Il "medico" che memorizza 200 milioni di pagine in 3 secondi
Dal Venerdì del 22 agosto 2014
YORKTOWN (New York). Il dottor Mark Kris ha una parete scrivibile sui cui prende appunti con un pennarello rosso. Ci sono nomi di farmaci, interazioni tra principi attivi che è meglio evitare, riferimenti ad articoli scientifici. Dice «è comoda» (ma com'è arrivato quasi al soffitto?), in verità sembra più che altro bella, una specie di stele di Rosetta muraria, ultimo residuo di fisicità in una professione che si sta sempre più digitalizzando. Nessuno lo sa meglio di lui, dal momento che, da direttore dell'oncologia toracica del Memorial Sloan Kettering di New York, passa la maggior parte del suo tempo a istruire Watson, il supercomputer di Ibm che un giorno affiancherà il lavoro suo e di tanti suoi colleghi. «Gli insegno a interrogare la letteratura scientifica, perché sia sempre aggiornato. A confrontarla con migliaia di casi di tumore al polmone. E quando fa raccomandazioni terapeutiche, gli dico quali funzionano di più. Lui ricorda, impara, e la volta successiva migliora. È un ottimo allievo».
È il minimo che si possa dire di una cosa capace di ingurgitare e digerire duecento milioni di pagine in poco meno di tre secondi. Con la differenza cruciale, rispetto alla celebre battuta di Woody Allen («Ho preso lezioni di lettura veloce e ho letto Guerra e pace in venti minuti. Parlava della Russia»), che Watson ricorda ogni parola, virgole incluse. Questa spaventosa memoria l'ha fatto ben figurare in passato. Il debutto di Watson (dal nome di Thomas, leggendario presidente della International Business Machines a partire dagli anni 20) in società risale al 2011, a quella notte in cui ha stracciato due campioni storici di Jeopardy!, la matrice americana del nostro Lascia o raddoppia, vincendo un milione di dollari. Quattordici anni prima era stato Deep Blue, uscito dagli stessi lombi informatici, a conquistarsi i titoli di giornali per aver battuto a scacchi il campione Garry Kasparov. Diventato a buon diritto una celebrità del piccolo schermo, ora il calcolatore poteva fare sul serio, dedicandosi alla medicina. Dunque spostiamoci di sessanta chilometri a nord di Manhattan, nei boschi della contea di Westchester, in una struttura circolare di tre piani di acciaio e vetro (ogni ufficio ha una finestra che guarda verso le conifere), dove l'Ibm ha uno dei suoi laboratori più importanti. Niente video all'interno: segreti industriali.
L'allampanato Jay Murdock è stato incaricato di spiegarci il contesto: «Nella sfida di Jeopardy! da una parte c'erano dieci file di Power7, i nostri più potenti computer, che consumano circa 27 kw di corrente contro due cervelli umani alimentati da un panino e un bicchier d'acqua a testa, il corrispettivo di un watt, forse». Il finale è noto. Murdock elenca le novità della macchina: «Interagisce in linguaggio naturale. Genera e valuta ipotesi che si basano su prove. Si adatta e impara man mano che si usa». Tanta roba, ma abbastanza da giustificare un investimento da un miliardo di dollari, un nuova spettacolare sede a Union Square e duemilacinquecento persone dedicate al progetto? Loro, ovviamente, ne sono convinti dal momento che «il sovraccarico di informazioni in cui siamo immersi raddoppia ogni 3-5 anni». Nessun essere umano potrà stargli dietro, un supercomputer sì. «Al punto da essere al corrente anche del più arcano studio uscito sino a un minuto prima. Un sapere che, nel caso della salute, può significare la differenza tra la vita e la morte».
Lo stanzino delle dimostrazioni è l'unico senza finestre e servono pass speciali per avervi accesso. La precondizione per un utilizzo di massa di questi assistenti medici informatici si chiama Emr, che sta per Electronic Medical Records. Ovvero la digitalizzazione delle cartelle cliniche e di ogni dato anamnestico. A partire da essi Watson potrà farsi un'idea già compiuta del paziente che si troverà davanti. «Confrontando i dati a sua disposizione con la letteratura, potrà suggerire nuove domande: Tossisce sangue? Ha un udito normale? Condizione, quest'ultima, che può essere effetto collaterale della chemioterapia, ma anche indicatrice di un possibile tumore al cervello. Il computer le segnalerà entrambe, e tutte le altre in ordine di probabilità». L'intelligenza del super-pc è di tipo inferenziale-statistico, ovvero deduce conclusioni generali a partire da campioni. Una volta alimentata di tutti i dati rilevanti, la macchina sfornerà una schermata con due-tre opzioni di trattamento possibile, in un ranking analogo a quello dei risultati di Google. Il piano di cura 1 è quello con l'«intervallo di confidenza», ossia la fiducia nella plausibilità di quelle indicazioni rispetto alla patologia, più alto. A seguire, il piano 2 e 3. Nella scelta si cerca di tenere conto delle preferenze del paziente, presentate in un altro colonnino: se allo stesso risultato si può arrivare senza chemio e per il malato è psicologicamente importante non perdere i capelli, lo si accontenta. Scelta la strada, come in una specie di serissimo videogioco, passi al livello successivo. Qui, selezionando un bottone, il piano viene spedito elettronicamente all'assicurazione per una pre-autorizzazione. «Sembra una cosa da poco, ma è un passo avanti cruciale che può far risparmiare anche mesi rispetto al protocollo attuale, con vari passaggi di carte» fa notare Murdock. Un tempo che, talvolta, risulta fatale.
I vantaggi di efficienza sono evidenti. Al punto da mettere, al confronto, in cattiva luce gli umani. Provo a suggerirlo a Bob Picciano, senior vice president che dirige il dipartimento Big Data di Ibm: «Non la metterei in termini di macchine che sostituiscono gli uomini. La maggior parte dei medici, in media e al netto delle attività di cura, avrà sì e no una quarantina di ore all'anno per studiare. In una società che, ormai, produce 2,5 exabyte al giorno (ovvero 1,25 miliardi di chiavette Usb da 2 giga). Ecco, Watson è un ponte tra la sempre più diffusa condizione di stress informativo e i vari saperi specialistici». Un alleato dell'uomo, giura, non una minaccia. Probabilmente ci crede. Almeno sino a quando non li avremo addestrati così bene che le loro diagnosi saranno indistinguibili da quelle dei medici in carne e ossa, a una frazione del prezzo. E allora, come già succede con Warren, un software che sta cominciando a rimpiazzare gli analisti junior di Borsa nelle raccomandazioni sull'andamento dei titoli, il rapporto costi-benefici giocherà a sfavore di chi ha la memoria meno buona, si alza per fare pipì e pretende addirittura le ferie pagate.
Il dottor Kris, nella sua luminosissima stanzetta allo Sloan Kettering, non ha l'impressione di stare apparecchiando un banchetto di auto-cannibalizzazione. Dice: «Watson, semplicemente, sarà un nostro prezioso assistente. Ci aiuterà a prendere decisioni migliori». Ricorda che, solo nella sua specialità, ci sono negli Stati uniti oltre 150 mila tumori all'anno. Ognuno con una sua peculiarità clinica e di risposta ai farmaci che il computer può estrapolare per ricordarsene in casi comparabili. Mi mostra di nuovo le schermate del programma, stavolta sul suo iPad: «L'applicazione, setacciando le banche dati dei centri medici federali, mi segnala anche se esistono test clinici sulla malattia in questione ai quali il paziente potrebbe partecipare». Il suo vantaggio principale è proprio quello di avere il quadro d'insieme. E una capacità d'attenzione indifferente alla circostanza, comune anche ai luminari, di aver litigato con la moglie magari un'ora prima della visita. In più, con quella rassicurante stolidità informatica, ti obbliga a seguire alla lettera i protocolli. Se salti un passaggio non vai avanti. Atul Gawande, medico superstar che ha scritto Checklist, un bestseller sull'importanza di seguire puntigliosamente le istruzioni, sarebbe ammirato. Insiste Kris: «È uno strumento straordinario per condividere le informazioni. Premendo un solo tasto puoi fare avere la diagnosi, oltre che all'assicurazione, alla farmacia che deve preparare le medicine, azzerando le migliaia di errori dovuti alle inintellegibili grafie dei medici; all'infermiera che dovrà somministrarle; al medico di base; al paziente e ai centri sanitari nazionali, a fini statistico-scientifici».
Che un professionista del suo calibro sia così entusiasta rassicura. Ma non riesco a togliermi dalla testa l'analogia della guida col navigatore, con la sua seduzione irresistibile e al contempo deresponsabilizzante. L'oncologo non mi segue. Rilancia: «I pazienti non vedono l'ora di poter essere visitati con l'aiuto di Watson. Hanno letto della sua memoria assoluta e capito che non spinge verso una decisione anziché un'altra, piuttosto alleggerisce il peso di quelle che il medico deve affrontare». Dovranno aspettare ancora un po'. Né al Msk né a Ibm azzardano date («Il concetto è già stato accettato dalla comunità medica, ma non facciamo previsioni»). Non dicono neppure come pensano di fare soldi da questa costosissima applicazione ma, verosimilmente, medici e ospedali si potranno abbonare al servizio, scaricare una app e consultarlo come fosse una super banca dati. Qualche mese fa l'azienda informatica ha annunciato il Project Lucy che prevede di usare il supercomputer per risolvere alcuni problemi strutturali dell'Africa, tra cui la carenza di medici (in media uno ogni duemila abitanti). Grandi aspettative per una singola macchina. Ars longa, vita brevis avvertiva Ippocrate. Non c'è mai abbastanza tempo per imparare tutto ciò che servirebbe. Oggi, con una letteratura scientifica ipertrofica, è più vero che mai. Da questo punto di vista Watson sarà un grande aiuto. Investi sugli insegnanti e avrai alievi migliori. Rendi la vita facile ai medici e a guadagnarci saranno i pazienti.
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