Tra cuccioli ci si intende, intervista ad Annamaria Manzoni
Esce il 26 febbraio prossimo Tra cuccioli ci si intende di Annamaria Manzoni, edito dalla Graphe.it Edizioni. Il libro si interroga sul rapporto tra animali e bambini, mettendo in risalto l'antispecismo innato dei più piccoli e l'educazione fortemente antropocentrica che interrompe questa predisposizione all'empatia e al rispetto verso le altre specie. Abbiamo interpellato l'autrice per approfondire sulle nuove sfide educative che si rendono necessarie per attuare una rivoluzione antispecista, a partire dalla prima infanzia.
Incentrato sui bambini ma rivolto alle coscienze adulte, il tuo Tra cuccioli ci si intende invita ad una presa di responsabilità profonda. Se i bambini appaiono naturalmente predisposti a riconoscere le similitudini interspecie invece che a rimarcare le differenze, se l'empatia verso gli animali rientra nell'indole dei più piccoli, appare evidente che è l'educazione antropocentrica impartita dagli adulti a limitare e a soffocare, negli anni della crescita, il rispetto per le altre specie. A questo punto si presenta un interrogativo: chi educherà gli educatori? Esistono, a tuo avviso, strategie più efficaci di altre per favorire una svolta antispecista negli adulti?
Di sicuro è vero che il problema siamo noi adulti: se il nostro comportamento fosse improntato al rispetto per gli animali, questo sarebbe il modello che offriremmo alle nuove generazioni. E purtroppo così non è. Ma la realtà è composita. Succede per esempio che vi siano genitori che hanno una sensibilità, magari anche forte, nei confronti per lo meno di alcuni animali, sensibilità che però non hanno mai declinato nelle sue forme più logiche e complete che devono includere per forza di cose l'astensione da ogni pratica che sia per loro deleteria, ma che si esprime in gesti e comportamenti che possiedono grande rilevanza, le cui conseguenze poi si espandono.
Se posso fare un riferimento personale, conservo ricordi lucidissimi della mia infanzia e della dolcezza con cui mio padre si occupava e parlava del nostro cane. Proprio da lì credo di essermi mossa per estendere quella forma di sensibilità a tutti gli altri animali, perché ogni generazione ha a disposizione un clima culturale diverso, conoscenze diverse, mezzi diversi, alla luce dei quali rivede e rielabora i propri vissuti. Mai come per le ultime generazioni questo è stato vero: la rimozione e la negazione a cui la grande questione degli animali è stata sottoposta non reggono all'impatto di internet e della rete e questo può fare grandi differenze.
Inoltre, le esperienze personali fanno riferimento a volte all'impatto enorme derivato da una lettura, da un filmato, da un'esperienza che ha avuto luogo in un determinato momento della vita ed ha avuto la capacità di segnare cambiamenti fondamentali nel rapporto con gli altri animali. In altri termini, la realtà non è statica, è estremamente variegata, nulla è immutabile, e le strade che portano in altra direzione sono tante: anche se certamente i cambiamenti non hanno l'esplosività che sarebbe necessaria.
Anche i genitori più consapevoli e antispecisti si trovano a combattere con una cultura fortemente orientata ad affermare, in ogni campo, la supremazia umana. Come schermare i bambini da un immaginario collettivo pullulato di pascoli felici, galline che razzolano libere, carne e tonno nati in una scatola e maialini concepiti per essere affettati?
Da una parte è comprensibile il desiderio dei genitori di offrire ai bambini un immaginario felice, seguendo in questo le loro naturali propensioni; ed è davvero stupefacente la modalità con cui assecondano l'inclinazione dei loro figli a vivere il contatto con gli animali che tanto amano, popolando i loro spazi con raffigurazioni animali. E credo che tutto questo sia giusto, perché non avrebbe senso riversare su di loro l'angoscia della realtà con gli orrori che la contraddistinguono: credo anzi che sia doveroso che incentivino il contatto vero con le altre forme di vita e che questo avvenga in modo gioioso e arricchente.
Per inciso, ricordo che è stata recentemente individuata una nuova categoria psicopatologica, denominata Deficit di Natura, che affliggerebbe bambini e adolescenti totalmente privati da questo fondamentale contatto e che in Cina sarebbero un numero esorbitante: si tratta di un deficit, di una mancanza in grado di generare forme di depressione, abulia, distacco dai rapporti sociali, ma che predisporrebbe anche a forme di insuccesso lavorativo in quanto solo il contatto con le altre forme viventi consente la costruzione di personalità stabili e adeguate. Osservazioni davvero in grado di farci percepire la nostra pochezza e la nostra insufficienza a noi stessi, che dovrebbero spingerci a sbalzarci una volta per tutte dalla posizione antropocentrica in cui siamo saldamente arroccati a tutto vantaggio di una doverosa rivalutazione della posizione e del ruolo delle altre forme di vita, quelle non umane.
Il problema è che gli adulti devono rendersi conto del punto in cui la loro offerta di una realtà edulcorata va a confliggere con la verità. Da questa consapevolezza dovrebbe derivare l'impegno a non imbrogliare i bambini e a difenderli dall'invischiamento personale in tali realtà. Pensiamo anche semplicemente a spettacoli quali il circo, che tutti ormai sappiamo servirsi di crudelissimi mezzi di assoggettamento degli animali: sollecitare il divertimento dei bambini davanti ad animali schiavizzati è educazione alla non conoscenza dell'altro e alla non empatia.
In Nove vite come i gatti, Margherita Hack sosteneva che dovrebbe essere proprio la nostra presunzione di essere una specie eletta, dotata di un cervello superiore, a spingerci a rispettare la vita in ogni sua manifestazione. Riconoscendo alcuni limiti di portata alla spinta etica, proponeva poi una terapia d'urto: vedere con i propri occhi la disumanità di allevamenti intensivi e macelli per maturare maggiore consapevolezza sugli orrori di una dieta carnivora. Ti trova d'accordo questa soluzione estrema?
Come dicevo, rimozione e negazione sono due dei meccanismi di difesa che consentono alla realtà di perpetuarsi. Rimuoviamo la sofferenza degli animali, perché il pensiero ci è inaccettabile. È facilissimo farlo perché gli allevamenti intensivi, le amputazioni, i sistemi di inseminazione, il carico e o scarico degli animali sui TIR, la macellazione avvengono lontano dai nostri occhi e l'organizzazione che prevede la dislocazione dei macelli tanto lontana dai centri abitati, il divieto ai cittadini di entrare, vedere, rendersi conto collude con il diffusissimo desiderio di non sapere. I prodotti di origine animale spesso non conservano alcuna affinità con l'animale da cui provengono: basta pensare al tonno in scatola, al salame e al prosciutto, agli hamburger: è di conseguenza davvero facile dimenticare e negare l'esistenza stessa della questione animale, che invece è una delle più grandi questioni dell'umanità, per il numero miliardario di esseri che coinvolge e per la smisurata sofferenza che comporta. Di conseguenza la terapia d'urto auspicata dalla compiantissima Margherita Hack può essere importante proprio perché consentirebbe di scardinare questi meccanismi di difesa, costringendo a prendere atto della realtà.
Conseguenze di sicuro ne deriverebbero, ma bisogna valutare di quali dimensioni. In altri termini di sicuro vi sono persone che davanti alla consapevolezza della sofferenza animale prenderebbero decisioni drastiche e modificherebbero il proprio stile di vita. Di sicuro non sarebbe la totalità delle persone. Basta riflettere per esempio sul fatto che, anche limitando il discorso al contesto italiano, la realtà si manifesta in modi differenti. Esistono per esempio ancora ampie zone in cui al nascondimento e occultamento della realtà della sofferenza animale, si oppone invece una sua disvelazione: mi riferisco a macellerie in cui vengono mostrati cadaveri insanguinati di animali interi, di solito appesi a zampe all'aria, o vengono esibite le loro teste mozzate: in queste situazioni è chiaro che non esiste rimozione né negazione del problema e che una visita ai luoghi dell'uccisione ben poco aggiungerebbe a quanto già si sa e che non è in grado di smuovere le coscienze. Altre sono allora le strade da percorrere, che devono passare attraverso la costruzione di una diversa filosofia di vita.
Leggendo il tuo libro, mi è tornato alla mente un episodio della mia infanzia: una visita guidata ad una centrale del latte, un viaggio "d'istruzione" presentato e vissuto come un momento didattico oltre che come un giorno felice da trascorrere all'aria aperta insieme agli altri compagni di scuola. Ricordo di aver visto i vitellini separati precocemente e crudelmente dalle madri, in box a se stanti, e di aver chiesto che fine facessero gli esemplari maschi. La guida non nascose il suo imbarazzo e si trincerò dietro un gesto vago.
Oggi vedo un po' ovunque, dagli spot ai libri per bambini incentrati su fattorie felici, la stessa tendenza a censurare gli aspetti più cruenti della filiera alimentare così come della vita degli animali in cattività, nei circhi, nei parchi acquatici e negli zoo. Ma quanto è deleterio proteggere i bambini da un'amara verità che scopriranno comunque da adulti e addirittura mentire spudoratamente ai più piccoli, raccontando di animali felici di fare le piroette piuttosto che di sfornare dieci uova al giorno?
Il discorso si ripete e si arricchisce di tanti elementi: le gite di "istruzione" alle fattorie felici, la partecipazione a spettacoli quali i circhi, le visite a zoo, acquari e delfinari, le sagre e via dicendo sono dei grandi momenti di mistificazione della realtà ad uso dei più piccoli: si mostra loro una realtà falsata spacciandola per vera, si insegna loro implicitamente a disconoscere tutte le manifestazioni di disagio e sofferenza degli animali e, attraverso il grande imbroglio di base, che parla di mucche felici e di un'armonia che non c'è, si immette la grande questione degli animali in una cornice funzionale a mantenere lo status quo. Bisogna scardinare queste abitudini attraverso la presa di coscienza da parte degli adulti dei significati impliciti in queste situazioni.
Purtroppo consapevolezza, senso etico, superamento dell'antropocentrismo non sono così diffusi. Se le persone comuni spesso devono fare i conti con la propria incapacità a vedere una realtà diversa da quella che viene proposta dalla società stessa con tutte le sue strutture, ingiustificabili sono invece le istituzioni, che hanno il dovere di basare le loro iniziative su un pensiero elaborato, che si prenda a cuore i comportamenti con le loro implicazioni, i loro significati, il loro senso. Una lunghissima tradizione pedagogica non consente di non occuparsi delle conseguenze implicite nei modelli proposti ai bambini. Che dire allora del costume ancora tanto diffuso di molti comuni che offrono alle scuole biglietti gratuiti per andare al circo a cui hanno permesso l'attendamento sul proprio suolo? Che pensare degli insegnanti che quei bambini li accompagnano, come li accompagnano a delfinari, acquari, zoo di vario genere. Si interrogano gli educatori sul tipo di educazione che stanno impartendo?
Ho trovato particolarmente denso di significato questo passaggio che di fatto indica una via d'uscita: "Se i bambini imparano a rispettare i diritti degli animali e a riflettere sul loro dolore e la loro sofferenza allargheranno le loro capacità empatiche: l'universalizzazione dell'empatia fino a includere tutti gli esseri viventi è il vero traguardo della razza umana, l'unico in grado di cambiare davvero l'attuale stato delle cose". L'umanità ha dunque una speranza: l'antispecismo innato dei bambini, coltivato durante la crescita e portato a maturazione da adulti, salverà il mondo dalla catastrofe ecologica ed etica?
Sostituirei al tuo ottimistico futuro un ben più realistico condizionale. Certamente il mondo cambierebbe se si raggiungesse consapevolezza che il primo irrinunciabile e assoluto dovere dell'educazione è quello al rispetto; e che il rispetto per ogni essere vivente si raggiunge anche attraverso la proposta di modelli empatici nei confronti di tutti gli esseri senzienti, animali non umani assolutamente inclusi. Riconoscere e capire quello che l'altro prova è la strada maestra per rispettarlo. E quanto più l'altro è diverso da noi, tanto più è importante farlo. I bambini sono lì per accogliere questa lezione, anzi per essere loro a impartircela, perché è del tutto congeniale al loro modo di essere: loro le differenze rispetto agli altri animali le reputano fonte di curiosità attenta, vivace e affettuosa, la inglobano naturalmente e facilmente nel loro mondo esperienziale con la capacità di intuire e di godere della bellezza di cui loro sono portatori. A noi non sprecare l'occasione di costruire un mondo davvero migliore, macchiandoci della colpa imperdonabile di limitare le potenzialità dei bambini: se l'invito di Kafka era quello di mettersi all'altezza degli animali perché solo da lì si possono vedere le stelle, loro, i bambini, a quell'altezza ci sono già.