Restrizione calorica cronica: ultime evidenze scientifiche - vivereinforma
Iniziamo col dire che nel corso dell'evoluzione, l'Uomo, e più in generale i mammiferi, per fronteggiare periodi di carestia, o comunque di forte restrizione calorica, hanno sviluppato la capacità di indurre modificazioni fisiologiche in grado di aumentare l'efficenza di utilizzo delle risorse energetiche (2). Questa capacità è stata ben documentata in diversi studi, sia animali che su umani (3), e può essere considerata come un vero e proprio adattamento atto a fronteggiare un deficit dell'introito calorico, e permetterci la sopravvivenza. Come potete ben immaginare, l'utilità di questo adattamento in periodi dove non esistevano frigoriferi e supermercati fu talmente elevata che l'organismo decise di mantenerla, almeno parzialmente, anche quando si aveva nuovamente possibilità di alimentarsi, e il peso tornava a salire (4). Si notò sia su animali (5), che su uomini (6) che l'aumento di peso non era dovuto ad aumento omogeneo del volume di tutti i tessuti, ma preferenzialmente e prevalentemente del tessuto adiposo. Questo fenomeno si ipotizzò fosse dovuto ad un meccanismo che venne definito "adaptive thermogenesis" atto a minimizzare le perdite di tessuto adiposo attraverso una complessa e , ad oggi, poco nota serie di eventi orchestrata dal sistema nervoso simpatico (7). Si vide inoltre che, il periodo di aumento di peso, ovvero quando si tornava ad avere disponibilità di cibo, era associato ad uno stato di iper-insulemia e ad un aumento del rischio di sviluppare quel quadro che oggi definiremmo sindrome metabolica. (8, 9).
Grazie a studi condotti su modelli murini si ipotizzò questo fenomeno fosse non solo dovuto alla soppressione della termogenesi (10) ma anche a delle modificazioni del metabolismo muscolare. In vivo, infatti, si mostrò che durante i periodi di refeeding l'uptake del glucosio era aumentato nel tessuto adiposo bianco ma ridotto nel tessuto muscolare scheletrico, suggerendo la possibilità della presenza di zone preferenziali di accumulo dell'energia introdotta tramite meccanismi quali la "de novo lipogenesis" e forse, anche dell' insulino resistenza (11). Misurazioni nella zona subsarcolemmale della popolazione mitocondriale, e delle capacità ossidative, suggeriscono che durante la restrizione calorica cronica si verifichi una diminuzione del massa mitocondriale e della loro capacità ossidativa, che rimane bassa anche dopo il refeeding (12). Le concentrazioni ematiche dell'ormone tiroideo, nella forma più bioattiva, ovvero, la tri-iodiotironina (T3) —che ha come bersaglio principale il muscolo scheletrico- diminuisce durante la restrizione calorica e rimangono basse anche durante i periodi di refeed.(13) Inoltre che la restrizione calorica protratta rallenta la cinetica dei meccanismi di contrazione-rilassamento nella fibra muscolare, e permane durante i periodi di aumento dell'introito calorico (15). Ed infatti pazienti a cui viene diagnostica una situazione clinica di malnutrizione mostrano maggiori tempi di contrazione-rilassamento (17). Questi cambiamenti sono riproducibili sia nell'uomo (18) che nel topo (19), semplicemente riducendo l'introito calorico.
Fatte queste premesse, entriamo nel vivo dello lavoro…
In questo studio si utilizzò un modello murino che prevedeva due gruppi. Un gruppo ci controllo (CG) che rimaneva in isocaloricità e un gruppo sottoposto ad un periodo di semistarvation (SS) di due settimane in cui veniva ridotto del 50% l'introito calorico sul loro spontaneo introito calorico. Seguiva poi un periodo di refeeding di una settimana. Dopo una settimana di refeed che consisteva in una quantità di cibo pari a quello ingerito dal CG, il gruppo SS mostrava simili quantità di massa muscolare ma una massa grassa ben due volte maggiore rispetto al CG! Si spiegò questa alterazione nella composizione corporea come una conseguenza della riduzione del 10-13% nella spesa energetica, dovuta alla soppressione della termogenesi.
Si vide inoltre che le proprietà contrattili dei muscoli della zampa posteriore venivano alterate non solo alla fine della seconda settimana di restrizione calorica ma permanevano anche dopo una settimana di refeeding. Queste modificazioni funzionali erano inoltre correlate con una transizione del tipo di fibre, che transdifferenziavano dall'isoforma veloce a quella lenta. E questo in termini energetici è vantaggioso, in quanto ci sono evidenze che mostrano come le fibre slow-twitch utilizzano meno ATP per unità, rispetto alle fat-twitch, durante una tensione isometrica (16). In realtà però non sappiamo quanto questo contribuisca nell'aumento dei tempi di contrazione-rilassamento. Non vennero inoltre riscontrati cambiamenti morfologici nelle fibre muscolari, nelle dimensioni muscolari, nelle attività della citocromo C ossidasi, lattato deidrogenasi, e succitato deidrogenasi.
Attraverso anticorpi specifici per l'isoforma I (MyHC) si vide un aumento della proporzioni delle fibre di tipo I (+13,4%) che persisteva nei topi refeed. L'aumento delle fibre di tipo I avvenne non solo a spesa delle fibre IIA , ma anche delle fibre IIB, e di quelle complessivamente meno rappresentate, le IIX. Nel gastrocnemio dei topi SS, il rapporto tra fibre di tipo I/IIA era moderatamente aumentato ( +51%) ma il rapporto I/IIB era più che raddoppiato (+127%) e rimase del 78% più alto anche quando questi venero sottoposti a refeed.
Si mostrarono inoltre modificazioni nell'espressione di fattori di trascrizioni codificanti per le fibre muscolari lente, come la calcineurina, che aumentò del (+26%) i peroxisome proliferator-activated receptor gamma coactivator 1-α (PGC1-α) che diminuirono del (-16%) e del forkhead box protein O1 (FoxO1) che aumentò più del doppio (+141%). Tuttavia dopo il refeed solo i livelli di FoxO1 rimasero elevati (+60%) se confrontati con il CG.
Sul piano ormonale la velocità di sintesi di T3 muscolare nei topi SS era del 18% inferiore, se confrontata con i valori riscontrati nel CG. La neogenesi del T3 è regolata a partire dalla deiodinazione del T4 ad opera di particolari enzimi, le deiodinasi (DIO1 o/e DIO2) e la degradazione dello stesso avviene ad opera di un'altra isoforma la DIO3, che rende il T3 inattivo.
Andando ad analizzare l'espressioni di questi tre enzimi nel gastrocnemio si vide che DIO1 e DIO3 erano più abbondanti, (rispettivamente +38% e +71%) mentre DIO2 era meno abbondante (-16%) dopo la restrizione calorica. Queste modifiche persistettero anche dopo il refeeding, e ciò comportò la modificazioni dei rapporti nelle concentrazione di questi enzimi chiave. Il rapporto DIO1/DIO3 non venne fortemente influenzato mentre il rapporto DIO2/DIO3 subì una diminuzione di circa il 48%, comportando una riduzione nella neogenesi della forma attiva ,T3 a livello intracellulare locale.
Sui polli si vide (20) che sottoporli a periodi di starvation triplicava i livelli epatici di DIO3 di in una finestra temporale di sole 24h, e ciò si rifletteva sulla una diminuzione nei livelli plasmatici di T3. La riduzione della concentrazione dell'ormone T3 venne inoltre ipotizzata come possibile spiegazione per l'aumento dei tempi di contrazione-rilassamento muscolari.
Conclusioni
Ritengo questo studio vada ad aggiungere prove e buoni motivi per non ridurre drasticamente l'introito calorico per lunghi periodi e per evitare di quelle che definisco "diete lampo", dove si promettono grandi perdite di peso in poco tempo. Oltre alle evidenze dei danni psicologici, ben documentati in letteratura (21), abbiamo ora evidenze della possibilità di indurre modificazioni ormonali e metaboliche svantaggiose se il nostro obbiettivo è non riguadagnare con gli interessi quel peso sul lungo termine. Per darvi dei numeri di riferimento, vi sconsiglio di seguire approcci che vi promettano perdite settimanali di peso maggiori allo 0,5-1% del vostro attuale peso corporeo. Infine il banale, ma sempre valido, consiglio di affidarvi a persone competenti e qualificate.
1. De Andrade PB et al. 2015
2. Keys et. al , 1950,
3. Kelsey and Powley, 2008
4. Boyle et al. 1978: Harris and Martin, 1984; Hill et al, 1984
5. Dulloo and Girardier, 1990; MacLean et al,. 2004; Evans et al., 2005
6. Dulloo and Jacquet, 1998; Weyer et al,. 2009
7. Dulloo and Jacquet, 2001
8. Crescenzo et al., 2003; Dulloo et al., 2006
9. Dulloo and Jacquet, 2001
10. Dulloo and Girardier, 1990; Crescenzo et al., 2003
11. Cettour-Rose et al., 2005
12. Crescenzo et al., 2006
13. Mainieri et al., 2006; Summermatter et al., 2008., Lambert et al., 1951; Wiles et al., 1979; Johansson et al., 2003
14. Russell et al., 1983a,b, 1984a; Chan et al., 1986; Lewis et al., 1986; Pichard and Jeejeebhoy, 1988; Sieck et al., 1989; Nishio and Jeejeebhoy, 1991; Mijan de la Torre et al., 1993; Bissonnette et al., 1997
15. Dulloo and Girardier, 1990; Crescenzo et al., 2003, 2006; Cettour-Rose et al., 2005; Mainieri et al., 2006; Summermatter et al., 2008
16. Wendt and Gibbs, 1973; Crow and Kushmerick, 1982; Henriksson, 1990
17. Lopes et al., 1982; Russell et al., 1983b; Chan et al., 1986; Pichard and Jeejeebhoy, 1988; Nishio and Jeejeebhoy, 1991
18. Russell et al., 1983a
19. Russell et al., 1984a 20. Dulloo and Girardier, 1990; Crescenzo et al., 2003 21. Minnesota Starvation Experiment
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