Cinquanta chili d'oro
Sucessivamente all'8 settembre, data dell'armistizio del Maresciallo Badoglio con le truppe anglo americane, la forza di occupazione nazista, lasciò in parte tranquilla la popolazione ebraica in Italia.
L'allora Presidente della Comunità Israelitica di Roma,Ugo Foà, si era convinto che, forse per la vicinanza con il Vaticano, i nazisti non avrebbero deportato gli ebrei romani, verso i campi di sterminio, come stavano facendo in tutte le altre nazioni conquistate.
La mattina del 26 settembre 1943, invece, lo stesso Foà, insieme al Presidente delle Comunità Israelitiche italiane, Dante Almansi, furono convocati a Villa Wolkonsky, sede del comando nazista, per comunicazioni dal Comandante della Polizia tedesca a Roma, Herbert Kappler.
Saltando i convenevoli, Kappler, brutalmente, disse ai due esponenti della Comunità ebraica che i peggiori nemici contro i quali il popolo tedesco stava combattendo erano gli ebrei, che non avevano bisogno delle loro vite, ne' di quelle dei loro figli. Avevano bisogno di oro: 50 chili d'oro altrimenti 200 ebrei romani, sarebbero stati deportati in Germania.
Diede loro 36 ore per trovare l'oro, che poteva essere sostituito da sterline o dollari, ma non da lire, perché avrebbero potuto stamparne quante ne volevano. Foà ed Almansi provarono a far abbassare le pretese naziste, inutilmente.
Convocarono una riunione con gli iscritti più influenti e, seppur convinti che mai avrebbero raggiunto il peso richiesto, cominciarono a raccogliere oro. La Comunità allora non era certamente ricca, era stata colpita da una guerra devastante e dalle Leggi razziali. Da qui il pessimismo.
Gli oggetti raccolti avevano, certamente, un valore affettivo superiore a quello commerciale, trattandosi, nella maggioranza, di cari ricordi di famiglia. La stessa Santa Sede, venuta a conoscenza del ricatto nazista, fece sapere, ufficiosamente, che se la Comunità non fosse riuscita a raggiungere, entro il termine stabilito, l'oro richiesto, avrebbe provveduto, mettendo a disposizione la differenza che sarebbe stata poi, rimborsata, quando la Comunità ebraica fosse stata in grado di farlo.
Nonostante il pessimismo, la Comunità riuscì a raccogliere oltre i 50 chili d'oro. Per evitare contestazioni, da parte della polizia tedesca, alle operazioni di peso, in Via Tasso, i dirigenti comunitari portarono 300 grammi in più.
Non fu Kappler a presenziare alle operazioni di peso, bensì il Capitano Schutz che, in sostituzione del comandante, con fare arrogante e sprezzante, diede inizio alla pesatura.
Una sola bilancia per massimo 5 chili. Dieci pesate, cinquanta chili. Ma non per il capitano Schutz. Per lui le pesate erano nove, per 45 chili d'oro e non avrebbe consentito la ripetizione dell'operazione, decretando il fallimento della raccolta.
Soltanto la grande insistenza dei due presidenti, insieme alla presenza di alcuni ufficiali italiani, tra cui il Commissario Cappa, chiamati dalla comunità ebraica a testimoniare, convinsero Schutz ad effettuare una nuova pesatura, che confermò il traguardo dei 50 chili d'oro, nei tempi stabiliti.
Chiesero, i rappresentanti ebrei, il rilascio di una ricevuta per l'avvenuta consegna, ma l'ufficiale nazista, sdegnosamente, si rifiutò. L'oro prese immediatamente la via di Berlino, verso il capo dell'ufficio centrale per la sicurezza, Generale Kaltenbrunner.
Come tutti sanno, la raccolta dell'oro fu soltanto un rinvio della deportazione degli ebrei romani verso la Germania e Polonia, verso i Campi di sterminio. Il 14 ottobre successivo, Kappler fece saccheggiare le due biblioteche della Comunità ebraica, con volumi dall'altissimo valore culturale e storico, sequestrarono gli elenchi completi degli iscritti alla comunità, nomi, indirizzi.
Tutto il necessario per catturare gli ebrei in città, avvalendosi della collaborazione dei fascisti, fedeli all'alleato nazista. All'alba di sabato 16 ottobre 1943, centinaia di soldati nazisti, circondarono il Ghetto di Roma, rastrellarono e deportarono 1.259 ebrei romani.
Si raccomandò, Kappler, in un telegramma inviato a Hoess, comandante del campo di sterminio di Auschwitz, dove gli annunciava l'arrivo, da Roma, di oltre 1.000 ebrei di fargli avere un trattamento " speciale", dove per speciale si intendeva l'eliminazione fisica.
Alla raccolta dell'oro parteciparono anche molti non ebrei, gente comune soprattutto, uno slancio di generosità, nei confronti di quei fratelli, concittadini, oggetto di tale vessazione da parte dei nazisti. Oltre alla gente comune, solidale con i fratelli ebrei romani, un personaggio, molto famoso a Roma.
Romolo Balzani.
Romolo Balzani era il più famoso cantante romano dell'epoca. Di umili origini nacque presso Campo de Fiori, padre cavallaro e poi vetturino, mamma trasteverina, dopo qualche tempo si trasferirono in Trastevere.
Una passione innata per il canto e per il fiume Tevere. Canzoni immortali come Barcarolo romano o L'eco der core, Pè lungotevere. Quando partì la raccolta e venutone a conoscenza, volle regalare ai suoi amici ebrei, l'unica cosa di valore che il padre gli avesse lasciato e che custodiva gelosamente: un anello d'oro.
Famosa la scena, impressa nella memoria di decine di ebrei romani presenti, dove Romolo Balzani, uscendo dagli uffici della comunità ebraica di Roma, intona la canzone, poi diventata un inno: "chi crede che c'ha l'oro sia un signore, l'oro per me non conta, conta er core".
Sarebbe giusto e bello ricordare questo episodio, a future memorie e generazioni, per ricordare la generosità dei romani, la solidarietà verso gli ebrei da parte di amici veri.
Per questo motivo, propongo al Sindaco di Roma, Ignazio Marino e al Presidente della Cer, Riccardo Pacifici, di apporre una targa in memoria e in onore di Romolo Balzani, negli uffici della Cer. Perché il suo gesto non vada dimenticato, per non dimenticare, mai.
Una bella storia, romana, di solidarietà.
Segui Vittorio Pavoncello su Twitter: www.twitter.com/VittorioBotti
No comments:
Post a Comment