra le più gettonate sul suo profilo, perché il veganesimo può (anche) essere tradizionale. Olio extravergine, sale integrale e frutta secca dovrebbero rendere sicura la dieta di chi non vuole mangiare animali, uniti a ortaggi, cereali, legumi e frutta fresca. La zucca, più antica che mai e tipicamente autunnale, è il cibo-cult di chi passa al veganesimo. Ebbene sì, essere vegani è un costume, una moda, che si affonda sull'etica, sul bene degli animali e del pianeta, sulla voglia di depurare il corpo, ma anche sui famosi che già lo fanno, da Umberto Veronesi a Dorina Vaccaroni, da Lorenzo Cherubini a Paola Maugeri. Vegan Go Glam, titola anche il New York Times . E non è obbligatorio esserlo per sempre.

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La caffeina, come la luce, sposta l'orologio biologico - Repubblica.it

La caffeina, come la luce, sposta l'orologio biologico - Repubblica.it
La caffeina, come la luce, sposta l'orologio biologico
UN BUON ESPRESSO è un piacere che ci concediamo in molti al risveglio. Un autentico toccasana, che aiuta a uscire dall'abbraccio di Morfeo e affrontare al meglio la giornata. La raccomandazione degli esperti però è di non berne troppo e di non consumare caffè dal pomeriggio in poi, per evitare il rischio che la caffeina provochi disturbi, anche seri, del sonno. Una conferma di questi pericoli arriva da uno studio condotto dai ricercatori della University of Colorado Boulder e di Cambridge, che sulle pagine di Science Translational Medicine svelano come il caffè sia in grado di modificare il nostro ritmo circadiano, quell'"orologio biologico" che dice al nostro corpo quando è ora di dormire e di svegliarsi.

La caffeina, va ricordato, è a tutti gli effetti una sostanza psicoattiva, e il caffè il più diffuso farmaco (o a seconda del punto di vista, la più diffusa droga) del pianeta. In molte specie animali, e persino in alcune piante, si sa che la caffeina può produrre un serio sfasamento del ritmo circadiano, ma fino a oggi non era chiaro se lo stesso fosse vero anche per la nostra specie.

Per scoprirlo i ricercatori hanno progettato un esperimento, in cui cinque volontari sono stati monitorati per 49 giorni al momento di addormentarsi. Prima di andare a letto, i partecipanti sono stati sottoposti a quattro differenti condizioni: l'assunzione di pillole di caffeina (200 milligrammi, più o meno l'equivalente di 2 caffè forti) in un ambiente scarsamente illuminato; assunzione di placebo (una pillola innocua) e scarsa illuminazione; 3 ore passate in un ambiente fortemente illuminato e assunzione di un placebo; 3 ore di luci alte e consumo di pillole di caffeina.

In questo modo, i ricercatori hanno potuto verificare l'effetto della caffeina sui cinque volontari, comparandolo con quello della luce, un fattore che, si sa per certo, ha una forte influenza sull'orologio interno della nostra specie.

Per controllare eventuali cambiamenti avvenuti nel ritmo circadiano dei partecipanti i ricercatori hanno monitorato i livelli di melatonina presenti nel loro organismo. La sostanza, rilasciata dal cervello, aumenta infatti di concentrazione nel nostro corpo durante l'arco della giornata, e segnala così lo scorrere del tempo a livello cellulare, coordinando il corretto svolgimento delle funzione dell'organismo (rilascio di ormoni, sonno, risveglio, ecc...). Misurarne i livelli permette quindi di scoprire a che punto del suo "orologio circadiano" è un determinato organismo.

I risultati dell'esperimento hanno confermato che la caffeina può avere un forte impatto sul nostro orologio circadiano. Consumare caffè (nello specifico 200 milligrammi di caffeina) nella seconda metà della giornata sposterebbe infatti indietro di 40 minuti le lancette del nostro orologio biologico. Più o meno metà di quanto avviene in caso di forte illuminazione, ma nel caso del caffè l'effetto sembrerebbe dose dipendente, e potrebbe quindi essere ancora più forte nei grandi consumatori di caffeina.

Secondo i ricercatori, la scoperta potrebbe ora aiutare i medici nel trattamento di molti disturbi del sonno legati allo sfasamento del ritmo circadiano. I risultati inoltre suggeriscono la possibilità di utilizzare la caffeina per regolare artificialmente, dove serve, il ritmo circadiano, come ad esempio per contrastare il jet lag in caso di lunghi viaggi in areo verso l'ovest, dove ci si trova ad essere "in avanti" rispetto all'orario locale.



29.9.15

Milano, arriva il giardiniere condotto:"Aiuto gratuitamente la comunità a curare piante e fiori" - Repubblica.it

Milano, arriva il giardiniere condotto:"Aiuto gratuitamente la comunità a curare piante e fiori" - Repubblica.it
Milano, arriva il giardiniere condotto:"Aiuto gratuitamente la comunità a curare piante e fiori"
Un giardiniere al servizio della comunità. Un esperto capace di riconoscere le malattie delle piante, tagliare l'erba, preparare il compost e la pacciamatura, potare le piante e scegliere le specie più adatte a seconda dell'esposizione al sole e del terreno. Interviene gratuitamente su chiamata, al bisogno, proprio come il medico della mutua. È Manuel Bellarosa, 57 anni ed è il primo giardiniere condotto di Milano: nel tempo libero  -  da anni lavora all'Orto botanico di Brera e collabora con il Boscoincittà dove coordina il gruppo di volontari che si occupa del giardino d'acqua  -  dà una mano ai milanesi a mantenere (o progettare) giardini e orti condivisi.

Spirito di volontariato?
"Il volontariato non c'entra. Trovo rivoluzionario realizzare giardini insieme ai cittadini, aiutarli a prendersi cura della città insieme agli altri. È così che cambiano le cose, dal basso. Il volontariato è sempre una forma di assistenzialismo, quello che mi interessa è insegnare alle persone le nozioni di base per far sì che un domano siamo in grado di occuparsene da soli".

Com'è nata l'idea?
"Col boom dei giardini nei mesi scorsi sono arrivate decine di richieste di aiuto da parte di gruppi che hanno preso in gestione aree verdi pubbliche e non sapevano come procedere, avevano bisogno di una assistenza per ripulire il terreno o solo una consulenza su come salvare una pianta malata. Da questa esperienza, Italia Nostra e Comune hanno deciso di creare la figura del giardiniere condotto".

Come funziona?
"Si segnala un problema chiamando il Boscoincittà e si prenota un sopralluogo. Insieme all'agronomo Silvio Anderloni (del Bosco, ndr. ) verifichiamo la situazione e pianifichiamo le uscite necessarie, accordandoci con il gruppo. Perché l'intervento deve essere collettivo, partecipato. È importante che i cittadini siano consapevoli del fatto che ogni lavoro va svolto insieme, altrimenti finisce che me ne occupo io e loro non imparano nulla. Ogni tanto bisogna che glielo ricordi".

Lei è il primo. Ce ne saranno altri?
"Me lo auguro, magari giovani. Perché questa passione della gente per il verde pubblico potrebbe creare anche nuovi posti di lavoro. Per ora sono solo, ma mi appoggio sempre agli operatori del Boscoincittà. Per esempio se c'è da abbattere un albero chiamo Giuseppe, che arriva con la moto sega, se c'è da pulire un'area con il ragno (il camion con la gru) faccio venire Corrado, se bisogna eseguire una progetto coinvolgo Silvia dell'ufficio tecnico".

Che interventi ha fatto finora?
"Il servizio è partito a giugno. Per ora sono stato al nuovo giardino di via Scaldasole: abbiamo ripulito l'area, costruito la cassetta degli attrezzi, tagliato l'erba".

Qual è lo scoglio più difficile?
"Creare il gruppo, passare il messaggio che il giardino è un lavoro collettivo i prodotti dell'orto sono di tutti, ognuno fa quello che può e riesce. Ma è difficile anche far capire alle persone che il verde, anche quando è un hobby, ha bisogno di costanza e dedizione".

Come si spiega tutta questa passione dei cittadini per orti e giardini?
"In una vita dominata dal cemento e dalle tecnologie anche la cassetta di aromi sul balcone è un pezzo di mondo e ci riporta alla natura, al suo ritmo, alla sua semplicità. Ma anche alla sorpresa di vedere un fiore che cresce dopo che hai piantato un seme nella terra. Tutto questo è speranza".



Singletrail Extrem at the Never End Trail in Flims-Laax

Guarda questo video su YouTube:

http://youtu.be/WVsfELbCyBg

26.9.15

"Così, per difendere i dati di tutti, ho fatto lo sgambetto a Facebook e agli Usa" - Repubblica.it

"Così, per difendere i dati di tutti, ho fatto lo sgambetto a Facebook e agli Usa" - Repubblica.it
LUI è lo studente di legge che è riuscito a fare lo sgambetto al gigante Facebook, e ora persino al governo americano. Max Schrems, viennese, 27 anni, ha impiegato gli ultimi quattro a battersi per la privacy con la determinazione di chi - parole sue -  "non ha nulla da perdere e niente da guadagnarci". Durante un viaggio studio in California nel 2011 si è reso conto di quanto Zuckerberg & co avessero tracciato la sua vita (1200 pagine di dati personali soltanto su di lui), a dispetto delle leggi per la privacy d'Europa. A quel punto è iniziata la sua lunga trafila di aule giudiziarie, "cominciata come un gioco e diventata sempre più grande".

Un reclamo all'authority irlandese, poi la class action austriaca con 25mila cittadini coinvolti. E dopo il Datagate, quella battaglia è anche per proteggere i dati dal grande occhio della National Security Agency. Ora, un primo grande successo alla Corte di giustizia dell'Unione europea, che può far persino tremare i buoni rapporti tra le due sponde dell'oceano. Finora le aziende Usa hanno potuto trasferire idati dei cittadini europei fuori confine grazie a un accordo commerciale, il Safe Harbor del 2000, che di fatto ha prestato il fianco alla sorveglianza di massa dell'Nsa. Ma dal Lussemburgo l'avvocato generale della Corte di giustizia dà ragione a Schrems, che a sua volta festeggia twittando un "grazie" a Mr Datagate Edward Snowden per le sue rivelazioni.

L'avvocato generale della Corte Yves Bot conferma che i dati degli europei possono essere trasferiti solo a Paesi che garantiscono la protezione di quei dati. Soddisfatto?
"E' un grande successo. Bot dice in sostanza che siccome le pratiche di sorveglianza dell'Nsa violano la nostra privacy, quell'accordo, Safe Harbor, non funziona. E che a questo punto gli Stati o quantomeno le loro authority per la privacy devono intervenire per tutelarci. Le leggi in Europa non consentono di far sconfinare i dati dei cittadini dall'Ue se a destinazione non trovano adeguata protezione. E gli Stati Uniti non la garantiscono. In poche parole, un cittadino come me, che aveva chiesto all'autorità irlandese (perché in Irlanda ha sede Facebook Europa) di tutelare i suoi dati, deve trovare una sponda legale".

La Corte dovrà dare ragione (o torto) a Bot con una sentenza. Per quando è prevista? E cosa farà intanto la Commissione europea?
"Entro fine anno dovrebbe arrivare la decisione della Corte, speriamo sia in linea con Bot. Intanto da tempo la Commissione dice di voler riscrivere Safe Harbor. Arrivano lettere furenti a gruppi di lavoro che producono dossier, partono voli per Washington una volta al mese nel tentativo di negoziare. Ma al ritorno, in mano abbiamo un pugno di mosche, come fossimo i "little kids of Usa". La questione è dura perché è politica, la Commissione si scontra non tanto con i colossi della rete, quanto con il governo americano".

Dopo il Datagate nulla si è mosso?
"E' vero che il Congresso americano ha in parte rivisto le regole, ma l'ha fatto per quello che riguardava i dati dei cittadini americani. E noi europei? E tutti gli altri? Il Datagate ha svelato che anche i nostri dati sono sotto controllo. Persino il cellulare della Merkel non sfuggiva al setaccio. Eppure su questo fronte, il nostro, è tutto immobile, tutto da cambiare. Siamo ancora in piena era Snowden".

Ma sul fronte giudiziario le iniziative di un cittadino come tanti potrebbero cambiare le cose. Concretamente, come?
"Formalmente le leggi europee ci proteggono, in pratica le grandi aziende americane come Facebook poi trattano i nostri dati in modo massiccio. E come ha rivelato Snowden, le passano anche al governo americano: ricordate il programma di sorveglianza "Prism", quello del Datagate? Ecco, quando io ho inviato il mio reclamo all'authority irlandese chiedendo rispetto per la mia privacy, mi è stato detto: "Spiacenti, non possiamo fare nulla". Oggi invece l'avvocato della Corte dice: "Potete, e dovete. Perché i dati personali dei cittadini europei devono essere protetti".

La battaglia per la privacy di Max Schrems comincia con lui studente, un faldone di dati stampati e un reclamo. Oggi Schrems tira un calcio addirittura ai rapporti Usa-Ue. Cosa è cambiato, come ci si sente e perché tanta determinazione?
"Sono ancora uno studente, un phd student dell'Università di Vienna. Tutto è cominciato come un gioco, ed è diventato sempre più grande. Volevo che i miei diritti venissero rispettati, ma non avevo interessi personali in gioco. E' proprio per questo, che sono riuscito ad andare avanti: niente da perdere, niente da vincere, nessuna storia toccante, nessuna passione in ballo. Semplicemente i miei diritti da far rispettare, passo dopo passo".

Tutto da solo? Senza grandi interessi né soldi alle spalle?
"Diciamo di sì, anche se io da solo non mi sono mai sentito. La class action per la privacy in Austria aveva aggregato 25mila persone. In tanti frequentano il nostro sito e il nostro account @europevfacebook. Ma sì, il "quartier generale" è piccolo. Qualche professore ci dà una mano gratis, per il semplice fatto che ci crede, abbiamo un team legale. Se una causa va male, perdiamo, tutto qua, nessuno ci rimborsa".

Paura dei Giganti? Nessuna pressione?
"Vado contro grandi interessi e grandi aziende, è faticoso, lo metto in conto. Qualche tentativo di screditarmi, questo sì, c'è stato. Di mettere in dubbio la mia credibilità. Ma la cosa non mi tocca. Penso soltanto, "ma hanno tempo da perdere attaccando me, un semplice studente?"
 



11.9.15

Come accelerare il metabolismo

Come accelerare il metabolismo

Questo video-articolo si prefigge di farvi capire come accelerare il metabolismo. Per farlo vi spiegheremo, in modo semplice, i principi cardine di fisiologia e biochimica che lo regolano. Pertanto se siete alla ricerca del solito articoletto che vi spiega i segreti del super-metabolismo:

  1. Mangiare i giusti cibi (in primis frutta e verdura)
  2. Fare tanti piccoli pasti
  3. Mangiare i carboidrati in una parte specifica della giornata
  4. Fare attività fisica
  5. Ecc.

lasciate perdere. Ci rivolgiamo non chi a ricerca trucchi magici e rapide soluzioni ma a chi vuole capire.

Perché solo se conosci scegli, altrimenti credi di scegliere. 

(L'articolo è tratto, in parte, dal nostro libro universitario: Malattie delle ghiandole endocrine, del metabolismo e della nutrizione. Un testo di oltre 1100 pagine. E' logico che riassumerlo in poche righe è impensabile. Abbiamo messo l'essenziale ma come sempre se volete approfondire andate oltre).

Tutti sappiamo che dopo i trent'anni, gradualmente, il metabolismo si abbassa. La massa magra cala e con essa gli ormoni anabolici. Ma sarà vero?
NI, è corretto solo per le persone sedentarie, che sono destinate negli anni a perdere un prezioso dono, ovvero il controllo del proprio corpo.  Insulino resistenza, diabete, sindrome metabolica aspettano chi, superato i quarant'anni, si sfoga nel cibo e non nell'allenamento.
La risposta è invece NO per chi si allena, o almeno per chi si allena correttamente. Fino ai 45-50 anni potete stare tranquilli, il metabolismo sale. Ma come sale? Possibile?
SI, l'obiettivo di questo articolo è insegnarvi a farlo crescere di anno in anno.

Metabolismo: prima si sale e solo dopo si scende

Reset metabolico e definizione

Fatevi una foto, qualcuno ha già i capelli bianchi? Ti ho visto tirare in dentro la pancia!
Ecco, il nostro metabolismo è un'istantanea di come siamo ora. Il presente è figlio del passato, ma è anche padre del futuro. La vostra composizione corporea è il frutto di quello che avete fatto finora.
Ok è vero, la genetica conta. Il nostro stato metabolico è come una partita a scacchi. I nostri genitori hanno decretato se siamo partiti con una torre in meno o un pedone in più, ma le diete che abbiamo seguito in passato hanno deciso dove si trovano oggi i pezzi sulla scacchiera. Se avete giocato bene  vi ritrovate con un metabolismo accelerato, altrimenti… Ma non demoralizzatevi il domani dipende solo da cosa fate oggi.

La dieta è sempre stata vista come un togliere. Tolgo le calorie, tolgo determinati alimenti, ecc. In realtà questa visione è anche corretta ma… Mio zio diceva che tutto quello che viene prima di un ma non conta.
Ma per poter togliere devi prima mettere, devi prima investire. Se sei un uomo di 80kg che assume 2000kcal come fai a metterti a dieta? Con 1600-1700kcal perderai sicuramente peso ma per quanto tempo potrai andare avanti? Ecco, il grosso problema è che tutti vogliamo il tutto subito. E invece no, il metabolismo non funziona così. Se togli calorie cala, se le metti sale. Poi non chiedete perchè non dimagrisco? E' semplice ma quasi nessuno lo dice. Quasi, in questo canale youtube Fran ne parla correttamente.

Possiamo metterci a dieta solo dopo che abbiamo aumentato il metabolismo (è quello che vedremo oggi). Se da 2000kcal passiamo a 3500kcal, in 20-30 settimane (aggiungendo 50-75kcal a week), abbiamo creato le basi per dimagrire in modo efficace. Non esistono trucchi o inganni, è semplice ed è tutto qui. Prima si sale e poi si scende, la differenza che abbiamo guadagnato è il nuovo set point metabolico che abbiamo conquistato. L'anno prossimo avremo delle basi migliori con cui ripartire . Ha ancora senso fare periodi di massa e di definizione? La risposta è SI.

L'importante che l'aumento calorico sia graduale , sia monitorato, rispetti la giusta proporzione tra i macronutrienti e sia abbinato al corretto allenamento. Tutti questi punti li vedremo andando avanti nell'articolo.

Macronutrienti e risposta genica

Macronutrienti e risposta genica

Tutti sappiamo che gli ormoni influenzano il nostro organismo. E come lo fanno? Attraverso l'influenza sui recettori cellulari o sulla sintesi proteica (risposta genica). Arriva un ormone entra nel nucleo cellulare e comanda a determinati geni d'attivarsi o di spegnersi. Non so  voi, ma a me questa cosa mette sempre soggezione, pensare che dentro di me miliardi di fattori contemporaneamente si accendono o spengono, brrrrr; nell'infinitamente piccolo sta l'infinitamente grande, scriveva qualcuno…

Bene, non tutti sanno che i macronutrienti funzionano come gli ormoni, a seconda di quanti carboidrati, grassi, proteine mangiamo (anche il tipo conta) a livello nucleare si attivano determinati geni piuttosto che altri. Il cibo ha un potere enorme.

Apriamo qui una piccola parentesi. Vi diciamo un segreto: vi prendono per il culo, solo che voi non ve ne accorgete ("ci pisciano in testa e ci dicono che piove"). I libri sulle diete prendono per il culo chi li legge, perchè?
Perché la nostra composizione corporea è influenzata sia da macrofattori che da micro. I primi hanno un'enorme rilevanza mentre i secondi sono superficiali, di rifinitura. Quasi tutte le diete si concentrano sui secondi, vi riempiono la testa con cose superficiali, a volte con supercazzole, dimenticandosi di quello che realmente conta. Perché succede questo? Perché l'essenziale è semplice e commercialmente poco spendibile. Infatti il fattore cardine su cui ruota il nostro metabolismo è l'introito calorico giornaliero e settimanale.

Ma come, siamo nel 2015 e ancora ci parli di calorie? Si, ma continuate a leggere, così capirete.

Proteine mitocondriali UCP

Proteine mitocondriali UCP

Proteine mitocondriali UCP-2,3 mai sentite? Tranquilli, vivete lo stesso. Sono gli operai che vi permettono d'aumentare il metabolismo. Conoscete Giorgio e Luca? Tutte e due quarantenni, fanno lo stesso lavoro, pesano uguale ma Giorgio assume 3000kcal e rimane uguale, Luca 2000kcal ed ingrassa. Non diteglielo ma tra 5 anni sarà un ciccione, per fortuna, pagando, continuerà lo stesso a fare sesso.
Bene torniamo a noi, perchè alcuni individui hanno un metabolismo alto rispetto ad altri?
I fattori sono differenti ma possiamo così riassumerli:

  1. maggiore massa magra;
  2. maggiori enzimi glicolitici-ossidativi;
  3. maggior densità mitocondriale;
  4. maggiori riserve di glicogeno.

Tutti questi punti contribuiscono ad aumentare il metabolismo (non abbiamo inserito i fattori ormonali). Aggiungiamo un ulteriore tassello, è l'ultimo promesso. In fisiologia un metabolismo accelerato si definisce inefficienza metabolica, mentre un metabolismo lento si definisce efficienza metabolica. Lo so detta così suona male, l'inefficiente dovrebbe essere quello sfigato non quello figo. Infatti manca un pezzo. A questo parametro si aggiunge la capacità metabolica, ovvero la capacità dell'organismo di compiere un lavoro in brevi lassi di tempo (40″-2′).

Inefficienza metabolica = Alta capacità metabolica = Alto metabolismo
Efficienza metabolica = Bassa capacità metabolica = Basso metabolismo

Già così suona meglio. Chi riesce a svolgere molto lavoro meccanico (muscolare) in brevi lassi di tempo ha un grosso motore, questo ha tuttavia un costo. Anche quando sta fermo dissipa energie, tradotto spreca parte delle calorie in calore. Al contrario chi è efficiente a riposo  tiene il motore al minimo e non dissipa quasi niente.

Come facciamo a migliorare il nostro lavoro meccanico (nei 40″-2′)? Migliorando i 4 punti che abbiamo scritto sopra con l'allenamento (ne parleremo meglio in un prossimo articolo).

Ok, finalmente iniziamo a tirare le fila, ora sappiamo che i macronutrienti hanno un'influenza genica, che le proteine mitocondriali UCP-2,3 ci permettono di dissipare le energie in calore (e non in prodotti di sintesi) e che per migliorare la capacità metabolica dobbiamo aumentare la massa magra, il pool enzimatico, la densità mitocondriale e le riserve di glicogeno.
Come chiudiamo il cerchio? Venendo a conoscenza che i grassi disattivano la sintesi proteica delle UCP-2,3 mentre i carboidrati le attivano ( o meglio il percorso è molto più complesso ed inizialmente funziona all'opposto: gli acidi grassi le stimolano ma i danni ossidativi peggiorano nel tempo la capacità ossidativa della cellula). Tradotto, i glucidi sono il cardine che ci permette di far ripartire il metabolismo.
Hanno anche un'altra azione sull'enzima deiodinasi, ovvero quello che permette la conversione del T4 (poco attivo) in T3 (molto attivo), stiamo parlando degli ormoni tiroidei. Quando le scorte epatiche, renali e muscolari sono piene di glicogeno la produzione enzimatica è alta. E sapete come influenzano gli ormoni tiroidei il metabolismo? Andando a esercitare la loro azione sulle proteine UCP.
Avete visto, il cerchio si è chiuso!

Nella pratica come accelerare il metabolismo.

Come accelerare il metabolismo

Dopo questa lunga premessa andiamo a vedere nel pratico come accelerare il metabolismo. Molte persone ci accusano d'essere solo teorici e non pratici, ma semplicemente perchè non leggono fino alla fine quello che scriviamo. Se volete la pappa pronta, senza prima capire, avete sbagliato sito. Se siete arrivati fino a qui non fate parte di quella categoria di persone, bravi!
Per semplificare la lettura mettiamo 5 step da seguire per accelerare il metabolismo.

1. Conosci te stesso

Come possiamo decidere una rotta se non sappiamo dove siamo? E' palloso da calcolare, ma sapete quante calorie assumete al giorno? Quanti grammi di carboidrati, proteine, grassi? Se la risposta è no vi manca un tassello. Devi prima conoscere il tuo stato metabolico per poi prendere la strada giusta. Ci sono diverse applicazioni utili da scaricare col cellulare per calcolare tutti i dati di cui abbiamo bisogno.

2. Quanti grassi sto assumendo?

Una volta che avete raccolto i vostri dati sapete anche quanti grammi di lipidi introducete al giorno.

Se sono maggiori di 0,7g/kg in questa fase calateli gradualmente.

Non potete aumentare il metabolismo tenendo alti carboidrati e grassi assieme. Il metabolismo lipidico ostacola il metabolismo glucidico e non disperdete le energie in calore come dovreste. Addirittura chi per anni ha seguito low carb ed ha un'affinità col glucosio pessima, farà bene in un primo periodo a scendere ancora gradualmente a 0.3-0,4g/kg. Senza tanti lipidi sarà molto più facile migliorare l'affinità col glucosio. Non preoccupatevi per gli ormoni steroidei, riprenderete a mangiare grassi una volta che il metabolismo si sarà rialzato.

3. Quanti carboidrati sto assumendo?

Come per i lipidi, dovete sapere anche i grammi dei glucidi. Si procede per step, "un cm alla volta". Non potete passare da una low carb ad una mediterranea di colpo, soffochereste negli zuccheri.

Ogni settimana, gradualmente aggiungete 10-25g di glucidi al giorno.

Per esempio se siete a 300g/die la settimana dopo passate a 310-325g/die, ecc.

Monitoratevi (attraverso le circonferenze e la plicomentria) e se non ingrassate aggiungetene altri la settimana seguente. Altrimenti rimanete su quel quantitativo finché l'organismo non si sarà abituato. Ingrassare leggermente nelle 20-30 settimane di reset metabolico è fisiologico, l'importante è aumentare la massa grassa di massimo 2-4%. Non preoccupatevi quello che acquistate lo perderete con gli interessi.

Qui abbiamo messo tre traguardi da raggiungere. Mirate a quello che vi è più vicino. Avete 20-30 settimane di tempo prima d'invertire la tendenza ed iniziare la fase di definizione.

  1. Livello base: 4g/kg di glucidi al giorno
  2. Livello intermedio: 5-6g di glucidi al giorno
  3. Livello avanzato: +7g di glucidi al giorno

Come abbiamo scritto all'inizio l'alimentazione è ciclica, come le stagioni. Ogni anno il vostro stato metabolico sarà migliore e vi permetterà d'aumentare la quota di carboidrati che introducete. Se partite da 2,5g/kg mirare alla luna vi farà solo rotolare per terra. Ci vuole tempo, per questo nessuna dieta ne parla.

4. Quante proteine sto assumendo?

Mano a mano che aumentate i carboidrati dovete scendere con le proteine (solo se erano maggiori di 1,5g/kg). Quest'ultime saranno fondamentali durante la fase di definizione perchè proteggono il muscolo dal catabolismo. Tuttavia tenere la quota proteica cronicamente elevata non è consigliabile. L'alto contenuto glucidico vi proteggerà dalla lisi muscolare e darà il via all'anabolismo. Sono i carboidrati la benzina per mettere su muscolo, non le proteine.

Non abbiate paura, in questa fase i protidi possono stare tra 0,9-1,5g/kg.

5. Migliorate la vostra prestazione.

Tutto quello che abbiamo scritto finora non ha senso se non miglioriamo i nostri allenamenti. La disponibilità energetica e le scorte di glicogeno piene, ci permetteranno di svolgere allenamenti sempre più voluminosi e pesanti, senza rischiare di sovrallenarci. Se vi limitate a fare gli stessi volumi delle settimane passate non potete sperare d'aumentare le calorie senza ingrassare. Allenamento ed alimentazione devono andare di pari passo. Nel bodybuilding si dice che il 70% lo fa l'alimentazione ed il 30% l'allenamento. E' falso! Tutti e due fanno parte della stessa medaglia, vanno di pari passo e contano al 50%. Il training vi permetterà di migliorare tutti e 4 i punti fisiologici che abbiamo descritto precedentemente alzando il metabolismo.

Concludendo

alzare il metabolismo

Abbiamo ora la strada aperta, sappiamo dove siamo e dove vogliamo andare. Ognuno seguirà il suo percorso. Mangerà i cibi che preferisce (ovviamente salutari), farà quanti pasti crede, distribuirà i macronutrienti come si trova meglio, ecc. Alla fine aumentare il metabolismo è estremamente semplice, basta seguire poche indicazioni e fare un passo alla volta. Bisogna tuttavia impegnarsi ed essere costanti. Tutto quello che le persone non vogliono sentirsi dire.

Volete conoscere un segreto? Avvicinatevi lo scriviamo piano.

"Il segreto è che non esistono segreti".

Tutto quello che abbiamo scritto, ovviamente, non è una nostra invenzione. Alan Aragon, Lyle McDonald, Layne Norton, ecc ormai da diversi anni ne parlano. Tuttavia visto che la disinformazione continua ad essere dilagante aiutaci a combatterla e condividi questo articolo. Ai primi mille, in omaggio, la dieta del clistere per un super metabolismo.




3.9.15

Milano: concluso il concorso per valorizzare Piazza della Scala

Milano: concluso il concorso per valorizzare Piazza della Scala

13/07/2015 - È il gruppo di progettisti guidato dal trentunenne Pierpaolo Tonin, di Castelfranco (TV), il vincitore del Concorso internazionale di idee per valorizzare Piazza Scala. Al concorso, promosso dal Comune di Milano su proposta e in accordo con Intesa Sanpaolo, hanno partecipato 209 proposte dall'Italia e dall'estero. 

Per la scelta finale, la Commissione giudicatrice, composta da rappresentanti del Comune di Milano, di Intesa Sanpaolo e dell'Ordine degli Architetti, ha scelto 6 progetti, di cui 4 premiati e 2 menzionati. 

Al vincitore è stato riconosciuto un premio di 12mila euro, al 2° classificato è stato assegnato un rimborso spese pari a 5mila euro, al 3° e al 4° classificato 2.500 euro ciascuno. 

Il progetto vincitore, del gruppo di progettisti guidato da Pierpaolo Tonin e composto da Graziano Cavallini, Paola Franceschi, Giacomo Gatto e Davide Vernocchi, si è distinto, come riporta la motivazione, "per la qualità complessiva del disegno, l'attenzione al contesto urbano, il rispetto delle indicazioni del bando e la ragionevolezza delle soluzioni prospettate per il traffico urbano. La proposta assume come elemento determinante l'analisi urbana, concentrandosi sull'articolazione del sistema di flussi e di vuoti costituito dalle vie e dalle piazze di quest'ampia parte del centro storico di Milano. Piazza della Scala, piazza del Duomo, piazza S. Fedele, Piazza Belgioioso, via Filodrammatici e piazza Ferrari sono riguardati come un'unica configurazione ambientale […] Basato sull'idea di togliere più che di aggiungere, il progetto suggerisce dunque una linea di manutenzione, ispirata alla progressiva limitazione del traffico veicolare e alla creazione di un'estesa area a pedonalità privilegiata, in modo da assicurare l'effettiva continuità tra i vari ambiti […] L'idea di fondo è quella di una piazza come hub "vuoto" che raccoglie e indirizza i flussi del turismo culturale nelle direzioni delle numerose istituzioni disseminate nel suo più vasto intorno". 

Il 2° progetto classificato, realizzato da Giovanni Calzà (Milano), Emanuele Genuizzi, Giovanni Banal e Matteo Busa, ha il "particolare merito del progetto è quello di concepire il riordino dell'esistente in coincidenza con la valorizzazione della sua dimensione storica, al fine di arricchire la consapevolezza collettiva e qualificare le possibilità d'uso dello spazio urbano". 

Il 3° progetto classificato è stato realizzato dall'architetto cileno Cristian Undurraga, progettista del Padiglione del Cile a Expo, insieme a Laura Signorelli, Stefano Rolla, Michele Zambetti e Leonardo Valdes Silva. 

Il 4° progetto classificato è stato realizzato da Fernando Cesar Mosca (Argentina), Juan Manuel Balsa, Amelia Mariano, Emilia Mitrovic, Ksenia Puzakova e David Sebastian Coffio.

Il progetto 5° classificato è del gruppo guidato da da Massimiliano Roca (capogruppo), Angelo Bianco, Davide Spreafico, Alessandra D'apolito, Francesco De Nigris e Biancamaria Dall'aglio.

6° classificato il progetto del gruppo composto da Pierpaolo Moramarco (capogruppo), Stella Marina Ventrella, Antonella Berardi, Cristiana Lopes, Giacomo Brenna e Matteo Valente.