25.8.16

Tutti i segreti del Deep Web - Repubblica.it

Tutti i segreti del Deep Web - Repubblica.it

Tutti i segreti del Deep Web

"QUESTO MESSAGGIO è un avviso ai proprietari e ai frequentatori di Lolita City, Hidden Wiki e Freedom Hosting. È venuto alla nostra attenzione che voi vi sentite sicuri nel Dark Web. Che vi credete liberi di creare, distribuire e consumare pornografia infantile. Voi siete convinti che questo comportamento sia libertà di pensiero. Vi sbagliate. Voi approfittate di bambini innocenti e se continuerete a farlo riveleremo in Rete quante più possibili informazioni personali riusciremo ad avere di ognuno di voi. Noi siamo Anonymous. Noi siamo Legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo". Detto fatto: nel 2011 gli hacker di Anonymous assaltano una serie di siti pedofili nel Dark Web e divulgano informazioni sensibili sui 1589 utenti di Lolita City, luogo infame considerato una sorta di "paradiso dei pedofili".

Il cosiddetto Deep Web, l'Internet nascosto considerato il luogo di ogni orrore, però non è solo questo. Sono sempre di più infatti le Ong, i dissidenti e i blogger che hanno individuato proprio nel Deep Web un nuovo luogo dove incontrarsi, scambiarsi dati e informazioni, o sostenere una "giusta causa" usando il Bitcoin come moneta. Nel Deep Web sono stati clonati i documenti di Wikileaks sulle atrocità della guerra in Iraq e Afghanistan, e sempre qui i whistleblowers, le "talpe" che denunciano governi e funzionari corrotti, proteggono le loro rivelazioni.

E dunque, che cos'è il Deep Web? Detto anche Invisible Web, è la parte non indicizzata dai motori di ricerca. Una parte fatta di pagine web dinamiche, non linkate, generate su richiesta e ad accesso riservato, dove si entra solo con un login e una password: come la webmail. Questo accade perché i motori di ricerca funzionano con i crawler, i raccoglitori di link. Li categorizzano, li indicizzano, e li restituiscono in pagine ordinate quando digitiamo una parola sul motore preferito. Ma se i link non ci sono, non possono farlo. Un altro motivo per cui non riescono a trovarle potrebbe essere perché quelle pagine sono inibite ai motori di ricerca con il comando norobots. txt .

Ma il Deep Web non è solo questo. È anche il mondo dei database scientifici e dei siti che cambiano continuamente indirizzo, delle Vpn, le reti private virtuali che connettono direttamente il tuo computer a un altro: se usi un software di anonimizzazione che cifra i contenuti dei tuoi scambi con la crittografia, nessuno (o quasi) ti può trovare lì dentro.

Per enfatizzarne il carattere rischioso e illegale in passato il Deep Web è stato spesso confuso col Dark Web, ovvero con l'insieme di pagine e servizi web intenzionalmente nascosti a cui si accede con indirizzi impossibili da ricordare o con software di anonimizzazione come Tor, che consente l'accesso ai siti . onion e altri hidden services. In sostanza è esso stesso una porzione del Deep Web. Arturo Filastò, venticinquenne ideatore di Ooni, uno strumento nato all'interno del progetto Tor per misurare la censura nel mondo, spiega con due esempi italiani perché il Deep può non essere Dark: "Globaleaks, (la piattaforma italiana di whistleblowing, lontana parente di Wikileaks, ndr) non esisterebbe senza Tor. E anche Mafialeaks, una piattaforma di denuncia sulla mafia, non sarebbe mai nata".

Non si conoscono le esatte dimensioni del Deep Web. Secondo la società di analisi dati Bright Planet sarebbe circa 500 volte più grande del web di superficie, ma per il direttore dell'Istituto di informatica e telematica del Cnr di Pisa, Domenico Laforenza, "non esistono attualmente metriche e tecnologie per misurarlo ". Per immaginare come è fatto pensiamo a un iceberg. Sopra la superficie del mare c'è la parte più piccola, il web accessibile a tutti, quello che cerchiamo con Bing e Google. E sotto la superficie c'è il Deep Web, molto più esteso, a cui non si arriva coi motori di ricerca. Non è veramente invisibile, è solo difficile da vedere. In realtà, come ci ricorda Igor Wolfango Schiaroli nel libro Dark Web & Bitcoin (Lantana editore, 2013), sarebbe più corretto paragonarlo al pianeta Solaris descritto da Stanislaw Lem, "un oceano in continuo mutamento".

Nel Deep Web ci sono siti che offrono file illegali, ma anche pagine di istituzioni scientifiche, database di organizzazioni internazionali e biblioteche universitarie. Come ci si arriva? Con un link mandato via email o con motori di ricerca a pagamento. Leo Reitano, giornalista esperto di investigazioni digitali, spiega: "Motori di ricerca specializzati come Silobreaker o il portale CompletePlanet ci conducono all'esplorazione di enormi database del Deep Web e con specifiche parole chiave ci consentono di fare ricerche su materiali selezionati e provenienti da fonti attendibili e qualificate. Tutto perfettamente legale". Esempi? Deepwebtech. com consente di fare ricerca su business, medicina e scienza; theeuropeanlibrary. org su ingegneria, matematica e informatica.

In molti paesi dove la censura e l'autoritarismo imbavagliano le aspirazioni della democrazia fra pari, il Deep Web sta diventando sempre più una risorsa e una speranza. La nuova frontiera della cultura, dell'arte, della creatività e della religione, quando salire in superficie può portare al carcere, alle torture, alla morte. È nel Deep Web che i fan dell'artista cinese Ai Wei Wei organizzano i loro incontri. È attraverso il Deep Web (e Tor) che gli oppositori siriani del regime di Assad comunicano al mondo e Amnesty International ha potuto raccogliere le fotografie delle torture e dei maltrattamenti della guerra in corso. Frank La Rue, inviato speciale dell'Onu per la libertà d'espressione, ha chiarito davanti all'assemblea delle Nazioni Unite che "l'anonimato e la comunicazione sicura sono cruciali per una società aperta e democratica". Il confine tra il legale e l'illegale, tra la paura e la speranza, non è mai stato così sottile.

La Vitamina D , in breve quello che dobbiamo sapere | Project inVictus

La Vitamina D , in breve quello che dobbiamo sapere | Project inVictus

La Vitamina D , in breve quello che dobbiamo sapere

Oggi sulla vitamina D si legge di tutto e di più, l'integrazione è realmente utile? Un articolo breve che racchiude tutto quello che dobbiamo sapere e cosa fare per scoprire se realmente siamo carenti.

vitamina D
Articolo del Dott Angelo Fassio

C'è un piccolo paradosso che mi ha sempre colpito nell'ambito del grande e nebuloso capitolo degli "integratori vitaminici" nel mondo del fitness (e non solo). Praticamente ogni rivista possibile, da Donna Moderna a Super-Pump-Mega-Muscle-Boost, ed ogni blogger- guru che si rispetti si lancia in accorati elogi sugli effetti benefici di decine di diverse vitamine. Attorno a tutto questo gravita poi un folkloristico e vivacissimo mercato di integratori (i quali vanno quasi sempre supplire un deficit che non esiste).
Polemiche gratuite a parte c'è in realtà una vitamina, fondamentale, che è davvero potenzialmente carente in ciascuno di noi: la Vitamina D.
La vitamina D viene prodotta a partire dal colesterolo (7-deidrocolestorolo o previtamina D3) e, grazie all'esposizione alla luce solare, viene convertita a livello della cute in vitamina D3 (colecalciferolo, la forma liposolubile "di deposito"). In seguito l'idrossilazione in posizione 25 e 1 da parte del fegato e dei reni (quest'ultimo passaggio è indotto dall'azione del paratormone a livello del rene), porta alla formazione della molecola attiva dal punto di vista ormonale: 1,25 OH2 Vitamina D.

A cosa serve
Tradizionalmente, la vitamina D è associata al benessere dell'osso. Essa favorisce non solo l'assorbimento intestinale di calcio, ma modula inoltre l'omeostasi del tessuto osseo stesso. Livelli di vitamina D sierica bassi (indicativamente inferiori ai 30 ng/mL) determinano un'elevazione secondaria del paratormone avente lo scopo di mantenere l'omeostasi ematica del fosforo e del calcio (che per la fisiologia umana ha l'assoluta priorità). Ne risulta quindi un'aumentata mobilizzazione di calcio dall'osso e di conseguenza un'aumentata fragilità ossea. Questa serie di eventi è potenzialmente in grado, ad esempio, di aumentare in un atleta il rischio di fratture da stress.
È tuttavia noto ormai da tempo che la vitamina D è fondamentale anche per molti altri aspetti.

Il tessuto muscolare
L'1,25 OH2 VitD stimola la produzione di proteine muscolari. Non solo: essa è in grado attivare alcuni meccanismi essenziali per la contrazione muscolare. La carenza di vitamina D, soprattutto se protratta nel tempo, può portare a quadri di vera e propria disabilità. Il corrispettivo istologico è costituito da un'atrofia delle fibre muscolari di tipo II, con un aumento degli spazi tra le fibrille muscolari e la sostituzione del tessuto muscolare con cellule adipose e tessuto fibroso. Questi effetti sono tuttavia reversibili se la carenza viene corretta tramite un'adeguata supplementazione.

Gli effetti extra-scheletrici
La presenza di recettori per la vitamina D è stata dimostrata in diversi altri tipi cellulari, tra cui i macrofagi, i cheratinociti ed a livello delle cellule di prostata, colon e mammella. Questi meccanismi sembrerebbero fortemente implicati nella regolazione della proliferazione cellulare, potenzialmente giocando un ruolo protettivo nei confronti di diverse patologie (psoriasi, neoplasie in particolare di prostata, colon, mammella).
Altri effetti documentati riguardano la modulazione del sistema immunitario, con particolare riguardo nei confronti delle patologie autoimmuni, infettive, cardiovascolari, respiratorie, neurologiche, ecc.
Una piccola chicca: probabilmente ricorderete come in passato i malati di TBC venissero portati nei cosiddetti "sanatori", ovvero stabilimenti in località generalmente abbastanza isolate. Questo aveva un duplice scopo: sia isolare, per quanto possibile, gli infetti sia favorirne la guarigione attraverso l'esposizione "all'aria buona". In realtà non era l'aria di montagna a determinare questo favorevole effetto, ma proprio l'aumentata esposizione alla luce solare (veniva aumentata la sintesi di vitamina D che a sua volta induceva la produzione da parte del sistema immunitario di una molecola, la catelicidina, estremamente efficace contro il M. Tubercolosis).

La Vitamina D e le performance atletiche
Il collegamento tra vitamina D e performance è noto da molti decenni. La variabilità stagionale delle performance atletiche fu riportata sin dal 1950, con un picco di performance riportato durante l'estate inoltrata, ed un nadir delle stesse durante l'inverno. A quanto pare sarebbe inoltre dimostrabile una correlazione diretta tra le variazioni stagionali di performance atletica e le fluttuazioni stagionali di Vitamina D. Addirittura, l'esposizione ad UVB è stata a lungo ritenuta aumentare le performance atletiche: già nel 1938 alcuni ricercatori russi rilevarono un aumento delle performance negli atleti irradiati (100 metri piani). Se siete interessati, nella bibliografia troverete tutta una serie di riferimenti a studi in merito.

Chi è potenzialmente carente di vitamina D?
In Italia la prevalenza di ipovitaminosi D è molto più pesante di quello che si potrebbe immaginare. Uno studio risalente al 2003 ha dimostrato che quasi il 90% delle donne italiane sopra i 70 anni mostra livelli bassissimi di vitamina D.
E per quanto riguarda il giovane sano? Uno studio del 2009 ha messo in luce come circa il 65 % dei soggetti sani dimostri un'ipovitaminosi D. Particolarmente a rischio è inoltre chi presenta una carnagione scura (e quindi più "resistente" all'attivazione da parte degli UVB).

Dove troviamo la vitamina D?
I principali determinanti dei livelli di vitamina D sono due: l'esposizione solare e l'apporto dietetico.
L'esposizione solare era una volta una necessità difficilmente eludibile. Oggi le nostre abitudini di vita sono cambiate, la vita all'aria aperta è più un aspetto voluttuario che una necessità, ed è gradito (o possibile) solo ad una parte della popolazione, anche giovane (pensate agli studenti rinchiusi in casa per le sessioni estive). Inoltre il sole che più attiva la vitamina D è quello che il dermatologo caldamente consiglia di evitare: a spanne quello dalle 12.00 alle 15.00 da maggio a settembre. E, come se non bastasse, siamo perennemente ricoperti di crema protettiva (che d'estate, è ad esempio il mio personale salvavita).

La vitamina D è inoltre presente nei cibi in limitate quantità. La maggiore fonte è costituita dai grassi animali contenuti soprattutto nei pesci grassi (ad esempio il salmone) e nei latticini. Negli USA e nel Nord Europa tale problema viene in parte ovviato dall'addizione di vitamina D nei prodotti lattiero-caseari. Ciò non avviene invece in Italia.

vitamina-d
Come affrontare il problema?
In realtà oggigiorno non c'è alcuna necessità di mangiare tonnellate di salmone o abbrustolirsi vivi sotto il sole cocente per garantirsi dei livelli ottimali di vitamina D. Sono disponibili dei supplementi, sotto ricetta medica, in grado di compensare eventuali carenze. Il rischio di tossicità dovuta al sovradosaggio è assolutamente remoto per il fatto che viene somministrato il pre-ormone liposolubile (ovvero la vitamina D3, forma non idrossilata), il quale viene immagazzinato nel tessuto adiposo ed attivato dall'organismo in base alle necessità dello stesso. Questi presidi sono in ogni caso da considerarsi dei farmaci, per cui il fai-da-te è sconsigliabile: non tutte le "vitamine D" sono uguali. Senza dilungarsi troppo in considerazioni farmacologiche, va sottolineato come in commercio si trovino varie forme: da una parte abbiamo i precursori ormonali (che trovano appunto indicazione nella supplementazione in soggetti ipovitaminosici), dall'altra troviamo il vero e proprio ormone attivo (1,25 OH2 vitamina D), il quale rappresenta invece un farmaco molto delicato, non indicato per la correzione dell'ipovitaminosi bensì per supplire ad un deficit di attivazione (ad esempio nel caso di un'insufficienza renale cronica), e da assumere sotto stretto monitoraggio medico.
Attualmente, nei vari consensus internazionali, non c'è un vero accordo sul razionale di una misurazione a tappeto dei livelli di 25 OH VitD nel sangue. Tuttavia si tratta di un dosaggio banale (e del costo di pochi euro). Un ragionevole punto di partenza potrebbe essere, ad esempio, chiedere al vostro Medico di Medicina Generale di aggiungere anche il dosaggio della 25 OH Vitamina D al prossimo controllo degli ematochimici che vi capiterà di fare. Se doveste risultare carenti, egli saprà senz'altro indicarvi la strategia migliore per ottimizzarne i livelli (un intervento davvero banale).

Supplementazione di vitamina D

Il fabbisogno di vitamina D varia da 1.500 UI/die (adulti sani) a 2.300 UI/die (anziani con basso apporto di calcio nella dieta). In Italia l'alimentazione fornisce mediamente 300UI/die. Quando l'esposizione al sole è carente o assente si consiglia (linee guida) d'integrare 1.200-2000 UI/die.

Non essere schiavo delle diete e diventa padrone dei concetti. Scopri il nostro libro Project Nutrition.

Project Nutrition

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

  • Adami S, Romagnoli E, Carnevale V, Scillitani A, Giusti A, Rossini M, Gatti D, Nuti R, Minisola S. Guidelines on prevention and treatment of vitamin D deficiency. Reumatismo. 2011 Nov 9;63(3):129-47. doi: 10.4081/reumatismo.2011.129.
  • Maggio D, Cherubini A, Lauretani F, Russo RC, Bartali B, Pierandrei M, et al. 25(OH) D serum levels decline with age earlier in women than in men and less efficiently prevent compensatory hyperparathyroidism in older adults. J Gerontol A Biol Sci Med Sci 2005; 60: 1414-9.
  • Adami S, Bertoldo F, Braga V, Fracassi E, Gatti D, Gandolini G, et al. 25-hydroxy vitamin D levels in healthy premenopausal women: association with bone turnover markers and bone mineral density. Bone 2009; 45: 423-6.
  • Bartoszewska M, Kamboj M, Patel DR. Vitamin D, muscle function, and exercise performance. Pediatr Clin North Am. 2010;57(3):849-861.
  • Birge SJ, Haddad JG. 25-hydroxycholecalciferol stimulation of muscle metabolism. J Clin Invest. 1975;56(5):1100-1107.
  • Cannell JJ, Hollis BW, Sorenson MB, Taft TN, Anderson JJ. Athletic performance and vitamin D. Med Sci Sports Exerc. 2009;41(5):1102-1110.
  • Ceglia L. Vitamin D and its role in skeletal muscle. Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 2009;12(6):628-633.
  • Constantini NW, Arieli R, Chodick G, Dubnov-Raz G. High prevalence of vitamin D insufficiency in athletes and dancers. Clin J Sport Med. 2010;20(5):368-371.
  • Foo LH, Zhang Q, Zhu K, et al. Low vitamin D status has an adverse influence on bone mass, bone turnover, and muscle strength in Chinese adolescent girls. J Nutr. 2009;139(5):1002-1007.
  • Hettinger T, Muller EA. Seasonal course of trainability of musculature [in German]. Int Z Angew Physiol. 1956;16(2):90-94.
  • Holick MF. Sunlight and vitamin D for bone health and prevention of autoimmune diseases, cancers, and cardiovascular disease. Am J Clin Nutr. 2004;80(suppl 6):1678S-1688S.
  • Koch H, Raschka C. Circannual period of physical performance analysed by means of standard cosinor analysis: a case report. Rom J Physiol. 2000;37(1-4):51-58.
  • Lappe J, Cullen D, Haynatzki G, Recker R, Ahlf R, Thompson K. Calcium and vitamin D supplementation decreases incidence of stress fractures in female navy recruits.J BoneMinerRes. 2008;23(5):741-749.

Note sull'autore
Angelo Fassio: atleta della Domenica e Medico in formazione specialistica (Reumatologia e Malattie del Metabolismo Osseo).

12.8.16

Foto digitali, come evitare di perdere le "jpg" dei ricordi

L'IMMAGINE si è corrotta, quel frammento di memoria digitale è svanita per sempre. Un problema che torna attuale in molti dei commenti riportati su Facebook in questo periodo vacanziero e pure in alcune mail arrivate dai lettori alla redazione. "Ho copiato le foto delle vacanze e dei miei figli per anni da un hard disk all'altro, per conservarle. Ma ora ho visto che alcune di loro sono illeggibili", scrivono alcuni lettori. "E' vera la storia secondo cui le immagini jpeg perdono qualità a ogni copia?", chiede un altro utente.

I miti sulla perdita di qualità delle foto.

 "E' facile rispondere che no, è solo un mito. La semplice copia non produce perdita di qualità", dice 

Antonio Cisternino

, docente presso il dipartimento di informatica dell'Università di Pisa (di cui ha contribuito a fondare l'IT Center). Così, nemmeno aprire più volte un file jpeg ne fa perdere qualità: altro mito: come se l'immagine digitale si consumasse a ogni utilizzo alla stregua di una analogica. "Invece c'è una perdita ogni volta che si effettua una ricompressione": Il jpg è infatti un formato compresso, ossia fa risparmiare spazio a scapito della quantità di informazioni presenti; un po' come gli mp3 per la musica). Per esempio, se prendiamo un file jpg/jpeg, lo modifichiamo e lo salviamo di nuovo come jpeg abbiamo perso qualità. Ecco perché i fotografi modificano le foto dal formato non compresso. "Il formato png, meno efficace nella compressione di immagini fotografiche, comprime senza perdita di informazione, un po' come uno ZIP", aggiunge Cisternino.

I veri rischi.

 Eppure, come dimostra l'esperienza del lettore, è davvero possibile perdere le foto a cui teniamo tanto. Nonostante i nostri tentativi di metterli a sicuro copiandoli. Può succedere per due motivi: "Il processo di copia ha avuto alcuni errori (piuttosto raro con sistemi operativi recenti), oppure l'hard disk di destinazione ha avuto problemi successivi (di file system o hardware)", spiega Cisternino. Come è possibile prevenire e curare questi problemi? Bene saperlo, in vista delle miriadi di foto che accumuleremo durante le vacanze di cui la stragrande maggioranza - o tutte -  terremo solo in digitale, senza stamparle. E' importante quindi prendercene cura nel modo migliore.


Copie sicure delle nostre fotografie. 

La prima regola è avere sempre (almeno) due copie dei file importanti, in posti diversi. Per esempio su un hard disk esterno (non usare quello di sistema o una sua partizione) e nel cloud. Ormai è possibile avere decine di GB gratuiti in cloud mettendo assieme i servizi di diversi gestori (Flickr, Google Drive, Amazon Prime Photos ecc., tra i più generosi). Se abbiamo tantissime foto, potremmo copiarne su cloud (oltre che su hard disk) le più importanti e le altre tenerne in doppia copia su un ulteriore supporto personale. Il lettore ha fatto l'errore di copiare le foto solo da un hard disk all'altro.

 Se non ci fidiamo del controllo operato dal sistema sulla copia (il checksum) possiamo usare strumenti di terze parti che verificano l'hash dei file. "E' probabilmente però una precauzione eccessiva per l'utente: spesso può essere sufficiente cambiare la visualizzazione dei file in modo da vedere l'anteprima al termine della copia e controllare visivamente se vi sono immagini danneggiate", spiega Cisternino. Avere un gruppo di continuità è invece utile per tutti: protegge il computer e i suoi hard disk dagli sbalzi di tensione.


E se le foto sono ormai perdute?

Se il danno, alle nostre foto e ai nostri ricordi, è ormai fatto, resta ancora una speranza. Un tentativo da fare subito è un checkdisk su Windows, Disk Utility (S.o.s.) su Mac. Possiamo farlo cliccando con il tasto destro del mouse (o mousepad) sul nome dell'unità da controllare, poi su Proprietà, Strumenti, Controlla errori (su Windows 10 le unità sono sotto Esplora risorse). "E' possibile anche usare strumenti come il recupero di versioni precedenti di un file su Windows (avendo cura, prima della copia, di verificare l'abilitazione della funzione Cronologia file dal pannello di controllo o dalle impostazioni di Windows 10). Oppure su Mac con Time Machine", dice Cisternino. Alcuni preferiscono 

eseguire la scansione da riga di comando

. E' poi possibile provare a riparare il singolo file/foto corrotto. Ci sono programmi per farlo gratuiti e a pagamento, come Stellar Phoenix (per pc e Mac). Un'alternativa è provare a convertire il file jpeg in png, con programmi come Irfanview o Imagemagic. I jpeg si corrompono facilmente perché, essendo formato compresso, basta che si alterino pochi byte (durante la copia ad esempio) perché il file diventi illeggibile. Cambiare formato può essere d'aiuto.


Perdere le immagini nella rete.

"Infine, non bisogna scordarsi che quando pubblichiamo le foto su social network, come ad esempio Facebook, senza accorgerci ne consentiamo il diritto d'uso spesso illimitato all'operatore del servizio", avvisa Cisternino. "In questo caso non perdiamo né la foto, né la sua qualità, ma il diritto di decidere come può essere utilizzata.

Foto digitali, come evitare di perdere le "jpg" dei ricordi - Repubblica.it
http://www.repubblica.it/tecnologia/sicurezza/2016/08/11/news/le_foto_digitali_possono_svanire_come_evitare_di_perdere_le_jpeg_-145429537/



-----------------------------------------
SAVE PAPER - THINK BEFORE YOU PRINT!

This E-mail is confidential. 

It may also be legally privileged. If you are not the addressee you may not copy,
forward, disclose or use any part of it. If you have received this message in error,
please delete it and all copies from your system and notify the sender immediately by
return E-mail.

Internet communications cannot be guaranteed to be timely secure, error or virus-free.
The sender does not accept liability for any errors or omissions.

Paesaggi e memorie da brivido. Il fascino delle 52 gallerie del Pasubio - Repubblica.it

Paesaggi e memorie da brivido. Il fascino delle 52 gallerie del Pasubio - Repubblica.it

Paesaggi e memorie da brivido. Il fascino delle 52 gallerie del Pasubio

Paesaggi e memorie da brivido. Il fascino delle 52 gallerie del Pasubio
L'auto la si può lasciare esattamente all'inizio del cammino. Il parcheggio a pagamento affianca la parete con la scritta "Strada delle 52 Gallerie" ed è il più comodo punto di partenza, purché abbiate 6 euro (tanto è il costo del ticket giornaliero) in moneta. Non c'è alternativa, il parchimetro non accetta banconote da nessun taglio quindi, se vi accorgete di non avere spicci, potete cambiare i soldi in uno dei due bar lungo la strada a tornanti che conduce all'inizio del percorso: dal bancone non vi accoglieranno con entusiasmo, ma, soldi alla mano, non avrete bisogno di aggiungere altro. La "Strada della prima armata" o "delle 52 Gallerie" abbraccia il massiccio del Pasubio, nelle Prealpi venete, e sale da Bocchetta Campiglia (1216 mt) fino a Porte del Pasubio (1928 mt). Non è una mulattiera militare qualunque, è il frutto di un'opera ingegneristica che il capitano Corrado Picone, comandante dei minatori che nel marzo 1917 furono chiamati a costruire quella strada, definì: "impresa di giganti, che nessun'altra opera eguaglia su tutta la fronte europea". Un percorso di quasi 6300 metri di lunghezza, 2300 dei quali distribuiti in 52 gallerie, realizzato durante la Grande Guerra su quello che era il versante più esposto alle artiglierie austro-ungariche e che oggi è un tratto di montagna battuto da appassionati escursionisti.

Camminare, quindi, per tre ore su questa strada a cuor leggero è impossibile. Per due ragioni lontane tra di loro, ma entrambe molto forti: la prima, appunto, è che ce lo impedisce il pensiero dei quasi 4500 morti su questo pezzo di montagna. La seconda ragione la troviamo scritta su un cartello posto proprio all'inizio del sentiero: "per escursionisti esperti". Due anni fa, drivingexperiences.com, basandosi sull'ultimo rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sulla sicurezza stradale, aveva inserito le 52 gallerie al ventiduesimo posto tra le strade più pericolose al mondo: "ha panorami mozzafiato, ma proprio per questo il rischio di distrarsi e precipitare giù dai crinali è molto alto", e aggiungeva, forse con un filo sciovinismo british, che anche se la strada era già vietata alle auto, qualche locale vi si azzardasse comunque. Di fatto, i tratti più pericolosi di questa strada sono naturalmente chiusi alle auto (che possono invece raggiungere la cima tramite percorsi alternativi) mentre da qualche tempo, a causa dei numerosi incidenti anche fatali, c'è pure il divieto di avventurarsi tra le gallerie in mountain bike. Premesso tutto questo, a piedi non c'è da spaventarsi. Un minimo di concentrazione è richiesto, soprattutto quando il sentiero si stringe fino alla sua larghezza minima (2,20 mt) e ci si ritrova a camminare tra le rocce e il vuoto, ma lo affrontano tutti, adulti e bambini. A patto che si abbia una torcia. Ecco, forse è questa l'unica discriminante: all'interno di alcune gallerie, se non ti fai luce non vai avanti.
Paesaggi e memorie da brivido. Il fascino delle 52 gallerie del Pasubio
Ognuno di questi cunicoli scavati a mano nella roccia è numerato progressivamente e ha un nome che è quello di una città o del tenente, generale o capitano a cui è dedicato. Troverete quindi la galleria Tenente Cesare Battisti, Tenente di Vascello Nazario Sauro, Generale Luigi Cadorna, la galleria Mantova, Bologna, Reggio Calabria. La più lunga è la diciannovesima, si estende per 318 mt ed è dedicata a Re Vittorio Emanuele III, è anche piuttosto impegnativa: tratti in salita, scale dai gradini alti ed essendo molto lunga è anche particolarmente buia. Per questo motivo, non appena vedrete un'apertura illuminata sarete naturalmente portati a sceglierla come l'uscita. Nel 99% dei casi si tratta di finestroni nella roccia. Nessun problema, riuscirete a fermarvi in tempo prima di fare il passo di troppo e rimettervi sulla strada giusta. Sì, entrare in alcune gallerie è un po' come entrare in un labirinto, tante sono le diramazioni, e il bello di questo percorso è proprio l'avanzare per tentativi e nel frattempo ammirare l'opera realizzata in nove mesi da circa seicento minatori. Che siano dritte, a forma elicoidale o, come la ventesima, a spirale, le accomuna la stessa sensazione che suscitano nell'escursionista: il freddo. Appena si mette piede in una galleria è come entrare in un ipermercato in agosto con l'aria condizionata troppo alta. La temperatura si abbassa notevolmente e, considerato che è suggeribile fare questo percorso d'estate, fuori, nei tratti esposti al sole, è decisamente più caldo. Così, nell'eterna indecisione se tenere o meno addosso l'antivento, si arriva fino all'ultima galleria, Sardegna. Usciti da qui, la montagna si apre e quello che si presenta alla vista è il Grand Budapest Hotel del Pasubio: il rifugio Achille Papa, la tappa di chi sceglie di non andare e tornare in giornata, è incastonato nella roccia e da questa sembra nascere proprio come l'hotel del film di Wes Anderson, bianco e rosa questo, bianco e giallo il nostro. Anche se, per le storie che si raccontano, il paragone sarebbe appropriato pure con un altro celebre albergo: l'Overlook Hotel di Shining. Fantasmi abiterebbero questo rifugio, le loro voci, la loro presenza si manifesterebbe agli ospiti di notte, disturbando il loro sonno. Sono le leggende e i misteri di questa parte di montagna che un combattente austriaco definì "la caldaia delle streghe", di un luogo in cui, dal 1916 al 1918, "il vivere fu ben più duro che il morire".
Paesaggi e memorie da brivido. Il fascino delle 52 gallerie del Pasubio
Ma dal momento che voi la nottata la supererete, il consiglio per il giorno dopo, prima di tornare indietro, è quello di arrivare fino alla Cima Palon, il punto più alto del massiccio del Pasubio, con i suoi 2232 mt. Perché per arrivare qui attraverserete il sentiero della Memoria a conclusione del quale vi attende un museo a cielo aperto: gli "scaffali della memoria" conservano resti di ossa di un'umanità intrappolata tra quelle montagne e, più avanti, in una sorta di antro naturalmente ricavato  nella roccia, un reliquiario con elmetti, bossoli, granate e altri oggetti della non – vita quotidiana dei soldati. E soprattutto perché da qui, attraversando trincee e costeggiando crateri procurati nella montagna dalle esplosioni, ci si può spingere fino al Dente italiano, la posizione più avanzata di tutto il fronte del Pasubio. Per vivere qui, era stata costruita un'altra galleria, che forse sarebbe meglio definire una cittadella sotterranea: c'era spazio per il deposito di viveri, munizioni, i posti di medicazioni e i comandi. Dal davanti, un'ampia apertura sulla roccia faceva sì che quello che accadeva sul Dente austriaco, sulla montagna di fronte, fosse sempre visibile. E qui, adesso, un po' perché si è già ad una certa quota, un po' per il tipo di pensieri che affollano la mente, respirare sembra più difficile.