Il grande bianco di questo lungo inverno caldo ha rimandato i conti dei comprensori sciistici con l'innevamento artificiale. Rimandato ma non cancellato: senza cannoni una stazione non può vivere, nemmeno alle quote più alte, e questi rappresentano il costo più imponente nel bilancio complessivo. E però i metri e metri di neve dei primi mesi dell'anno, pur facendo la felicità degli sciatori mordi e fuggi, hanno permesso di riscoprire una montagna diversa, più antica, senza funi. Le terre alte non più imprigionate dai cavi degli impianti. Utopie? In parte, ma qualcuno ci ha scommesso e ha vinto, è riuscito a vivere prescindendo dallo sci di pista, un inverno - e tanto più una primavera - senza i motori di skilift e seggiovie.
Pian Munè, in valle Po, dominato dalla sagoma triangolare del Monviso, tirava avanti con appena tre impianti che da due anni si sono fermati. La revisione avrebbe avuto costi insostenibili e l'amministrazione non ha voluto saperne. Due ex dipendenti della società, Marta Nicolino e Walter Brossa, hanno ridato un futuro alla stazione: un gatto delle nevi continua a battere la pista, si sale con le pelli di foca o le racchette - i più pigri anche con il gatto - e in alto la Baita Pian Croesio assicura cucina tradizionale e proposte gastronomiche innovative. Nei weekend di sole si arriva a contare un migliaio di presenze: più di quelle che sciavano quando gli impianti erano ancora in funzione.
Un'altra stazione morta, in Piemonte, era L'Aquila di Giaveno. A pochi chilometri da Torino, ha rappresentato la meta di uno sci familiare fino agli anni Ottanta. Poi lo scarso innevamento e i mancati investimenti l'hanno condannata. Ma se i vecchi edifici di partenza e arrivo della seggiovia sono abbandonati, non è stato così per le piste e più su per i pendii nevosi fino ai 2.115 metri di Punta dell'Aquila. Nei fine settimana come nei giorni feriali sono adesso il paradiso di scialpinisti e ciaspolatori, il ristorante alla base funziona come allora e ha affiancato un servizio di noleggio e, quando è freddo a sufficienza, un campo di pattinaggio.
Il turismo dolce della neve non è solo per le stazioni dismesse. I rifugi che fino a pochi anni fa chiudevano i battenti in autunno - lasciando eventualmente, agli scarsi frequentatori
invernali, un bivacco non custodito - oggi grazie a uno sci che fa-da-sé la-
vorano quattro stagioni o quasi. Ancora in Piemonte, il rifugio Jervis in Val Pellice è frequentato la domenica come in estate. I gestori organizzano attività per chiunque, un anello di otto chilometri viene battuto sulla conca del Pra' per i fondisti, sulle cime attorno si arrampica sulle cascate di ghiaccio o si sale con le pelli di foca, i canalini offrono alcuni fra gli itinerari di sci ripido più ambiti delle Alpi occidentali. «E quando è brutto - suggerisce il gestore, la guida alpina Roby Boulard - si scende alla stazione di Prali, poco distante, per una giornata di freeride, e si risale la sera, alla luce delle lampade frontali». Dal Belgio arrivano gruppi organizzati per una settimana bianca del tutto diversa da qualsiasi altra offerta invernale in montagna.
Dall'altra parte d'Italia, il Sudtirolo non da oggi ha scoperto un turismo bianco alternativo. Ma è impressionante il viavai di scialpinisti e ciaspolatori - in questo caso con l'aggiunta degli slittinisti - che salgono in Val di Funes, la patria di Messner, fino alla malga Gampen. Tanto che a Zannes, alla partenza, il parcheggio si paga, 5 euro. E per mangiare gli squisiti piatti altoatesini occorre prenotare. In Trentino la Val di Breguzzo si inoltra nel gruppo dell'Adamello: il rifugio Trivena è un altro porto sicuro per gli appassionati. Buona cucina, l'assistenza delle guide con corsi di freerider e scialpinismo, un sito aggiornato per il meteo e il bollettino delle valanghe e un lungo calendario di serate con musica dal vivo e incontri.
Non ha rifugi il Cornetto di Folgaria, nell'omonima area sci trentina, ma è un altro esempio di pista un tempo servita da un impianto e oggi percorsa come allora: qui lo sport prima di essere discesa è anche il piacere della salita.
Due mete più a sud. Siamo sull'Appennino abruzzese ottimo per chi, da Roma o Napoli, vuole sfruttare le ultime settimane di neve. Nel gruppo del Velino il rifugio Sebastiani, a poca distanza dagli impianti di Campo Felice, è un indirizzo ben noto a chi si annoia sul va-e-vieni delle funi. E ancora il suggestivo rifugio della Rocca, ricavato nel vecchio borgo medievale abbandonato di Rocca Calascio è oggi il punto d'appoggio di numerosi gruppi di scialpinisti che arrivano dal nord Europa, soprattutto tedeschi. Ci ritrovano le atmosfere del film fantasy Ladyhawke, con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer, girato tra le torri che si stagliano, quando c'è, sulla neve.(12 marzo 2014)
Pian Munè, in valle Po, dominato dalla sagoma triangolare del Monviso, tirava avanti con appena tre impianti che da due anni si sono fermati. La revisione avrebbe avuto costi insostenibili e l'amministrazione non ha voluto saperne. Due ex dipendenti della società, Marta Nicolino e Walter Brossa, hanno ridato un futuro alla stazione: un gatto delle nevi continua a battere la pista, si sale con le pelli di foca o le racchette - i più pigri anche con il gatto - e in alto la Baita Pian Croesio assicura cucina tradizionale e proposte gastronomiche innovative. Nei weekend di sole si arriva a contare un migliaio di presenze: più di quelle che sciavano quando gli impianti erano ancora in funzione.
Un'altra stazione morta, in Piemonte, era L'Aquila di Giaveno. A pochi chilometri da Torino, ha rappresentato la meta di uno sci familiare fino agli anni Ottanta. Poi lo scarso innevamento e i mancati investimenti l'hanno condannata. Ma se i vecchi edifici di partenza e arrivo della seggiovia sono abbandonati, non è stato così per le piste e più su per i pendii nevosi fino ai 2.115 metri di Punta dell'Aquila. Nei fine settimana come nei giorni feriali sono adesso il paradiso di scialpinisti e ciaspolatori, il ristorante alla base funziona come allora e ha affiancato un servizio di noleggio e, quando è freddo a sufficienza, un campo di pattinaggio.
Il turismo dolce della neve non è solo per le stazioni dismesse. I rifugi che fino a pochi anni fa chiudevano i battenti in autunno - lasciando eventualmente, agli scarsi frequentatori
invernali, un bivacco non custodito - oggi grazie a uno sci che fa-da-sé la-
vorano quattro stagioni o quasi. Ancora in Piemonte, il rifugio Jervis in Val Pellice è frequentato la domenica come in estate. I gestori organizzano attività per chiunque, un anello di otto chilometri viene battuto sulla conca del Pra' per i fondisti, sulle cime attorno si arrampica sulle cascate di ghiaccio o si sale con le pelli di foca, i canalini offrono alcuni fra gli itinerari di sci ripido più ambiti delle Alpi occidentali. «E quando è brutto - suggerisce il gestore, la guida alpina Roby Boulard - si scende alla stazione di Prali, poco distante, per una giornata di freeride, e si risale la sera, alla luce delle lampade frontali». Dal Belgio arrivano gruppi organizzati per una settimana bianca del tutto diversa da qualsiasi altra offerta invernale in montagna.
Dall'altra parte d'Italia, il Sudtirolo non da oggi ha scoperto un turismo bianco alternativo. Ma è impressionante il viavai di scialpinisti e ciaspolatori - in questo caso con l'aggiunta degli slittinisti - che salgono in Val di Funes, la patria di Messner, fino alla malga Gampen. Tanto che a Zannes, alla partenza, il parcheggio si paga, 5 euro. E per mangiare gli squisiti piatti altoatesini occorre prenotare. In Trentino la Val di Breguzzo si inoltra nel gruppo dell'Adamello: il rifugio Trivena è un altro porto sicuro per gli appassionati. Buona cucina, l'assistenza delle guide con corsi di freerider e scialpinismo, un sito aggiornato per il meteo e il bollettino delle valanghe e un lungo calendario di serate con musica dal vivo e incontri.
Non ha rifugi il Cornetto di Folgaria, nell'omonima area sci trentina, ma è un altro esempio di pista un tempo servita da un impianto e oggi percorsa come allora: qui lo sport prima di essere discesa è anche il piacere della salita.
Due mete più a sud. Siamo sull'Appennino abruzzese ottimo per chi, da Roma o Napoli, vuole sfruttare le ultime settimane di neve. Nel gruppo del Velino il rifugio Sebastiani, a poca distanza dagli impianti di Campo Felice, è un indirizzo ben noto a chi si annoia sul va-e-vieni delle funi. E ancora il suggestivo rifugio della Rocca, ricavato nel vecchio borgo medievale abbandonato di Rocca Calascio è oggi il punto d'appoggio di numerosi gruppi di scialpinisti che arrivano dal nord Europa, soprattutto tedeschi. Ci ritrovano le atmosfere del film fantasy Ladyhawke, con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer, girato tra le torri che si stagliano, quando c'è, sulla neve.(12 marzo 2014)
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